La mia suocera: la migliore amica che potessi avere

– Non osare parlare così di mia madre! – Lorenzo batté il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare le tazzine. – Si è sempre sacrificata per noi!

– Sacrificata? – Beatrice si girò dal piano cottura, brandendo il mestolo. – La tua mammina ha preso di nuovo le chiavi ed è arrivata senza preavviso! Ero in vestaglia, capelli come una Medusa! E lei che pontifica sulla pulizia di casa!

– Ma che ti prende? Una volta adoravi Eleonora…

– Una volta ero una povera illusa! – la voce di Beatrice tremava di rabbia. – Pensavo: che suocera meravigliosa mi è capitata. E invece spia ogni mio passo!

Eleonora Bianchi si fermò sulla soglia della cucina, ascoltando. Stringeva un sacchetto di focaccine – cotte al mattino per fare una sorpresa. Il cuore le si strinse. Forse dava davvero fastidio? Forse Beatrice la odiava?

– Mamma? – Lorenzo si voltò, vedendola. – Da quanto sei qui?

– Io… – Eleonora guardò confusa la nuora, poi il figlio. – Vi ho portato le focaccine. All’olio e rosmarino, le vostre preferite.

Beatrice voltò le spalle ai fornelli, le spalle tese. Un silenzio pesante, imbarazzato.

– Mamma, entra – Lorenzo le tirò una sedia. – Prendiamo un caffè.

– No, è meglio… che vada a casa – sussurrò Eleonora, posando il sacchetto. – Sono arrivata in un momento sbagliato.

Si voltò e uscì in fretta, cercando di nascondere il dolore. Alle spalle, voci soffocate di Lorenzo e Beatrice, ma evitò di ascoltare.

A casa, Eleonora si sedette alla finestra con una tazza di tè freddo. Com’era successo? Quando Lorenzo presentò Beatrice, l’adorò subita. Così carina, modesta, occhi gentili. E Beatrice sembrava sincera, la chiamava “mamma”, chiedeva consigli.

E ora? Forse si intrometteva? Forse andava troppo spesso? Ma abitano proprio accanto, basta attraversare la piazza! E vedere il nipote, il suo Leonardo.

La sera squillò il telefono. Beatrice.

– Eleonora, posso passare? Da sola…

– Certo, piccola, vieni.

Beatrice arrivò con gli occhi rossi, gonfi. Si sedette di fronte, le mani strette a pugno.

– Volevo scusarmi… per stamattina… Con Lorenzo presente… Non avrei dovuto.

– Beatrice, cosa è successo? – Eleonora si chinò verso di lei. – Cosa ti ha sconvolto così?

– È tutto insieme – si asciugò gli occhi con la manica. – All’ufficio tagli, non so se mi terranno. Leonardo è malato da tre settimane, i medici non capiscono. E Lorenzo… non vede che sono a pezzi. Lavoro, casa, bambino… E arrivi tu, non ero pronta, non in ordine…

– Oh, figliola – Eleonora si avvicinò, le mise un braccio sulle spalle. – Ma perché preoccuparti per le pulizie? Non sono una vicina ficcanaso, sono famiglia!

– È proprio questo – singhiozzò Beatrice. – Tu sei perfetta: casa splendida, cucini divinamente. Io al tuo confronto mi sento una schiappa.

Eleonora la guardò sorpresa.

– Beatrice, ma cosa dici? Una schiappa? Sei una moglie e madre meravigliosa. E casa… Cos’è casa quando il bimbo è malato e il lavoro ti travolge!

– Davvero non mi giudichi? – Beatrice alzò gli occhi lucidi.

– Ma figurati, cara. Ci sono passata anch’io con Lorenzo. Quando ebbe la varicella, febbre alta, io insonne per giorni. Arrivò mia suocera, vide i piatti sporchi, e giù a rimproverarmi. Ancora mi brucia.

Beatrice sorrise per la prima volta da tempo.

