La moglie rideva mentre io piangevo.
“Ma smettila di fare la donna!” esclamò Ludovica voltandosi di scatto dai fornelli, mestolo in mano. “Che spettacolo ti sei messo in testa?”
Vittorio era seduto al tavolo della cucina, il volto nascosto tra le mani. Le spalle gli tremavano e tra le dita si intravedevano le tracce bagnate delle lacrime.
“Ludo, come fai a non capire… Era mamma,” riuscì a dire con voce strozzata.
“Mamma, mamma!” lo imitò lei, posando la pentola sul tavolo con un tonfo. “Ottant’anni li ha vissuti, che altro volevi? C’è chi non arriva neanche ai sessanta.”
Lui alzò gli occhi rossi verso di lei.
“Come puoi parlare così? Ti voleva bene come a una figlia.”
“Eh, sì, moltissimo,” sbuffò Ludovica. “Soprattutto quando mi diceva come cucinare la minestra o crescere i bambini. Trent’anni di consigli non richiesti.”
Si sedette di fronte a lui e si servì un piatto di pasta al pomodoro. L’appetito non le mancava, nonostante fossero tornati dal funerale della suocera solo poche ore prima.
“Basta piangere,” disse, addentando un pezzo di pane. “I morti non tornano indietro. Piuttosto, pensa a cosa faremo con il suo appartamento. Dovremmo venderlo prima che i prezzi calino.”
Vittorio si alzò di colpo, facendo cadere la sedia con un fracasso.
“Ma sei impazzita! L’abbiamo seppellita oggi e già pensi all’appartamento?”
“E quando dovrei pensarci? Tra un anno? Cinque? L’appartamento è vuoto, le bollette continuano ad arrivare. Bisogna essere pratici, Vittò.”
Lui si passò le mani tra i capelli. In quei giorni si sentiva come in un incubo. La madre aveva sofferto per mesi prima di morire, e lui era stato in ospedale ogni giorno, tenendole la mano. Ludovica, invece, non c’era mai andata, sempre con una scusa pronta.
“Ho mal di testa.”
“Sto prendendo freddo, non voglio contagiarla.”
“Ho troppo lavoro, non riesco a liberarmi.”
E ora, a tutto pensava, tranne che al dolore.
“Vado in camera,” disse Vittorio dirigendosi verso la porta.
“Dove? Mangia prima che diventi freddo.”
“Non ho fame.”
“Peccato. Il corpo ha bisogno di energie.”
Uscì sul balcone e chiuse la porta alle spalle. Il vento freddo di novembre gli bruciò il viso. Si appoggiò alla ringhiera e guardò giù nel cortile, dove i bambini giocavano. La vita andava avanti, mentre dentro di lui tutto sembrava andare in pezzi.
Sua madre se n’era andata, e con lei l’ultimo filo che lo legava all’infanzia, alla casa, a un tempo in cui qualcuno lo amava davvero. Ludovica non aveva mai capito quel legame. Per lei, la suocera era solo un peso, una fonte di problemi.
La porta cigolò.
“Vittò, rientra, fa freddo,” disse Ludovica, uscendo con una tazza di tè. “Bevi qualcosa di caldo.”
Lui prese la tazza con mani tremanti.
“Dimmi la verità, Ludo… Le volevi anche solo un po’ di bene?”
Lei scrollò le spalle.
“Volevo, non volevo… Che differenza fa ora? Abbiamo convissuto tutti questi anni, no?”
“Convissuto,” ripetè lui. “Sì, siamo solo sopravvissuti.”
Ludovica lo guardò, e per un attimo nei suoi occhi sembrò balenare una preoccupazione.
“Che ti prende? Non ti piace come viviamo?”
“Non lo so,” rispose onestamente. “In questo momento non so nulla.”
Rimasero in silenzio sul balcone. Lei si strinse nel suo accappatoio, lui bevve il tè a piccoli sorsi.
