La Magica Scopa per Tutta la Famiglia

“La Scopa” per Vito — e per tutta la famiglia

Vittorio entrò in casa come al solito, gettò le chiavi sul tavolino e si diresse dritto in cucina. Elisabetta era ai fornelli, mescolando una crema di zucca — il piatto preferito dei loro bambini. Lui non la salutò nemmeno.

— Dove hai messo la scopa? — le chiese senza nemmeno guardarla, con una freddezza che tagliava l’aria.

— Quale scopa? — si voltò Elisabetta, confusa, cercando di capire cosa stesse succedendo.

— Quella per lavare i pavimenti. Non si può più vedere come hai ridotto questa casa! — disse con sarcasmo, uscendo dalla cucina senza aspettare una risposta.

Elisabetta rimase immobile, fissando la porta. Non riusciva a crederci: cos’era successo al suo Vittorio, a quell’uomo che una volta la chiamava affettuosamente “Betta” e le lavava i piatti senza farsi pregare?

Non molto tempo prima era tutto diverso. Vittorio tornava dal lavoro, si toglieva la giacca e prendeva subito l’aspirapolvere. Non faceva distinzioni tra compiti da uomo e da donna: faceva ciò che serviva, con amore. Dopo cena, la stringeva a sé e la convinceva a riposare mentre lui sistemava tutto.

Vivevano felici. Serate con gli amici, cinema, feste. Poi arrivò la loro bambina, e Vittorio brillava di gioia. Due anni dopo nacque il loro maschietto. Tutti li ammiravano: una coppia perfetta, figli splendidi, un rapporto da invidiare.

— Betta, quanto sei fortunata — ripetevano le amiche. — Uomini così non esistono più.

Elisabetta era certa che il loro amore fosse vero. Eterno.

Ma, senza che se ne accorgesse, tutto cambiò. Vittorio tornava a casa irritato. L’energia svanì, la tenerezza si dissolse.

— Perché è tutto sottosopra? — chiedeva. — Io lavoro tutto il giorno, e tu non riesci nemmeno a preparare la cena? Cosa hai fatto oggi?

Lei cercava di spiegare: il piccolo aveva rovesciato la pappa, la bimba lo inseguiva ridendo, avevano sporcato tutto, persino le pareti. Aveva lavato, asciugato, consolato. Ma Vittorio non ascoltava. Era arrabbiato. Stanco. Un estraneo.

Una volta, mentre tagliava la cipolla, non capiva se a farle venire le lacrime fosse l’ortaggio o il dolore.

— Mamma me l’aveva detto… — sussurrava. — Non viziare troppo tuo marito. L’amore è amore, ma non devi annullarti per un altro. Ti salirà in testa e non ti dirà neanche grazie.

Eppure Elisabetta era certa che lei e Vito fossero fatti l’uno per l’altra. Lo sentiva. Lo capiva senza parole. Ma ora… tutto le sembrava un’illusione.

E Vittorio, visto che lei non reagiva, la considerava colpevole. Il suo silenzio confermava la sua “mancanza”. Si era autoproclamato giudice di casa. Ed Elisabetta sentiva il suo mondo crollare.

Ma forse il loro angelo custode decise di intervenire.

Arrivò una chiamata dal lavoro: c’era un posto che volevano offrirle da tempo. Uno stipendio migliore, condizioni vantaggiose. Una collega andava in pensione. Se avesse accettato, il posto era suo.

Sua madre si offrì di badare ai bambini finché non fossero andati all’asilo. Elisabetta, rinvigorita, si fece tagliare i capelli e rinnovò il guardaroba. Era tempo di ritrovare se stessa.

Nel frattempo, Vittorio… perse il lavoro. L’azienda fallì. Era disorientato, ma cercava di mantenere le apparenze:

— Io mi occupo dei bambini, non preoccuparti. Sto aggiornando il curriculum, cerco offerte. Se serve, chiameremo tua madre.

Elisabetta non discuteva. Lo sosteneva. Per la prima volta da mesi, con fermezza ma senza rancore.

Per due settimane, si immerse nel nuovo lavoro. A casa, apparentemente, tutto procedeva. Ma dopo un mese notò che la casa era più sporca, i vestiti lavati restavano in pile disordinate, i bambini erano nervosi. E Vittorio era sempre più irritabile. Un giorno gli fece notare con calma:

— Sai, mi sembra che tu ti sia un po’ rilassato troppo. Io lavoro e porto a casa i soldi, ma qui è tutto in disordine.

La sua voce era gentile ma precisa. Non offensiva, ma ammonitrice. Vittorio abbassò lo sguardo. Aveva capito.

— Betta… sono stato uno stupido. Solo ora ho realizzato quanto facessi — ammise quella sera. — Stamattina i bambini hanno litigato per la macchinina. Mentre li separavo, la pappa è bruciata. Ho dovuto fare una frittata, ma Dario non l’ha voluta. Mentre pulivo i fornelli, Sofia ha versato il latte. E come se non bastasse, mi chiamavano per un colloquio online. Sono andato in panico e ho risposto con il grembiule addosso. Però… mi hanno assunto. Inizio tra una settimana. Tua madre può ancora aiutarci?

Elisabetta annuì. Nei suoi occhi c’era una calma nuova, quella che arriva quando le cose finalmente tornano a posto.

Ora sapeva: lui aveva capito. L’aveva vissuto sulla sua pelle. Nessuna altra lezione sulla scopa. Avrebbe apprezzato. Non perché costretto, ma perché aveva imparato.

Quella sera, seduti a bere il tè, Sofia disegnava e Dario costruiva una torre con i cubi.

Elisabetta guardò il marito e, per la prima volta da tanto tempo, sorrise.

Lui incrociò il suo sguardo.

— Scusami se sono stato cieco — sussurrò. — Posso preparare io la cena domani?

— Certo — rise lei. — Ma la scopa non toccarla. È diventata il mio simbolo di potere.

Risero entrambi. E per la prima volta da moltissimo tempo, erano di nuovo insieme.

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