La mia anima è graffiata come da gatti” – la mia decisione riguardo al nonno mi spezza il cuore

«Mi sento proprio un nodo alla gola» — la decisione che ho preso su nonno mi strappa il cuore

In un paesino vicino a Verona, dove i vecchi platani riparano le strade dal caldo estivo, la mia vita a 38 anni è arrivata a un bivio doloroso. Mi chiamo Ginevra e ho fatto una scelta che salva la nostra famiglia, ma mi tormenta l’anima. Mia mamma piange, e io, nonostante il dolore, so che devo andare avanti. Portare nonno in una casa di riposo non è un tradimento, ma una scelta necessaria… allora perché mi sento così in colpa?

La famiglia allo stremo

Mio nonno, Antonio Rossi, è l’uomo che ho adorato fin da bambina. I suoi racconti sulla guerra, i suoi occhi buoni, le sue mani che mi accarezzavano — erano tutto il mio mondo. Adesso ha 87 anni e negli ultimi tempi è peggiorato molto. L’Alzheimer gli ha rubato i ricordi, la lucidità, l’indipendenza. Non riconosce più chi sono, confonde il giorno con la notte, a volte esce e si perde. Mia mamma, Maria Grazia, a 62 anni cerca di badargli, ma la sta logorando.

Viviamo in tre nel nostro vecchio appartamento: io, mamma e nonno. Mio marito Luca e i nostri due bambini, Beatrice e Matteo, hanno dovuto trasferirsi in affitto perché in casa era diventato impossibile. Nonno ha bisogno di cure continue: lascia il gas acceso, versa il caffè dappertutto, urla di notte. Mamma non dorme più, la sua salute peggiora, e io sono divisa tra lavoro, figli e la voglia di aiutare. Siamo allo stremo, fisicamente e emotivamente.

La scelta più dura

Ho resistito a lungo, ma un mese fa ho capito: nonno ha bisogno di assistenza professionale. Ho trovato una buona casa di riposo fuori città — pulita, con personale gentile, dove potranno occuparsi di lui giorno e notte. Ho deciso che pagherò io tutto, per non gravare su mamma. Sono 3000 euro al mese, ma sono pronta a fare straordinari, a lavorare il doppio, pur di saperlo al sicuro e di vedere mamma respirare.

Quando gliel’ho detto, è scoppiata in lacrime. «Ginevra, come fai? È tuo nonno, ci ha cresciuto, e tu lo butti via come un peso!» Le sue parole mi bruciavano. Mi guarda con rimprovero, sempre sul punto di piangere. Ho provato a spiegarle che non è abbandono, ma amore — per lui, per lei, per tutti noi. Ma non vuole sentire ragioni. Per lei la casa di riposo è una sconfitta, una vergogna. Crede che io scelga la via più semplice, anche se questa scelta mi spezza il cuore.

Il senso di colpa che non passa

La notte non dormo e quel nodo alla gola non va via. Vedo nonno che mi accarezzava i capelli da piccola, sento ancora le sue risate, le sue storie. E adesso? Mi fissa con gli occhi vuoti e chiede: «Tu chi sei?» Mi odio per non riuscire a fare di più, per non poterlo tenere con noi. Ma so che a casa non è al sicuro. L’altro giorno ha lasciato la pentola sul fuoco, poteva succedere il peggio. Non possiamo vivere nella paura continua.

Luca mi sostiene, ma a volte mi chiede: «Sei sicura? È tuo nonno…». I suoi dubbi alimentano la mia colpa. Beatrice e Matteo sono piccoli, ma sentono la tensione. L’altra sera Beatrice mi ha chiesto: «Mamma, nonno non se ne va, vero?» L’ho abbracciata, ma non sapevo cosa risponderle. Come spiegarle che lo faccio per amore?

La verità che fa male

Mamma non mi parla quasi più. Si occupa di nonno con un’ossessione tremenda, come per dimostrarmi che sbaglio. Ma vedo che sta crollando: la schiena curva, le mani che tremano, le lacrime quando crede che non la veda. Ho provato a riparlarle, ma mi ha risposto: «Vuoi liberarti di tuo padre per pensare solo a te stessa». Non è vero, ma le sue parole mi avvelenano il cuore.

So che la casa di riposo è la soluzione migliore. Là nonno avrà cure, pasti regolari, attività. Ma quando immagino che sarà lì, in una stanza sconosciuta, senza la voce di mamma, senza di me, mi viene il nodo alla gola. Sto davvero tradendolo? Sono egoista? O sto facendo l’unica cosa possibile per salvarci tutti?

La mia decisione

Questa storia è il mio grido per il diritto di scegliere, anche quando fa male. Ho il cuore pesante, ma non tornerò indietro. Firmerò il contratto con la casa di riposo, porterò nonno lì, anche se mamma mi odierà. Non lo faccio per me, ma per lui, per lei, per i miei figli. Se anche questa decisione mi strappa il cuore, credo sia giusta. A 38 anni voglio che la mia famiglia viva, non che sopravviva. Che pianga pure mamma, che pianga pure io, ma porterò questo peso per amore.

Non so se mamma mi perdonerà, se nonno capirà. Ma so che non posso più guardarci affogare tutti. Antonio Rossi merita la serenità, mamma meritE adesso, mentre firmo quei documenti con le mani che tremano, spero solo che un giorno capiranno che l’amore a volte ha il volto di una scelta difficile.

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