La madre non è stata accolta dai familiari davanti all’ospedale perché non ha rinunciato alla sua bambina…

La madre non aveva incontrato parenti davanti al reparto di ostetricia, perché non aveva voluto lasciare la figlia Il luminoso e ampio salone dellunità di puerperio di un ospedale di Milano era strapieno. Latmosfera vibrava di gioia mescolata a una leggera ansia. Intorno svolazzavano parenti felici: uomini eccitati con enormi bouquet di fiori, nonne e nonni appena diventati, e una miriade di conoscenti e amici. Il frastuono continuo di voci veniva interrotto da risate contagiose. Tutti, trattenendo il respiro, attendevano il primo sguardo verso i nuovi membri della loro famiglia.

È nato un maschietto! Il primo! sussurrò una nonna appena giovane a una donna accanto a lei. Le lacrime di felicità brillavano nei suoi occhi, mentre stringeva tra le mani un mazzo di palloncini azzurri come il cielo.

È una femminuccia! Due subito, lo sai? esclamò con orgoglio la sua compagna, avvolta in pacchi rosa di carta regalo.

Hanno già una figlia maggiore. Ora sono tre sorelline! Proprio come nelle favole!

Che meraviglia, dei gemelli! Che rarità! Congratulazioni!

Nel trambusto, nessuno notò la giovane donna che lottava invano con una porta pesante. Le mani erano occupate a sorreggere sacchetti stracolmi di oggetti, quasi a scoppiare.

È un bambino?! chiese Giulio, un giovane che era arrivato a prendere la sorella con il nipote, incapace di credere a ciò che i suoi occhi vedevano. Come poteva un involucro avvolto in una coperta piccola trovarsi nella mano destra di quella donna, stretta tra lavambraccio e il corpo?

«Come è possibile? balbettò Giulio, smarrito. Dove sono i parenti? Dove sono gli amici? In questa grande città non può mancare nessuno a salutare una giovane madre con un cucciolo così indifeso.»

La sua famiglia si era preparata a lungo e con cura per la nascita del fratellino, perché era un evento importante, gioioso, memorabile. Giulio non aveva mai pensato che le cose potessero andare diversamente.

Si precipitò in aiuto della sconosciuta, aprì a gran spinta le porte massicce, le tenne finché lei passava e poi si infilò dietro di lei.

Posso almeno portare le sue cose al taxi! propose il giovane.

Grazie, ma non serve, rispose la donna, con tristezza e confusione negli occhi, quasi al limite delle lacrime. Sistemò meglio il neonato, lo strinse al petto e si diresse verso la fermata dellautobus.

«Sta per prendere lautobus con il neonato?!» pensò, terrorizzato, Giulio. Stava per correre dietro a lei per offrirle un passaggio in auto, ma i parenti lo chiamarono: doveva firmare i documenti di dimissione del fratellino. Dimenticò tutto e si precipitò da loro.

Irene, figlia di Maria, aveva sempre desiderato essere una figlia modello. La madre laveva partorita in età avanzata e il padre era un misterioso amore estivo di cui Irene non aveva mai visto il volto. Vivevano in una piccola casa ai margini di un borgo toscano, un casa di campagna stretta e vecchia. Irene cercava di sollevare la madre, aiutandola fin da piccola con le faccende domestiche, studiando bene a scuola e obbedendo sempre. Il loro stipendio era quello di una commessa di un negozio di alimentari: pochi euro, non bastavano per nulla. Quando la madre andò in pensione, la situazione peggiorò.

Irene sognava di crescere in fretta, di andare alluniversità, di trovare un lavoro ben pagato, così la piccola famiglia non avrebbe più conosciuto la fame. Voleva non dover più scegliere tra una busta di farina e un po di carne. Si dedicò allo studio con fervore, mentre le sue coetanee uscivano a cinema, a balli e a cene. Irene, invece, rimaneva sui libri, rifiutando le inviti del vicino Fedro a fare una passeggiata.

Esci un po con lui! incalzava la madre. Che bel tempo! Stai diventando pallida! Smetti di stare sempre sui libri!

Lesame è vicino. Devo fare il massimo, è lunica occasione, capisci? Il nostro futuro! replicava Irene.

