La Gioia di Vivere in un Vecchio Condominio Popolare

Nella quiete di una vecchia casa condivisa, Sofia sedeva al tavolo della cucina, sorseggiando lentamente una tazza di tè al timo mentre aspettava il marito dal lavoro. Quando sentì il suono della chiave nella serratura, si alzò e si fermò sulla soglia della porta. Entrò il marito, Marco, con unespressione seria e silenziosa.

“Ciao,” disse lei per prima. “Sei di nuovo in ritardo. Ho già cenato da un po, ti stavo aspettando”

“Ciao,” rispose lui. “Non cera bisogno di aspettarmi. Non ho fame, e comunque non rimango. Devo prendere le mie cose e andare,” disse senza nemmeno togliersi le scarpe. Attraversò la stanza, aprì larmadio e tirò fuori una valigia.

Sofia rimase immobile, incapace di capire. Lo guardò mentre buttava dentro le prime cose che gli capitavano tra le mani.

“Marco, spiegami, che sta succedendo?”

“Davvero non lo capisci? Me ne vado. Lascio te,” disse con voce ferma, evitando il suo sguardo.

“Per dove?”

“Da unaltra donna.”

“Ah, immagino una più giovane. Anche se, a quarantanni, sei ancora nel fiore degli anni,” replicò Sofia con una punta di sarcasmo, riprendendosi dal colpo. “Non piangerò, non gli darò questa soddisfazione,” si ripeté, mentre a voce alta chiese: “Da quanto tempo dura questa storia?”

“Quasi un anno,” rispose lui con calma. E vedendo il suo stupore, aggiunse: “Se non te ne sei accorta, è perché ho saputo nasconderlo bene.”

“Te ne vai per sempre o?” domandò improvvisamente.

“Sofia, ma non capisci? Ascoltami bene. Lascio te per unaltra, e presto avremo un figlio. Noi due non ci siamo riusciti, ma lei, Laura, mi darà un figlio. Hai un mese per lasciare il mio appartamento. Dove andrai è un problema tuo. Io e Laura vivremo qui con nostro figlio fino a quando non troveremo qualcosa di più grande.”

Marco se ne andò. Sofia rimase sola, le pareti sembravano chiudersi su di lei, il silenzio era opprimente. Accese la televisione, almeno per sentire delle voci. Con Marco aveva passato dodici anni, e ci volle quasi una settimana per riprendersi.

Dai genitori, scomparsi troppo presto, aveva ereditato una casa in campagna. Ma vivere sola in un paesino non faceva per lei.

“Non ce la farei mai,” pensava. “Troppo lontano dalla città, niente servizi e zero lavoro. A trentacinque anni non voglio rinchiudermi in un borgo. La venderò, e con quei soldi mi prenderò una stanza in una casa condivisa o in un dormitorio. Poi si vedrà.”

Decise così, e vendette la casa appena arrivò in paese. La vicina, Maria, laspettava.

“Sofia, che bello vederti! Stavamo per venire in città a cercarti.”

“Che è successo?” chiese Sofia.

“Be i miei parenti vogliono comprare la tua casa. Sono arrivati dal Nord, cercano proprio un casolare da demolire e ricostruire. Vogliono stare vicino a noi, mia sorella e suo marito”

“Maria, che fortuna! È proprio per questo che sono venuta. Se vogliono, possono prenderla subito, basta che ci accordiamo sul prezzo. Ecco il mio numero”

Tutto andò liscio, e in dieci giorni aveva i soldi in mano. Non una grande somma, dopotutto era una casetta malridotta. Con quei soldi comprò una piccola stanza in un ex dormitorio trasformato in alloggi. La cucina era in comune, due stanze erano occupate da altri inquilini, e la terza era la sua. Per questo la chiamava “casa condivisa.”

I vicini sembravano tranquilli, persone educate. Sofia li incrociava raramente, sempre fuori per lavoro dallalba al tramonto. E proprio lì, tra i colleghi, era nata una storia con Tommaso. Tutto sembrava andare bene, almeno per come la vedeva lei.

Poco prima della Festa della Donna, l8 marzo, Tommaso le disse:

“Devo riflettere su molte cose. Non sono sicuro dei miei sentimenti. Prendiamoci una pausa.”

“Prendiamocela pure anzi, vai pure al diavolo,” sbottò lei.

Tornò a casa furiosa. A trentasei anni non aveva tempo per pause. Decise di sfogare lo stress mangiando. Aprì il frigorifero, dove aveva lasciato un pezzo di prosciutto, ma non lo trovò. La rabbia la travolse.

“Chi ha preso il mio prosciutto?” urlò in cucina.

“Tesoro, lho buttato due giorni fa era diventato verde e puzzava. Ho pensato che non lavresti mangiato comunque, meglio non rischiare,” rispose la vicina, Anna, con tono calmo ma un po colpevole.

“Non sta a voi decidere cosa posso mangiare!” ringhiò Sofia.

Si scatenò, riversando tutta la sua rabbia sulla vicina. Dopo il marito che laveva lasciata, la perdita della casa, e ora Tommaso che voleva una pausa, anche i vicini le rubavano il cibo?

“Anna, non ti preoccupare,” intervenne il vicino, il signor Paolo.

Era un uomo di sessantanni, capelli grigi, occhiali, sempre seduto in un angolo della cucina con un libro o un giornale. Anna sembrava turbata.

“Sofia sta solo sfogando la rabbia. Non prenderla come un insulto personale,” disse Paolo, senza alzare gli occhi dal giornale.

“E voi che ne sapete?” gli chiese Sofia. “Nessuno vi ha chiesto niente.”

“Ne so abbastanza.”

“Se è così intelligente, perché vive in questo lurido posto?” ormai non si fermava più.

Anna scambiò unocchiata con Paolo e se ne andò nella sua stanza. Sofia sbatté la porta e si lasciò cadere sul divano.

“Che razza di filosofo da cucina, che si permette di darmi lezioni di vita,” pensava.

Dopo unora, si calmò. Ricordò che quel prosciutto era lì da giorni, e si vergognò.

“Ho offeso Anna senza motivo. E lei potrebbe essermi madre. Sto diventando una isterica. Devo scusarmi.”

Trovò Anna in cucina.

“Mi perdoni, Anna. Non so cosa mi sia preso. È solo che tutto mi è crollato addosso. E Paolo aveva ragione.”

Anna sorrise e la abbracciò.

“Succede, tesoro. Siediti, facciamo due chiacchiere con un tè e un dolce. Ma dovresti chiedere scusa anche a Paolo. Lui è stato professore alluniversità. Aveva una bella casa in centro e un lavoro che amava. Ma” Anna fece una pausa. “Ma tutto è cambiato quando sua moglie si ammalò. Un tumore al cervello. I nostri medici dissero che era troppo tardi. Lui trovò una clinica in Svizzera, ma servivano molti soldi. Paolo vendette tutto, si indebitò e la portò lì. Loperazione riuscì, ma non servì a molto. Dopo qualche mese, sua moglie morì. Lui si licenziò per assisterla e, dopo la sua morte, vendette lappartamento per ripagare i debiti. E finì qui.”

Sofia fu sul punto di piangere.

“Grazie per avermelo detto. Domani mi scuserò con lui.”

Il giorno dopo, timidamente, bussò alla porta di Paolo con un regalo in mano.

“Buonasera, signor Paolo. Questo è per lei, e mi perdoni per ieri. Aveva ragione.”

Si scusò a lungo, e lui lascoltò

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