“Ricordi quando mamma ti insegnava a fare la pasta fresca?” chiese all’improvviso.
“Certo. Mi tormentava con i suoi consigli. Troppa farina, troppo poco uovo, la sfoglia non era mai perfetta.”
“E ricordi quando Matteo ha detto ‘nonna’ per la prima volta?”
“Ma che domande! Tutte le nonne sono felici in quei momenti.”
Vittorio posò la tazza vuota sulla ringhiera.
“E quando era in ospedale l’anno scorso con la polmonite? Tu le portavi qualcosa ogni giorno…”
Ludovica tacque. Non lo ricordava perché non era mai successo. Era stato sempre lui, mentre lei si lamentava al telefono con le amiche che il marito non aveva tempo per la famiglia.
“Andiamo dentro,” disse alla fine. “Si gela.”
Quella sera arrivò il figlio, Matteo, con la moglie, Ginevra. I giovani sembravano spaesati, quasi intimoriti. La morte era qualcosa con cui la loro generazione non aveva molta familiarità.
“Papà, come stai?” chiese Matteo abbracciandolo.
“Così così, figliolo.”
“Mi mancherà tantissimo la nonna. Era speciale.”
“Lo era,” concordò Vittorio, sentendo di nuovo il nodo in gola.
Ginevra si agitava impacciata.
“Vittorio, condoglianze. Era una donna meravigliosa.”
“Grazie, cara.”
Ludovica uscì dalla cucina con un vassoio.
“Sedetevi, facciamo due chiacchiere. Ho comprato una torta, alla nocciola.”
“Mamma, forse non è il momento…” disse Matteo con cautela.
“E quando sarebbe il momento? La vita continua, mica possiamo piangere per sempre.”
Tagliò la torta a fette e la distribuì. I suoi gesti erano rapidi, sicuri, come se fosse un normale pomeriggio di festa.
“Sapete,” disse alla nuora, “stavo pensando… forse potreste prendere l’appartamento della nonna? Tanto voi affittate ancora.”
Matteo e Ginevra si scambiarono un’occhiata.
“Mamma, è troppo presto per parlarne,” disse il figlio.
“Perché? È un buon appartamento, in centro, vicino alla metro. Farebbe al caso vostro.”
Vittorio si alzò di scatto.
“Ludovica, basta! Mia madre è stata sepolta oggi e tu già fai i conti in tasca ai morti?”
“Vittorio, non alzare la voce davanti ai ragazzi,” rispose lei con calma. “Sto solo ragionando.”
“Ragionando!” Lui alzò le braccia al cielo. “Hai sempre la testa piena di numeri!”
Lei strinse le labbra.
“E tu, invece, cosa vorresti fare? Piangere per sempre? A che pro?”
“A che pro?” Vittorio sentì la rabbia salirgli. “Rispettare chi non c’è più, ricordare una vita intera!”
“Lo abbiamo già fatto. Al cimitero e qui. Che altro serve?”
Matteo si alzò e prese il padre per un braccio.
“Papà, calmati. Capiamo che è difficile.”
“Non capite niente!” esplose Vittorio. “Nessuno di voi capisce!”
Uscì dalla stanza sbattendo la porta. Si fermò nel corridoio, appoggiato al muro, gli occhi chiusi. Il cuore gli martellava nel petto.
Dalla cucina arrivavano voci soffocate.
“Cosa gli succede?” chiedeva Matteo.
“È molto scosso,” rispondeva Ludovica. “Era un mammone, lo è sempre stato.”
La sua voce era piena di sarcasmo. Anche oggi, anche in questo giorno.
Vittorio andò in camera e si sdraiò vestito. Il soffitto gli girava davanti agli occhi, leVittorio chiuse gli occhi, mentre il rumore delle risate dalla cucina si mescolava al silenzio della sua sofferenza, e capì che sarebbe rimasto solo anche nella stanza affollata della sua vita.