Fedro, da sempre innamorato di Irene fin dalla prima elementare, rimaneva solo, perché lei non lo guardava. Lo sforzo di Irene fu ricompensato: superò brillantemente tutti gli esami e fu ammessa, come sognava, allillustre Università Pedagogica di Firenze. La gioia le riempiva il cuore, ma la madre cominciò a preoccuparsi.

Dove vivrai? Come? Non ti potrò aiutare finanziariamente, sai quanto guadagno poco.

Non ti preoccupare! la rassicurò Irene. Troverò un lavoro serale, ho già visto gli annunci. Luniversità offre un dormitorio, ho chiesto e ho una stanza!

Così, come immaginava, Irene si trasferì in un dormitorio studentesco, condividendo la stanza con unaltra ragazza di campagna. La compagna la invitava a mangiare quello che i parenti generosi le mandavano, e Irene le restituiva aiuto con relazioni e compiti.

Il lavoro di Irene arrivò presto: divenne cameriera in un bar del centro. Nulla di complicato, portare ordinazioni, sorridere ai clienti.

Nel bar incontrò Massimo, cliente abituale. Irene era nella sua ultima annata, a pochi passi dalla laurea. Massimo, giovane, attraente, veniva al bar ogni fine settimana con gli amici, rideva, scherzava. I suoi fossette comparivano quando sorrideva. Un giorno incrociò lo sguardo di Irene; lei arrossì, distolse lo sguardo, e da allora Massimo mostrò unattenzione speciale.

Iniziarono a frequentarsi. Massimo era premuroso, intelligente, gioioso. Lavorava da due anni come economista in una grande banca di Roma, la carriera gli sorrideva. Irene ricevette presto linvito di trasferirsi nella spaziosa casa a due vani di Massimo, vicino al suo lavoro.

Quando Irene annunciò la gravidanza, Massimo reagì con gioia.

Stavo per chiederti di sposarmi! E ora questa notizia sorrise. Dobbiamo correre perché al matrimonio tu sia snella, non una futura mamma con pancione! Ma ti amo in ogni caso.

Irene temeva di incontrare i genitori di Massimo: il padre, un imprenditore del settore lattiero, e la madre, sua assistente. Come avrebbero accettato una ragazza di campagna incinta? I genitori, però, erano già affezionati a Irene. Il padre elogiò la cena preparata da lei.

Come al ristorante più raffinato! esclamò. Che insalata perfetta!

Hai le mani doro! confermò la madre, Oliva.

Oliva chiese a Irene di chiamarla semplicemente Olivia. Insieme visitarono boutique di alta moda, tra una prova e laltra sorseggiavano caffè, ridevano, senza alcuna aria di superiorità. Oliva era genuina, non una signora altezzosa.

La tua mamma verrà al matrimonio? Vorremmo incontrarla. Se vuole, può stare da noi, la nostra casa è grande, così non sarà stretta, propose Olivia.

Il matrimonio fu sontuoso, con ospiti, animatori, fuochi dartificio. Irene non pensava a quanto costasse, ma Olivia le fuccì la mano.

Non ti preoccupare, possiamo permettercelo! Tu sei la sposa del mio figlio, voglio che sia una festa vera. Rilassati e non agitarti, è dannoso per te.

Irene non poteva credere alla sua fortuna. Aveva sempre sentito storie di lotte tra nuore e suocere, soprattutto quando la sposa era di umili origini. Ma ora tutto era diverso. La madre di Massimo, ormai anziana, arrivò al matrimonio, quasi piangendo.

Hai avuto fortuna, cara! disse, mentre la sposa si sistemava.

La vita familiare cominciò con lattesa del bambino. Allecografia, il medico disse che sarebbe stata una bambina sana. Massimo sorrise: «Allora torneremo presto a parlare del maschietto», scherzando sul futuro erede.

Olivia, madre di due figli, aveva sempre sognato una figlia. Ora aveva una nipotina! Comprò una pila di vestitini rosa e tutine.

