La loro figlia era in coma da mesi, i medici dicevano non ci fosse più speranza. Pronti a lasciarla andare, i genitori si avvicinarono al suo letto d’ospedale per l’ultima volta.

La loro figlia era in coma da mesi e i medici avevano perso ogni speranza. Pronti a lasciarla andare, i genitori si fermarono accanto al suo letto dospedale per lultima volta.
Luniverso sembrava avere un crudele senso dellumorismo quando si trattava della famiglia Bellini. Per anni, Luca e Giulia avevano inseguito leco di una risata infantile attraverso la loro casa silenziosa. Avevano percorso i corridoi sterili e pieni di speranza delle cliniche per la fertilità, le mani strette luna allaltra, solo per ricevere sorrisi compassionevoli e scrollate di testa. Giulia aveva seguito i passi dei pellegrini verso luoghi sacri, persino recandosi alle antiche pietre di Assisi, con Luca, il suo cavaliere fedele, sempre al suo fianco. Ma il cielo rimaneva muto.
Alla fine, logorati dagli anni di attesa, trovarono una nuova pace. Avrebbero costruito la loro famiglia in modo diverso. Decisero di adottare non una, ma due bambine, per riempire quel silenzio.
La mattina in cui avrebbero dovuto partire per lorfanotrofio, la casa era pervasa da unenergia nervosa. Giulia era in cucina a preparare i panini quando laroma del brasato, che di solito amava, le rivoltò lo stomaco. Unondata di nausea così forte le tolse il fiato, costringendola a correre in bagno.
Il viaggio fu annullato. Invece di dirigersi verso un nuovo futuro, andarono in clinica. Lì, in una piccola stanza modesta, luniverso svelò il suo scherzo: Giulia era incinta. Di sedici settimane.
Luca perse quasi la testa. Il suo grido di gioia pura risuonò per tutta la clinica. Abbracciò il dottore, linfermiera e persino un vaso di felci nellangolo. La ginecologa, una donna severa, minacciò di chiamare la sicurezza se non smetteva di riordinare i suoi opuscoli sulla gravidanza. Da quel giorno, le loro vite ruotarono attorno a un unico punto: il miracolo in arrivo. Luca si trasformò in un protettore, un cacciatore di cibi pregiati. Girava al mercato come un falco, interrogando i venditori su nitrati e pesticidi, tornando a casa con i migliori formaggi, frutta e verdura biologica per la sua regina. Giulia, con una laurea in pedagogia e ventanni di esperienza, si ritrovò a ricevere lezioni sui benefici nutrizionali del cavolo nero da un uomo il cui picco culinario era stato scaldare gli avanzi nel microonde.
Qualche settimana dopo, il destino giocò unaltra carta. Unecografia rivelò non uno, ma due battiti. Gemelle.
La gravidanza di Giulia fu dura. Letà rese il percorso arduo e passò gran parte del secondo e terzo trimestre a riposo. Ma la fatica fu dimenticata nel momento in cui sentì i loro primi vagiti. Due principesse perfette, identiche in tutto. Le chiamarono come le loro nonne: Carlotta e Sofia. Lotta e Fia.
La vita divenne un turbine bellissimo e caotico di notti insonni, pannolini infiniti e un amore così profondo da far male. Le bambine crebbero sane e brillanti, spesso più mature dei loro coetanei. Erano due metà di ununica anima. Ma, nonostante i tratti identici, i loro spiriti danzavano su ritmi diversi.
Lotta era una cometa. Bruciava la vita con unenergia contagiosa, raccogliendo amici come fiori. Atletica, competitiva e socievole, la sua risata era la colonna sonora della casa. Fia, invece, era come un fiume calmo e profondo. Trovava conforto nelle pagine dei libri, nella quiete della natura e nellarte della creazione. Era una casalinga, il suo mondo ricco e vibrante tra le mura di casa e il giardino. Ma il loro legame era la roccia della loro esistenza. Un filo invisibile e indistruttibile le univa. Non potevano immaginare un mondo senza laltra.
Diciotto anni svanirono in un battito di ciglia. Le ragazze divennero giovani donne splendenti. Lotta, la nuotatrice, aveva viaggiato per lItalia per le competizioni e una fila di ammiratori che non finiva mai. Gestiva la sua vita sociale con grazia, mai crudele ma sempre padrona di sé. Fu a una gara nazionale a Firenze che incontrò Matteo, un atleta dal sorriso gentile e occhi che vedevano solo lei. Un amore fulmineo di messaggi e voli culminò in una decisione: si sarebbero sposati.
Fia, fedele a sé stessa, aveva costruito una vita più tranquilla. Il suo mondo erano i genitori, la sorella e una schiera di animali salvati. La sua più grande passione era la cucina. Dagli ingredienti più semplici creava capolavori. La famiglia spesso sospirava: Fia, non di nuovo! Come facciamo a restare in forma con questi profumi incredibili? Era una guaritrice, una salvatrice di randagi. La sua camera sembrava spesso un ospedale veterinario, con gattini dalle zampe rotte e uccellini feriti.
Il suo paziente più costante, e amico più caro, era Fulmine. Un enorme Pastore dellAsia Centrale, regalato dal padre tre anni prima. Il cucciolo bianco e soffice era diventato un gigante di sessanta chili, una presenza imponente con il cuore di un agnello. Fulmine era lombra di Fia, il suo guardiano e confidente. Nonostante laspetto intimidatorio, il suo unico scopo nella vita era essere amato, offrendo baci bavosi a chiunque si avvicinasse.
In un sabato pomeriggio caldo, la famiglia si riunì. Lotta e Matteo avevano firmato latto di matrimonio. Le nozze erano imminenti. I genitori di Matteo aspettavano una videochiamata per definire i dettagli. Laria era carica di eccitazione e la consapevolezza amara che tutto stava per cambiare. Dopo il matrimonio, Matteo avrebbe portato Lotta in unaltra città, verso una nuova vita.
Dai, Fia! chiamò Lotta, prendendo le chiavi della macchina. Andiamo al ristorante per decidere il menu. Ci vuole il tuo parere da chef esperta!
Matteo accese il motore, un ronzio sommesso. Mentre Fia usciva di casa, qualcosa in Fulmine si spezzò.
Il gigante gentile divenne una belva furiosa. Si lanciò contro lauto, abbaiando con una ferocia mai sentita prima. Graffiò le gomme, il suo corpo massiccio bloccando la strada. Ululò, un suono lungo e straziante che fece rizzare i capelli a Luca.
Fulmine, basta! urlò Luca, correndo verso di lui per mettergli il guinzaglio.
Lhai viziato, Fia, rise Lotta dal sedile passeggero. Non sopporta di vederti andare via.
Fia non rispose. Sentì un nodo dansia stringerle il petto. Non era protezione, era terrore puro. Ma non poteva dire di no. Era troppo importante per Lotta. Salì in macchina, lanciò unocchiata triste al suo cane attraverso il finestrino e salutò mentre lauto si allontanava.
Fulmine le guardò andare, poi emise un ultimo ululato straziante. Una lacrima perfetta solcò il pelo bianco del suo muso. Luca la vide, e un brivido gli corse lungo la schiena. Non aveva mai visto un cane piangere.
Matteo era un guidatore sicuro. Il ronzio del motore, la strada assolata e le chiacchiere delle sorelle creavano una bolla di felicità. Prese una curva familiare un po troppo veloce, ma la strada

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