La neve cadeva come aghi gelati dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto crepato della strada secondaria con uno strato sempre più spesso.

La neve cadeva come aghi di ghiaccio dal cielo grigio, ricoprendo lasfalto crepato di una strada secondaria con uno strato sempre più spesso. In quel bianco infinito, una figura minuscola avanzava lentamente, barcollante, come unombra sul punto di svanire.
Ginevra aveva appena cinque anni.
Il suo corpo, troppo piccolo e magro per affrontare una tormenta invernale, si piegava su due fagotti avvolti in coperte sfilacciate. Erano i suoi fratellini appena nati, Matteo e Margherita. Le loro guance erano rosse per il freddo, le labbra quasi non si muovevano mentre dormivano. Non sapevano che la morte era vicina.
Ginevra, invece, lo sapeva.
Ogni passo le faceva male. I suoi piedi, coperti da calzini strappati e un paio di ciabatte logore, non sentivano più il terreno. Ma lei continuava, perché doveva proteggerli. Lo aveva promesso alla sua mamma.
«Prenditi cura di loro. Qualsiasi cosa accada, non lasciarli soli.»
Quelle furono le ultime parole che udì da sua madre prima che unambulanza se la portasse via nel cuore della notte. E lei non tornò mai più.
Poche ore prima, allorfanotrofio Santa Maria, Ginevra aveva sentito la signora Rossila direttriceparlare con voce secca:
«Domani li separeremo. La bambina andrà in una famiglia a Bologna. Il bambino, a Firenze.»
Ginevra, nascosta dietro le scale, sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi.
«No! Non potete separarli! Sono piccoli. Sono la mia famiglia.»
Quella stessa notte, mentre tutti dormivano, si avvicinò alla culla dove riposavano i gemelli. Li avvolse nelle coperte più spesse che trovò e, con fatica, li sollevò. Uscì dalla porta posteriore, quella che i cuochi dimenticavano sempre di chiudere bene.
Scappò senza una meta.
Ora, su quella strada ghiacciata, Ginevra riusciva a malapena a stare in piedi. Il pezzo di pane che aveva messo da parte dalla colazione lo aveva dato a Margherita ore prima. Da allora non aveva mangiato nulla. Il vento le mordeva la pelle. Le lacrime le si ghiacciavano prima di raggiungere il mento.
«Non vi preoccupate,» sussurrava. «Andrà tutto bene.»
Lo ripeteva come un mantra, come se quelle parole potessero trasformarsi in realtà.
Allimprovviso, dei fari lontani squarciarono la nebbia. Unauto nera, elegante, si avvicinava lentamente. Ginevra, con le ultime forze, si fermò in mezzo alla strada, alzando un braccio tremante.
Lauto frenò di colpo.
Dal vehículo scese un uomo alto, giovane, ben vestito. Si chiamava Lorenzo De Luca. Imprenditore. Erede di una fortuna. Tornava da un incontro daffari a Verona e, per un presentimento, aveva scelto una strada diversa per rientrare in città.
Mai avrebbe immaginato cosa avrebbe trovato.
«Ma che…?»
Corse verso la bambina. Ginevra cadde in ginocchio proprio mentre lui arrivò.
«Piccola! Che ci fai qui? Sei sola?»
Lorenzo notò i fagotti. Due faccine minuscole, appena coperte. Erano pallidi.
«Dio mio!» sussurrò.
Senza perdere tempo, prese i gemelli tra le braccia e sollevò anche Ginevra come poté. Li sistemò sul sedile posteriore, accese il riscaldamento al massimo e chiamò il suo medico privato.
«Sto arrivando. Ho tre bambini, uno di loro non reagisce. Prepara tutto. Sarò lì in quindici minuti.»
Nello studio medico, la dottoressa Bianchi li accolse durgenza. I gemelli furono messi in incubatrici improvvisate. Ginevra, su una barella termica.
«Cosè successo, Lorenzo?» chiese la dottoressa.
«Li ho trovati sulla strada. Lei li proteggeva con il suo corpo. Aveva la febbre! È denutrita. Possono salvarsi?»
«Faremo il possibile. Ma la bambina… è al limite.»
Mentre i medici lavoravano, Lorenzo rimase solo nella sala dattesa. Qualcosa in quella bambina gli aveva toccato lanima. Non era solo il gesto eroico. Era il suo sguardo. Una miscela di paura e coraggio, come se avesse combattuto per tutta la vita.
Allalba, la dottoressa uscì con unespressione seria.
«I gemelli sono stabili. E la bambina… anche lei. Ma devo sapere chi sono. Non è normale.»
Lorenzo annuì. Quando Ginevra si svegliò, fu il primo ad avvicinarsi.
«Ciao, sono Lorenzo. Ti ho trovata sulla strada. Come ti chiami?»
«Ginevra,» rispose con voce flebile. «Loro sono Matteo e Margherita. I miei fratellini.»
«Dove sono i tuoi genitori?»
«La mamma è morta. Il papà… non lho mai conosciuto.»
«E perché eri sola con loro?»
Ginevra deglutì. Esitò. Poi gli raccontò tutto.
Lorfanotrofio. La separazione. La promessa.
Lorenzo ascoltò in silenzio. Quando finì, aveva gli occhi lucidi.
«Sei molto coraggiosa, Ginevra.»
Due giorni dopo, Lorenzo prese una decisione radicale.
«Adotterò tutti e tre.»
«Sei sicuro?» gli chiese la dottoressa. «Sei single. Non hai mai avuto figli.»
«Loro hanno bisogno di me. E… io ho bisogno di loro.»
La notizia si diffuse in tutta la città. «Giovane milionario adotta tre orfani dopo averli trovati nella neve.» I social si riempirono di messaggi. Alcuni lo chiamavano eroe. Altri, pazzo.
Ma a Lorenzo non importavano i titoli.
Lunica cosa che contava era vedere il sorriso di Ginevra quando entrava nella stanza e lei correva ad abbracciarlo.
«Grazie per averci salvato, papà,» gli disse un giorno, per la prima volta.
E lui, commosso, la strinse forte al petto.
«No, piccola mia… grazie a te per avermi insegnato cosa significa avere una famiglia.»
Epilogo:
Mesi dopo, Lorenzo fondò un centro di sostegno per bambini orfani: Casa della Speranza Ginevra. Lì, centinaia di piccoli trovarono un nuovo inizio.
Ginevra, ormai sei anni compiuti, camminava tra loro come una piccola leader, con i suoi due fratellini per mano.
E quando qualcuno le chiedeva perché fosse così coraggiosa, rispondeva con un sorriso:
«Perché una volta, in mezzo alla tempesta, ho promesso di proteggere chi amo… e non romperò mai quella promessa.»

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