Irene osservava incantata quei vestiti, immaginando di vestire presto la sua piccola. Lavrebbe cresciuta nellamore, in una famiglia completa. Olivia già pianificava lezioni di balletto, scuola darte, attività per lo sviluppo precoce.

Irene accettò volentieri. Ma, durante un controllo, scoprirono un rischio per il feto. Il suocero chiamò i migliori medici. Irene si sentiva male, vomitava anche lacqua, perdeva peso. Il secondo trimestre, invece di alleviarsi, peggiorava. Trascorreva le giornate in ospedale, mentre a casa Olivia la accudiva, cucinava, puliva, rimproverava il figlio per la sua inattività. Irene era grata, perché non poteva fare nulla.

Massimo, intanto, si allontanava sempre più: lavoro, amici, telefonate. Irene parlava solo di analisi, esami, preoccupazioni; a lui era noioso. Sognava un figlio, ma aveva una moglie incinta che stava sempre a letto. Inoltre, comparve una studentessa simpatica

Nascondeva la relazione alle sue famiglie, temendo le reazioni. Olivia viveva nella speranza della nipotina. Non aveva mai negato che voleva una figlia, ma aveva due ragazzi.

Improvvisamente, le contrazioni arrivarono un mese prima. Irene finì in travaglio. Il dolore era insopportabile. I medici la sostenevano come potevano, poi la chiamarono a lottare. Irene raccoglieva tutte le sue forze per la bambina.

Nacque la piccola, ma subito la portarono via. Medici discutevano. Irene capì che qualcosa di terribile era accaduto. La portarono in una stanza singola. Notti insonni, non osava chiamare nessuno.

Al mattino, il capo medico annunciò: il bambino aveva la sindrome di Down, nulla di mostrato allecografia. «Sei giovane, avrai figli sani. Questo dovrebbe andare in una struttura di accoglienza.»

Irene rimase sconvolta, ma rifiutò categoricamente. Chiese di tenere la figlia, la guardò con amore e la chiamò Alessandra.

Olivia telefonò: «So tutto, andrà bene! Grazie a voi! Ho trovato un bravo psicologo che vi aiuterà a superare questo trauma. Avete unaltra possibilità.»

Alessandra è viva! gridò Irene disperata. Non capisci Non la diremo morta, la terremo qui. Chiuse la linea.

Massimo non voleva accettare la bambina. Perché la madre può rifiutare, ma il padre no? Sono giovane, non voglio questo peso! Olivia lo chiamò più volte, lo convinse, poi lanciò un ultimatum: accettare il rifiuto o Alessandra non avrà posto nella loro famiglia.

Irene comprese: sarebbe rimasta sola con la figlia. Lultima speranza era che, vedendo la bambina, Massimo cambiasse. Ma al momento della dimissione nessuno lattendeva. Con i pacchi in mano, si diresse verso la fermata dellautobus.

A casa trovò il cappotto di una sconosciuta. Dalla cucina uscì una ragazza in maglietta con la scritta MASSIMO. Chi siete? chiese la donna del suo amante, rispose Irene, e si mise a raccogliere le sue cose.

Alessandra giaceva in una culla con baldacchino, circondata da regali costosi comprati da Olivia, ma nessuno la voleva più, tranne Irene.

Irene e Alessandra si trasferirono dalla madre. Nonostante il dolore, Irene si ricostruì, sostenendo la figlia. Alessandra crebbe dolce e talentuosa; contro ogni previsione, iniziò a parlare, a recitare poesie.

Irene si risposò con Federico, il compagno di classe che laveva sempre amata. Lui accolse Alessandra come sua figlia; ebbero altri due figli. Irene non si vergognò di Alessandra, aprì un blog, condividendo la loro vita.

Un giorno, un regista di un teatro di Milano per persone con sindrome di Down vide il video di Alessandra, la invitò a una rappresentazione. Divenne attrice, la famiglia si trasferì in capitale, portando anche la nonna.

Quando Alessandra compì diciassette anni, Massimo comparve al suo spettacolo con fiori, regali, vino negli occhi. Chiese perdono. Irene capì allora che lo aveva già perdonato da tempo.

Va bene, Massimo. Nessun rancore. Vivi felice. Grazie per la splendida figlia che ci hai dato.

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