La figlia perdona, ma io no

Valentina Rossi si guarda allo specchio, aggiustando il tailleur grigio. Oggi Chiara compie trent’anni. Il primo compleanno insieme dopo otto anni d’assenza.

“Mamma, pronta?” chiama Chiara dall’ingresso. “La macchina è arrivata.”

“Arrivo!” risponde Valentina, ma resta ferma davanti allo specchio.

Com’è cambiata Chiara negli anni… Prima portava solo jeans e scarpe da ginnastica, ora abiti eleganti e tacchi alti. Lavora per una multinazionale, guadagna più di Valentina in tutta la suacarriera. E sta per sposare quel ragazzo… come si chiama… Dario.

“Mamma!” La voce di Chiara tradisce impazienza.

Valentina sospira e raggiunge l’uscita. Sulla soglia, la figlia indossa un abito beige, capelli raccolti, trucco leggero. Bella. Lo è sempre stata, persino quando a sedici anni lasciò il liceo e scappò di casa.

“Stai bene,” dice Valentina con tono asciutto.

Chiara sorride, ma un’ombra le attraversa lo sguardo.

“Grazie. Anche tu. Quel tailleur ti sta benissimo.”

In macchina regna il silenzio. Chiara osserva il paesaggio, Valentina rimugina su come sarebbe potuta andare diversamente. Se la figlia l’avesse ascoltata. Se non si fosse legata a quel Luca, vent’anni più grande. Se non fosse fuggita con lui a Milano, abbandonando tutto – studi, università, futuro.

“Ricordi cosa ti dissi allora?” scatta Valentina. “Che non sarebbe finita bene. Che ti avrebbe piantato appena si fosse stufato.”

Chiara si gira verso di lei.

“Mamma, non parliamone oggi. È il mio compleanno.”

“Non voglio rovinarti la festa. Constato un fatto. Avevo ragione, no?”

“Sì, avevi ragione. E quindi? Vuoi che mi pentà tutta la vita per gli errori di gioventù?”

Valentina tace. Lo vuole? Non sa rispondere. Sa solo che per otto anni non dormì, immaginando la sedicenne vivere chissà dove e con chi. Che chiamò polizia, ospedali, cercò tramite conoscenti. Che ricevette la prima lettera solo dopo diciotto mesi – un bigliettino breve che diceva: “Sto bene”.

Il ristorante è elegante e costoso. Alla tavolata siedono già ospiti – colleghi di Chiara, amiche, il fidanzato Dario coi genitori. Tutti si alzano educatamente all’arrivo di Valentina.

“Vi presento mia madre,” dice Chiara.

Valentina fa un cenno d’assenso generale e siede al posto indicato. Accanto a lei, la madre di Dario, donna elegante sui cinquantacinque anni in abito firmato.

“Che figlia meravigliosa avete,” sussurra. “Dario non fa che lodarla. Dice che ragazze determinate come lei sono rare.”

“Divenne indipendente troppo presto,” replica Valentina.

La signora percepisce la tensione e cambia argomento.

Il pranzo è allegro e chiassoso. Chiara ride, racconta aneddoti lavorativi, accetta auguri. Valentina rimane in silenzio, rispondendo agli altri ospiti solo se interpellata.

Ecco la figlia abbracciare Dario, lui le sussurra nell’orecchio, lei arrossisce e sorride. Bravo ragazzo, bisogna ammetterlo. Medico, famiglia perbene. A Chiara è andata bene. Ma avrebbe potuto sposarsi prima con qualcuno di adatto, se solo avesse ascoltato.

“Chiara, racconta del matrimonio!” chiede un’amica. “Quando vi sposate?”

“A ottobre,” risponde Chiara. “Cerimonia intima, solo persone care.”

“E abiterete dove?”

“Dario ha comprato un trilocale in un palazzo nuovo con ottima ristrutturazione. Un sogno!”

Valentina ricorda involontariamente il suo vecchio bilocale in periferia, dove vivevano prima della fuga. Lì Chiara dormiva su un divano letto in salotto, lamentandosi dello spazio e della privacy. E Valentina rispondeva: “Finisci gli studi, trovi lavoro, allora avrai casa tua”. Ma la figlia non volle aspettare.

“E bambini?” insiste l’amica. “Ne volete?”

Chiara incrocia lo sguardo con Dario.

“Certo. Desidero un bambino. O una bambina,” sorride. ”
Valentina Rossi osservava la foto sbiadita di Elena dodicenne, poi chiuse l’album lasciando che quel rancore viscerale per gli anni perduti si stemperasse, lasciando lentamente posto, nonostante tutto, alla fragile speranza che la gioia attuale di sua figlia potesse un giorno lenire anche la sua ferita antica.

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