Era un incubo senza fine. Quattro giorni prima, mia moglie era morta dando alla luce nostra figlia. Stentavo ancora ad accettare linaccettabile: Anna non aveva nemmeno avuto il tempo di tenere in braccio la nostra bambina. Tutto ciò che volevo era tornare a casa.
“Questo bambino è davvero suo, signore?” chiese laddetta al gate con tono tagliente.
“Certo che è mia. Ha solo quattro giorni. Per favore, mi faccia passare,” risposi, la voce spezzata dalla stanchezza e dalla disperazione.
“Mi dispiace, signore, ma non può imbarcarsi. È troppo piccola,” replicò freddamente.
Non credevo alle mie orecchie. “Cosa intende? Mi sta dicendo che devo rimanere bloccato qui? Non conosco nessuno in questa città. Ho appena perso mia moglie! Devo assolutamente tornare a casa oggi!”
“Sono le regole, signore,” rispose, voltandomi le spalle.
In quel momento, mi sentii svuotato. Nessuna parola poteva descrivere il dolore. Ottenere un documento ufficiale avrebbe richiesto giorni… e io non avevo un posto dove stare, nessuno a cui rivolgermi. Ero completamente solo con la mia bambina.
Mi ero rassegnato a passare la notte su una panchina dellaeroporto, stringendola al petto, quando allimprovviso un pensiero mi attraversò la mente: forse cera una persona al mondo che poteva aiutarmi.
Presi il telefono e composi il suo numero.
Stavo combattendo contro il tempo. Pochi minuti prima, avevo ricevuto una chiamata da un ospedale in unaltra regione: una bambina era appena nata, e il mio nome era sul certificato di nascita come padre.
Allinizio, pensai fosse uno scherzo crudele. Ma sapevo che mia moglie si trovava in quella zona per un breve viaggio che le avevo organizzato in segreto, mentre io ristrutturavo la nostra casa per farle una sorpresa.
Io e Anna non avevamo mai avuto figli biologici, ma avevamo adottato tre piccoli tesori, perché ladozione era sempre stato al centro dei nostri sogni. Per accoglierli, avevamo dovuto ampliare la casada lì i lavori.
Ero particolarmente legato a questa causa. Cresciuto in affido, mi ero ripromesso di dare un giorno una famiglia a chi ne aveva bisogno. “Se posso aiutare questi bambini a diventare la migliore versione di sé stessi, avrò davvero fatto qualcosa di importante,” dicevo spesso a mia moglie.
Oltre ai nostri figli adottivi, ero padre di due ragazzi più grandi, nati dal mio primo matrimonio con Elena. La nostra storia era finita bruscamente dopo il suo tradimento… con il muratore che stava ristrutturando la nostra piscina. Una rottura dolorosa che mi aveva lasciato diffidente, ma determinato a ricostruire una famiglia solida.
Poi, due anni dopo, incontrai Anna. Dopo pochi mesi, ci sposammo. Nonostante i nostri sforzi, la natura non ci aveva mai donato un figlio. Così, avevamo scelto ladozione, sperando ancora in una gravidanza. E un giorno, il miracolo: Anna aspettava un bambino.
Per prepararci alla nascita, iniziai grandi lavori in casa: una cameretta, una stanza in più, un nido pronto ad accogliere risate e pianti. Regalai a mia moglie anche un viaggio in un luogo che aveva sempre sognato, per riposarsi prima del grande giorno.
Ma appena arrivata, le si presentarono complicazioni gravissime. Portata durgenza in ospedale, diede alla luce nostra figlia… prima di spegnersi per le conseguenze del parto.
Mi dissero di prendere la neonata immediatamente. Feci le valigie e presi il primo volo, il cuore straziato tra lemozione di conoscere mia figlia e langoscia di aver perso Anna.
Allatterraggio, corsi allospedale. Lì mi accolse Graziella, unanziana volontaria di 83 anni e recente vedova. Mi condusse nel suo ufficio.
“Mi dispiace per la sua perdita,” disse con dolcezza. Scoppiai in lacrime, incapace di trattenere il dolore. Graziella mi lasciò sfogare in silenzio, poi aggiunse: “Capisco che è qui per sua figlia, ma devo assicurarmi che possa prendersene cura.”
Le spiegai che ero già padre. Annuì, rassicurata, e mi diede il suo numero. “Mi chiami se ha bisogno,” disse. Mi offrì persino un passaggio per laeroporto il giorno della partenza.
Pochi giorni dopo, al momento dellimbarco, un nuovo ostacolo.
“Questo bambino è davvero suo, signore?” ripeté laddetta.
“Ma certo! Ha solo quattro giorni…”
“Mi dispiace, signore. Deve presentare il certificato di nascita e attendere che abbia almeno sette giorni per viaggiare. Sono le regole.”
Ero sconvolto. Dovevo davvero restare bloccato lì, senza famiglia né aiuto?
Stavo per passare la notte in aeroporto, stringendo mia figlia, quando mi ricordai di Graziella. Presi il telefono.
“Graziella… ho bisogno del suo aiuto.”
Senza esitare, venne a prenderci e ci ospitò a casa sua. Fui sopraffatto dalla sua generosità. Per oltre una settimana, ci accolse, mi guidò nei primi giorni da padre e mi aiutò a organizzare il rimpatrio della salma di Anna. La consideravo un angelo. Anche mia figlia sembrava sentire la sua bontà: alla sua voce, si calmava subito.
Col tempo, scoprii la vita piena di Graziella: quattro figli adulti, sette nipoti e tre bisnipoti. Insieme, ci prendemmo cura della piccola, facemmo lunghe passeggiate per lenire il dolore e onorammo il ricordo di suo marito defunto. In lei, vidi la madre che avevo perduto da tempo.
Quando finalmente ottenni il certificato di nascita, potei tornare a casa. Ma rimasi in contatto con Graziella. Ogni anno, la visitavo con mia figlia.
Finché un giorno, si spense serenamente. Al suo funerale, un avvocato mi informò che mi aveva incluso nel testamento, accanto ai suoi figli.
In memoria della sua immensa gentilezza, decisi di donare la mia parte a unorganizzazione benefica fondata con i suoi figli. Tra loro cera Silvia, la maggiore, con cui nel tempo nacque un legame profondo. Quel legame si trasformò in amore, e divenne, a sua volta, la moglie della mia vita… e la madre dei miei sei figli.