– Io pensavo mi giudicassi. Osservassi: “Vedi come vive lei? Casa trascurata, marito malnutrito…”

– Santo cielo – Eleonora scosse la testa. – Volevo solo aiutare. Porto le focaccine così non cucinate. Guardo Leonardo se devi uscire. E invece disturbo.

– Non disturbi – le disse piano Beatrice. – Sono io un’idiota. Nervosa e mi sono sfogata con te.

– Sai cosa? – Eleonora si alzò, andò in cucina. – Prendiamo un buon caffè con dei cannoli. E dimmi dell’ufficio. Forse troviamo una soluzione.

Parlarono fino a mezzanotte. Beatrice raccontò dei problemi al lavoro, delle preoccupazioni per Leonardo, dello stress. Eleonora ascoltava, annuiva, aggiungeva qualche parola.

– Sai, ho una conoscente all’Ufficio Scolastico Regionale – disse pensosa. – Magari può aiutare, se davvero ti tagliano.

– Seriamente? – Beatrice si animò.

– Certo. Domani telefono a Gabriella Rossi, vedo quali posti ci sono.

Quando Beatrice uscì, l’abbraccio fu diverso. Non formale, ma caldo, familiare.

– Eleonora, posso passare domani con Leonardo? Ho un colloquio e con lui è difficile.

– E che domande! Porto il nipote a spasso, ci divertiamo.

Lorenzo si stupì quando la moglie rientrò serena.

– Dove sei stata? – chiese, occhio alla TV.

– Da tua madre – Beatrice si sedette vicino, gli prese la mano. – Lorenzo, scusami per stamattina. Avevo torto.

– Su, capita – scrollò le spalle.

– No, non ‘capita’. Tua madre è d’oro. Io ero tesa e ce l’ho fatta pagare a lei.

Il giorno dopo Eleonora telefonò all’amica, che promise di ricevere Beatrice. Una settimana dopo, la nuora aveva un posto in una scuola vicina.

– Crede, lo stipendio è pure più alto che prima! – raccontava felice a Eleonora. – Vicinissima a casa e orario comodo.

– Vedi che è andato tutto bene? – sorrise Eleonora. – E tu che ti preoccupavi.

Da allora qualcosa cambiò. Beatrice passava non solo per bisogno, ma anche per chiacchierare. Eleonora non appariva più a sorpresa, telefonava prima.

– Beatrice, vengo stasera? Ho un libro nuovo per Leonardo.

– Certo, venga. Ho appena messo una crostata nel forno, prendiamo il t
E da quel giorno, ogni volta che si sedevano sul balconcino con due tazzine di caffè fumante tra le mani, sorridevano sapendo che, nonostante le inevitabili tempeste della vita, niente e nessuno avrebbe più rovinato la loro alleanza speciale, perché avevano scoperto il segreto più prezioso: la famiglia del cuore si sceglie, ogni giorno, con pazienza e una buona dose di ironia. E la loro scelta era ormai scolpita nel marmo, forte come le radici di un ulivo secolare. Credevamo fosse una strada lunga e piena di ostacoli, ma in realtà era iniziato tutto con una pentola di ragù finita male e la saggezza trovata in un semplice “scusa” detto nel momento giusto. Ora, quando la bora soffiava forte su Trieste, bastava affacciarsi alla finestra e vedere la luce accesa nella casa di Egle per sapere che un rifugio sicuro era lì, pronto ad accoglierle con un pezzo di torta e un paio di orecchie pronte ad ascoltare. Perché alla fine, il miglior regalo che la vita le avesse fatto non era stato il lavoro stabile di Marina o la salute di Danilo, ma quella complicità silenziosa che riempiva i silenzi e trasformava ogni problema quotidiano in una gag da ridere insieme il venerdì sera. Si scambiarono un’occhiata complici sulle loro panchine al parco, sorbendo lentamente l’ultimo sorso d’espresso, pronte per la prossima avventura – quale che fosse – sapendo di aver trovato il loro porto sicuro l’una nell’altra. .

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