La mia amica ha un linguaggio affilato e affascinante: un mix di dolcezza e frustrazione.

La lingua della mia amica Fulvia Arcobaleno è sciolta come non mai. È una donna appariscente, pungente e furba. Ma a volte sa fingersi così innocente che ti viene voglia di prenderla in braccio e coccolarla. Questo, lei sa farlo bene.

Ricordo quel viaggio in pullman. I turisti stipati fino all’inverosimile. Alla guida c’era un tipo serio, Michele. Ci attendeva un lungo trasferimento notturno, e Michele non aveva un secondo pilota. Si girò verso il nostro gruppo chiassoso e disse:

—È un viaggio lungo, potrei addormentarmi al volante, peccato mortale! Ragazze, chi mi fa compagnia? Siedetevi qui, chiacchieriamo un po’. Poi vi offro qualcosa.

La gente fece facce acide: avevano pietà di lui, ma nessuno aveva voglia di rimanere sveglio al suo posto. Tutti sognavano di schiacciare un pisolino e svegliarsi già a destinazione.

Fulvia Arcobaleno venne in soccorso: si offrì di intrattenere Michele mentre gli altri russavano. Si spostò davanti, si sistemò la gonna, abbassò gli occhi—una modestia che non le apparteneva.

—Non so di cosa parlare, sono una ragazza timida, ma ci proviamo.

I passeggeri si preparavano a dormire, Michele sfrecciava sull’autostrada, il pullman divorava chilometri. Fulvia cominciò:

—Di cosa parliamo, comandante? Vuoi che ti racconti del mio primo amore? Avevo diciannove anni, tanto tempo fa…

—Eccellente argomento! —approvò Michele. —Anch’io una volta… nel secolo scorso. Vai, ricciolona!

—In quei tempi remoti, mi capitò la prima storia d’amore — iniziò Fulvia. —O forse la seconda, o la terza, non ricordo. Diciamo una delle prime dieci. Il nome del corteggiatore resterà segreto. Chiamiamolo… Lillo.

Michele sterzava e annuiva. Fulvia raccontava con dolcezza di come lei e Lillo si fossero incontrati, travolti da una passione incontenibile—proprio in mezzo a un viale al tramonto!

—Io e Lillo capimmo che ci eravamo cercati per tutta la vita! — declamò, con gli occhi che brillavano. —Subito dopo cena, ci alzammo e andammo incontro al destino! Ci ritrovammo a un crocevia, mentre in cielo accendevano le prime stelle e nei bar vicini cominciavano a volare i primi pugni…

—Parli come un poeta! —esclamò Michele. —E allora? Avete acceso la miccia? Vi siete dati alla pazza gioia?

—Tutto bene, ma dove andare? —si lamentò Fulvia. —A casa mia no, a casa sua no. Gli amici avevano le stanze occupate, per una camera d’albergo mancavano i soldi…

—La vita! — concordò Michele. —Anche io, da giovane, ho avuto i miei guai. Ormoni che esplodevano, ragazze pronte a tutto, ma nessun posto dove andare. Sembrava di doversi stendere in mezzo alla strada!

—Cercammo un angolo tranquillo, ma invano — continuò Fulvia. —Nella disperazione, provammo pure i cespugli di acacia—pieni anche quelli! Un’epidemia d’amore! E Lillo disse: «Va bene, cara, rimandiamo a un’altra volta?»

A Michele sparì il sonno all’istante. Ruggì tanto che quasi mollò il volante.

—Cosa? Un’altra volta? Che tipo miserabile! Se ci fossi stato io al posto suo, io… Dove l’hai scovato, questo fessacchiotto?

Fulvia rise con un suono misterioso, da sirena.

—Sto scherzando, Michele! Lillo, intelligente com’era, trovò una soluzione. Mi portò in un palazzo, dove la botola per il tetto non era chiusa…

—Ah, ecco la svolta! —si rasserenò Michele. —Anche il tetto va bene, basta una ragazza ardente e una notte buia. Stelle, nuvole, romanticismo… Una volta, io in un magazzino abbandonato… ma non importa. Continua, Fulvia.

Quando Fulvia è in forma, supera qualsiasi poeta in eloquenza. Con un sospiro, descrisse il cielo notturno che li osservava, quanto fossero piccoli su quel tetto altissimo, sotto l’antico universo e nient’altro.

—…gemendo di passione, cominciammo a spogliarci sul tetto… — Fulvia sussurrò dolcemente. —Indossavo un top alla moda con gli uncini stretti dietro. Mi spezzai le unghie per slacciarli! La gonna, leggera come un soffione, scivolò via, rivelando la pelle diafana… il vento caldo mi scompigliava i ricci ribelli… oh, che ricci avevo allora!

Michele ascoltava grugnendo—come fare a dormire? Fulvia era già splendida ora, figuriamoci a diciannove anni—avresti inondato il pullman di saliva.

—Mi spogliavo di tutto, fremente per bruciare nella fiamma dell’amore! — Fulvia cantilenò. —Nell’oscurità, si intravedeva già la sottile falce della mia biancheria… ci avvolse un profumo speziato di pelle, di impazienza, di languore… E allora Lillo disse…

—Sì! Sì! — borbottò Michele, socchiudendo gli occhi. —Che ha detto?

—Disse: «Sei fantastica, Fulvia! Ti spogli un’altra volta?»

Il povero autista sussultò dallo sdegno, ma, da professionista, riuscì a mantenere il controllo del pullman.

—Davanti a una donna nuda, e lui le chiede di spogliarsi di nuovo? — urlò. —Ma che deficiente! Gli avrei fatto un funerale che neppure il dentista avrebbe potuto ricostruire! Ma sai raccontare, è vero. A colori! Dovresti lavorare in quelle linee telefoniche… speciali.

Il pullman sfrecciava sull’autostrada. Luci rare sfilavano. Fulvia, con voce ammaliante, passò alla parte successiva del suo incontro con Lillo. Raccontò con fervore come i loro corpi si intrecciarono, i cuori che battevano a martello, un turbine nelle orecchie, ogni tocco una tempesta di emozioni, immobili sul tetto come due gocce fuse nel calice dell’esistenza…

—E? E… e… — incitò Michele. —Vai, Fulvia, non fermarti! Eh, dov’è finita la mia gioventù…

—…e allora Lillo disse: «Ho sbagliato mira!» — concluse Fulvia.

Lei ridacchiava, Michele mugugnava e batteva il pugno sul volante. Inutile dire che tutto il pullman ascoltava, senza chiudere occhio. Insomma, il viaggio fu insonne, ma divertente. Più tardi, la perfida Fulvia mi confessò:

—Se lo meritano! Volevano dormire alle mie spalle? Sbagliavano. Se io non dormo, nessuno dorme.

Autore: Dario Spinelli.

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