La moglie chiude la porta

Vittorio stava davanti al portone di casa, esitando a suonare il campanello. Stringeva una valigia piena di vestiti, le chiavi dell’appartamento tintinnavano in tasca senza che lui osasse tirarle fuori.

Tre giorni prima, era uscito sbattendo la porta dopo un’ennesima lite, gridando a Teresa che non sarebbe più tornato. Lei gli aveva lanciato dietro una ciabatta, urlandogli di andarsene al diavolo. L’ennesima scenata in trent’anni di matrimonio.

Ma stavolta era diverso.

Premette il campanello. Passi dietro la porta, poi la voce di Teresa:

– Chi è?

– Sono io, Terè. Apri.

Silenzio. Lungo, sgradevole.

– Teresa, mi senti? – ripeté Vittorio.

– Ti sento, – rispose gelida la moglie. – E che vuoi?

– Che domanda! Sono tornato a casa mia.

– Questa non è più casa tua.

Vittorio rimase stordito. In trent’anni, Teresa non era mai arrivata a tanto, neanche nelle liti più grosse.

– Teresa, smettila con queste sciocchezze. Apri e parliamone da persone civili.

– Non apro. E non ho niente da dire.

– Che ti è preso? Perché tutto questo polverone?

– Lo sai bene tu perché.

E Vittorio lo sapeva. Tre giorni prima, Teresa aveva trovata nella tasca della sua giacca un numero di telefono scritto da una donna. Una storia banale – collega di lavoro, Ludovica Bianchi, che gli aveva lasciato il numero per una riunione. Ma spiegarlo alla moglie inferocita era stato impossibile.

– Teresa, te l’ho detto! È Ludovica Bianchi, contabilità. Un numero per lavoro.

– Per lavoro, già – risuonò la sua voce da dietro la porta. – E chiami per lavoro alle dieci di sera?

– Ma alle dieci di sera non ho chiamato nessuno!

– Fandonie. L’ho visto nel tuo cellulare.

Vittorio sentì un groppo allo stomaco. Aveva chiamato Ludovica, sì, ma per un altro motivo. La figlia della collega si iscriveva all’università, lui conosceva un docente e aveva promesso una raccomandazione. Una cortesia, senza secondi fini.

– Teresa, fammi entrare e spiego tutto con calma.

– No. Spiega da lì.

Vittorio si guardò intorno. Sul pianerottolo potevano comparire i vicini. Non voleva mettere in piazza i fatti suoi.

– Va bene, ascolta. Ho chiamato Ludovica Bianchi, vero. Ma non per il motivo che credi. Sua figlia fa l’esame di medicina, lì c’è un mio amico. Avevyo promesso di parlargli.

– E pensi che io creda a questa fiaba?

– Non è una fiaba, è la verità!

– La verità? E allora perché non me ne hai detto nulla? Perché nasconderlo?

Vittorio esitò. Davvero non aveva raccontato alla moglie della richiesta della collega. Non per cattivi motivi, semplicemente non credeva valesse la pena coinvolgerla in beghe lavorative.

– Non nascondevo. Non ci ho dato peso.

– Ah, non ci hai dato peso. E cos’altro non ti pesava? Vuoi raccontarmi perché l’altra sera eri al bar con lei?

Un colpo al cuore per Vittorio. Come faceva Teresa a saperlo?

– Come fai a…

– Gaetana Rossi vi ha visti. Dice che eravate appiccicati, che vi tenevate per mano.

– Ma non ci tenevamo per mano! – si indignò Vittorio. – E siamo stati mezz’ora. Si è offerta un caffè per ringraziarmi dell’aiuto per sua figlia.

– Certo, si è offerta. Abbondano le donne riconoscenti, adesso.

Nella voce di Teresa c’era un furore tale che Vittorio capì: facile non l’avrebbe fatto entrare.

– Teresa, amore, pensa con la tua testa. Perché dovrei cercare altre donne? Ho te, abbiamo la nostra famiglia.

– Avevamo una famiglia. Ora non più.

– Come non più? Ma cosa dici?

– Dico che sono stufa di vivere con un traditore.

– Traditore io? Ma non ho fatto niente di male!

– Non hai fatto? E cosa avresti combinato? Storie d’amore?

Vittorio appoggiò la fronte al legno della porta. La discussione andava in cerchio.

– Teresa, vediamoci domani, quando ti sarai calmata. Parliamo da persone adulte.

– Non mi calmo. E non ci vediamo.

– Teresa…

– Va’ dalla tua Ludovica Bianchi. Magari lei ti apre.

– Ma che dici? Quale Ludovica? Ho sessant’anni, sono nonno! Cosa me ne faccio di storie?

– E allora perché vai al bar con altre donne?

– Te l’ho spiegato! Ci sono andato un volta, per gentilezza.

– Una volta… E chissà quante altre?

Vittorio capì di essere in trappola. Qualsiasi cosa avesse detto, Teresa avrebbe trovato un appiglio.

– Bene, – disse, esausto. – Me ne vado. Ma riparleremo.

– Non parleremo affatto.

Vittorio prese la valigia e scese. Davanti al portone lo aspettava il figlio Massimo, che l’aveva accompagnato dalla stazione.

– Allora, papà? Ti ha fatto entrare? – chiese Massimo, vedendo il volto abbattuto del padre.

– No.

– Sul serio? – Massimo si stupì. – Mamma è impazzita?

– Non so, figlio. Non capisco cosa le sia preso.

Salirono in macchina. Massimo accese il motore ma non partì.

– Papà, ma cosa è successo davvero? Al telefono mi diceva cose… bizzarre.

– Che diceva?

– Boh… Che hai una amante. Che la tradisci.

Vittorio sospirò pesantemente.

– Massì, giuro su qualunque cosa – non ho nessuna. E non c’è mai stata. Tua madre se l’è inventato.

– E allora da dove salta fuori questa… come si chiama… Ludovica?

– Ludovica Bianchi è una collega. Una donna normale, nulla di che. L’ho aiutata con sua figlia, mi ha offerto un caffè. Tutto qui.

Massimo fissò il padre.

– Papà, parli sul serio?

– Sul serio, figliolo.

– Allora non capisco perché mamma monti su tutte le furie. Di solito passa subito.

– Neanch’io capisco.

La macchina si mosse. Massimo portò il padre a casa sua per la notte.

– Senti, papà, ma è possibile che non c’entri questa Ludovica?

– E cosa allora?

– Non so. Magari è successo qualcos’
Guido capì che sarebbe rimasto un estraneo davanti a quella porta che Chiara avrebbe chiuso per sempre con un colpo secco.

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