**Diario di un Figlio Pentito**
Nonna Rosa si svegliò in una struttura per anziani. Mia moglie aveva organizzato tutto con precisione, ma aveva dimenticato un dettaglio
La coscienza tornò a Rosa Bruni allimprovviso. Aprì gli occhi e si ritrovò in una stanza sconosciuta, che sembrava un reparto ospedaliero. La testa le martellava, le tempie pulsavano di dolore, e nella sua memoria cera solo un vuoto. Come ci era finita? Cosa era successo?
Chiuse gli occhi e cercò di ricostruire gli eventi che lavevano portata lì. Davanti a sé rivide il suo appartamento a Milano, modesto ma accogliente, che aveva ereditato dal marito defunto, Enrico. Dopo la sua morte, aveva continuato a vivere lì con me, suo figlio Luca. Per anni, tra noi cera stato affetto e rispetto.
Tutto cambiò quando arrivò mia moglie, Beatrice. Fin dal primo momento, latmosfera si surriscaldò.
“È uno schifo,” disse Beatrice, guardandosi intorno. “Questi mobili sembrano pezzi da museo, le tende sembrano uscite dagli anni 70. Tutto va buttato!”
Nonna Rosa trattenne a stento la rabbia. Per lei, ogni oggetto in casa era legato ai ricordi di Enrico.
“Questa è casa mia,” rispose seccamente. “Decido io cosa tenere. Se non ti piace, nessuno ti trattiene.”
Per Beatrice, quelle parole furono una dichiarazione di guerra. Da quel giorno, iniziò a criticare tutto.
“Non si respira con tutta questa polvere!” protestò una volta, indicando i libri. “E poi, aspettiamo un bambino, sai?”
Nonna Rosa esplose: “Questi libri non sono solo carta! Se vuoi respirare, spolvera. Ma non toccare la mia biblioteca. E aspetta che io non ci sia più, prima di cambiare tutto.”
Le liti diventarono insostenibili. Alla fine, io e Beatrice ci trasferimmo in un appartamento in affitto. Ma non smisi mai di visitare mia madre. Una volta, imbarazzato, le chiesi:
“Mamma, per favore, cerca di andare daccordo con Beatrice. È difficile, e abbiamo bisogno di te.”
“Ci provo,” sospirò. “Ma mi sembra che a lei piaccia litigare.”
“Risolveremo,” dissi, anche se non sapevo come.
Poi la sua vita cambiò quando al parco conobbe Vittorio, un vedovo gentile e solitario. Parlarono a lungo, e per la prima volta dopo anni, nonna Rosa sembrò rinascere.
Una sera, decise di presentarlo a noi.
“Luca, Beatrice, questo è Vittorio. Abbiamo deciso di vivere insieme.”
Vittorio sorrise. “Voi potete trasferirvi nel mio bilocale. È piccolo, ma non pagherete affitto.”
Beatrice scoppiò: “Ma vi prendete gioco di me? Io con un bambino in una stanza, e voi vi godete la vita? Mai!”
Sbatté la sedia e se ne andò. Io, rosso di vergogna, borbottai: “Scusate gli ormoni” e la seguii.
Nonna Rosa rimase lì, sconvolta.
Il ricordo si interruppe con un fitto dolore. Riaprì gli occhi. Dovera? Come ci era arrivata?
Entrò uninfermiera in camice bianco, che controllò il polso e la temperatura senza dire una parola.
“Signora, mi dica dove sono? Cosa mi è successo?”
“Non ricorda?” rispose fredda. “Ha aggredito unanziana. Labbiamo salvata per miracolo. È stata fortunata.”
“Ma è impossibile!” esclamò nonna Rosa. “Non ho toccato nessuno!”
Linfermiera non rispose. Le fece uniniezione e uscì.
Poco dopo, entrò una donna sulla sessantina, dal viso aperto.
“Ciao. Sei Rosa, vero? Io sono Elena. Questo non è un ospedale. È una casa di riposo. E quasi nessuno ci finisce per malattia, ma per problemi in famiglia.”
Nonna Rosa era sconvolta.
“Ma io ho tutto lappartamento, la pensione. Mio figlio non farebbe mai una cosa del genere!”
“Qui tutti avevano tutto,” sospirò Elena. “Ma guardaci. Per alcuni improvvisa demenza, per altri aggressioni. Tutto si può falsificare.”
“Non sono malata! Ho la mente lucida!” gridò nonna Rosa, trattenendo le lacrime.
“Allora ricorda. Cera qualcosa di strano? Sintomi?”
Nonna Rosa tacque. Negli ultimi giorni, Beatrice aveva iniziato a portarle da mangiare spesso. Specialmente quelle torte così buone, dopo le quali si sentiva stordita I pensieri si confondevano.
“È stata lei. Mi odiava. Ma Luca Vittorio mi troveranno.”
Elena scosse la testa. “Non illuderti. Qui nessuno chiama, nessuno scrive. Siamo dimenticati. I documenti sono in regola. Tutto legale.”
“Non mi arrendo. Scapperò!” disse risoluta.
“Non ora. Hai visto quellinfermiera, Irina? Non è solo cattiva è pericolosa.”
Le parole di Elena la gelarono. Ma nonna Rosa le strinse la mano.
“Non possiamo restare. Dobbiamo uscire, a qualunque costo.”
“Ho unidea,” sussurrò Elena. “Cè uninfermiera buona qui, Daniela. Vuole aiutare, ma non sa a chi rivolgersi. Qui siamo isolati.”
“Ma io ho un contatto!” esclamò nonna Rosa. “Vittorio, è un ex militare. Non ci abbandonerà!”
La sera dopo, quando linfermiera Daniela entrò nella stanza, le due donne si scambiarono unocchiata.
“Avete pochi minuti,” sussurrò Daniela, porgendo un cellulare.
Con mani tremanti, nonna Rosa compose il numero. Dopo pochi squilli, risposero.
“Vittorio, sono io, Rosa. Ti spiego dopo. Vieni subito a questa