– Nonno, guarda, è ancora lì – la voce di Antonietta era intrisa di preoccupazione tra le lacrime. Appoggiata al davanzale, con la fronte premuta contro il vetro, osservava la scena. – È lì da ore, non si è nemmeno mossa!
– Forse è morta? – domandò Giorgio con un tono di antipatia. – Se non si muove…
– No, gli occhi sono aperti e non abbassa la testa. È lì che fissa un punto nel vuoto, senza badare a nulla. Persino quando il vicino ha portato fuori il cane, non ha girato la testa.
– Probabilmente è malata, – suggerì Giorgio. – È la sua ora, ecco, si sta spegnendo. Ha scelto proprio questo posto!
– No, non è così! – Antonietta lo guardò con riprovazione. – Te lo ricordi il quinto piano, vero? Ci viveva un’anziana signora, circa dieci anni più grande di noi. L’hanno seppellita ieri. Quella è la sua gatta. La padrona è al cimitero, e la gatta per strada. Oh, gente, gente…
Giorgio ricordava la signora. Un tempo conosceva suo marito, anche se non erano amici. Si salutavano con un cenno del capo quando si incontravano. Fu lui a organizzare gli uomini per costruire un’area giochi nel cortile, nonostante non avesse più figli che ne avessero bisogno. Allo stesso tempo, costruirono anche alcuni tavoli con panche sotto le betulle. Questo era per gli adulti. Le betulle centenarie si erano miracolosamente salvate, ricordando che un tempo, in quel luogo, c’era una foresta. Era un luogo di ritrovo amato dagli uomini. Nel tempo libero, amavano giocare a carte, fare qualche partita a scacchi, e, confessiamolo, bere un bicchierino per festeggiare. Ancora oggi, i residenti del quartiere si raccolgono sotto le betulle. I tavoli e le panchine sono stati cambiati più volte, ma gli alberi continuano a crescere, offrendo ombra agli anziani, proteggendoli dal sole estivo.
– Ieri, dici? – Giorgio fissava la televisione, aspettando che la pubblicità fastidiosa finisse durante l’intervallo della partita di calcio. – E i figli? Avrebbero potuto prendersela.
– I figli… – sospirò Antonietta. – Sai bene che ai figli interessa solo l’appartamento. Tutto ciò che è prezioso per gli anziani, che custodiamo come fosse oro, loro, quando verrà il momento, lo butteranno nella spazzatura. E anche i nostri oggetti, le foto di famiglia, che abbiamo protetto per tutta la vita. Persino i certificati e le medaglie. Questa è la vita ora. Ma perché la gatta? Anche lei ha un’anima.
Antonietta borbottava ancora qualcosa, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto. Poi si allontanò dalla finestra e, senza dire nulla al marito, si mise le scarpe ed uscì dall’appartamento. Non tornò per circa quindici minuti. Rientrò stringendo al petto la povera gatta rimasta orfana, che si lasciava trasportare come un fagottino senza vita.
– Giudicami pure, rimproverami se vuoi, ma non ce la facevo! – disse dalla soglia e posò la gatta sul pavimento dell’atrio.
La gatta, una comunissima sorianella grigia, non si mosse oltre il corridoio, si accoccolò vicino alla porta e fissò il vuoto con aria indifferente. Era anziana, avendo dai dieci ai dodici anni, non meno. Giorgio non rispose, non girò nemmeno la testa. Rimase seduto sulla poltrona davanti alla tv, come sempre. Antonietta, disapprovando il marito, scosse la testa e andò in cucina, pensierosa su come nutrire la gatta.
Il mattino seguente, la gatta era ancora lì, ma il cibo nella ciotola era sparito, leccata perfettamente pulita.
– Bene, – disse dolcemente Antonietta. – Hai mangiato, quindi hai voglia di vivere. Hai ancora tempo prima di raggiungere la tua padrona. E con il tempo, ti abituerai a noi.
Ma la gatta si abituò con difficoltà. Solo dopo una settimana cominciò a mostrare interesse per i nuovi padroni. Sempre vicino all’ingresso, alzava la testa per salutare o guardare i due, anche se con uno sguardo distaccato. Antonietta la accarezzava sul morbido pelo, parlava con dolcezza, cercava di offrirle qualcosa di gustoso. Ma la gatta mangiava solo di notte, quando i padroni dormivano. Per la lettiera, Antonietta riempì una vaschetta con sabbia pulita e la mise nel bagno, lasciandone la porta aperta.
Questo infastidiva Giorgio, che era abituato all’ordine di casa e considerava la porta aperta un’infrazione del suo sistema.
– Sei proprio qui, – brontolava uscendo di casa e scavalcando la gatta. – Non c’è altro posto?
La gatta non rispondeva, osservandolo solo con i suoi tristi occhi verdi. Un giorno, inciampò persino, tornando dal negozio con le borse della spesa.
– Dannazione! – si irritò. – Levati di qui! C’è tanto spazio in camera, perché stare qui?
La gatta ascoltò il monologo e, alzandosi dal tappetino su cui si era accoccolata, seguì Giorgio in stanza. Lui e Antonietta la seguirono con lo sguardo. Da allora Matilde trascorreva le giornate accoccolata in un angolo della stanza, non muovendosi e non arrecando disturbo.
– È questa una gatta? – brontolava Giorgio. – È una vecchia. Mangia quel che le diamo e torna a dormire senza far rumore. Non si fa né vedere né sentire.
– Ma cosa dici! – Antonietta si offendeva per la gatta. – Pensa a quanti anni ha passato con la sua padrona! Le manca, di certo. La sua vita era con lei. Ora ricorda i giorni felici, sa bene che non torneranno più. Quando sarai vecchio e vivrai con i figli, ti metterai anche tu in un angolino, ricordando i tempi passati e dando fastidio a tutti. Dio voglia che non ti caccino via e non inciampino su di te!
Questa conversazione toccò l’anima di Giorgio. Cominciò a guardare la gatta con occhi diversi, immaginando sé stesso al suo posto. Non la rimproverava più, non minacciava di cacciarla.
Un giorno portò persino del cibo specifico per gatti dal negozio, anche se Antonietta le dava il brodo del suo minestrone, con pezzetti di carne cotta.
Una calda sera d’estate, Antonietta tornava dalla figlia. Le aveva chiesto di badare al nipotino – si era preso un malanno, e non c’era nessuno a tenerlo, visto che gli adulti erano sommersi di lavoro.
Il nipotino stava benissimo, scorrazzando per casa come un pazzo – chiunque desidererebbe stare così bene da malato. Sorridendo, ricordava i giochi vivaci del nipote, in cui si era lasciata coinvolgere anche lei, contagiata dall’entusiasmo infantile.
Entrata in casa, udì la voce sommessa del marito. Stava tenendo una conversazione dettagliata. Con chi parlava?
– La vita è così… A volte sembra che tutto sia finito! È più facile stendersi e morire che superare. Ma con il tempo, tutto si sistema e torna di nuovo la voglia di vivere. I pensieri sciocchi si allontanano. L’importante è resistere. E se c’è qualcuno che ti comprende, ti sostiene, è ancora meglio!
Antonietta si ritrovò a osservare con stupore il marito che discuteva animatamente con Matilde! La gatta era accoccolata sul bracciolo della poltrona, ascoltandolo attentamente, inserendo di tanto in tanto un miagolio: “Miao!”
– Ti capisce? – chiese Antonietta curiosa, un po’ risentita con la gatta. “L’ho raccolta io, la curo, la nutro, e non ha mai parlato con me.”
– Certo! – confermò Giorgio convinto. – A proposito, non si chiama Matilde, ma Caterina.
– È stata lei a dirtelo? – rise Antonietta.
– Sì, vero Caterina? – Giorgio annuì.
– Miao! – la gatta diede una testata a Giorgio sulla spalla.
– Meglio che tu vada al negozio, – Antonietta sorrise. – Ho finito la farina, e volevo fare delle crepes. Ti piacciono le crepes?
Giorgio, senza rispondere, si alzò dalla poltrona, accarezzò Caterina e uscì dall’appartamento. Antonietta notò come la gatta lo osservava con occhi innamorati.
Tornò poco dopo, con un pacco di farina e qualche confezione di cibo per gatti.
– Preparati, vecchia signora, sotto i platani i ragazzi stanno giocando a carte. Andiamo anche noi, è da tanto che non ci vado.
– Sei matto, vecchio! – Antonietta lo osservava sbalordita. – Non so nemmeno giocare a uno dei vostri giochi. Che idea!
– Non parlo di te, – rispose tranquillamente Giorgio. – Mi rivolgevo a Caterina…
Mentre setacciava la farina, Antonietta gettò un’occhiata fuori dalla finestra, vedendo suo marito attraversare il cortile – verso i platani, accompagnato dalla gatta, che a ogni tanto alzava la testa e chiedeva qualcosa. E Giorgio le rispondeva, gesticolando con enfasi. Sul serio!