La notte prima dell’alba
Quando iniziarono le contrazioni di Elena, l’orologio segnava le tre meno un quarto. L’appartamento era immerso in una penombra umida: fuori dalla finestra cadeva una pioggerellina fine, e i lampioni disegnavano riflessi sfocati sull’asfalto. Andrea si alzò dal divano prima di leinon aveva quasi dormito tutta la notte, agitandosi sulla sedia della cucina, controllando più volte la borsa vicino alla porta o sbirciando dalla finestra. Elena giaceva su un fianco, con una mano premuta sulla pancia, contando i secondi tra unonda di dolore e laltra: sette minuti, poi sei e mezzo. Cercava di ricordare la respirazione del videoinspirare dal naso, espirare dalla boccama il respiro le usciva irregolare.
«È ora?» chiese Andrea dal corridoio, la voce ovattata dalla porta della camera semichiusa.
«Sembra di sì» Si mise seduta con cautela sul bordo del letto e sentì il freddo del pavimento sotto i piedi scalzi. «Le contrazioni sono più frequenti.»
Si erano preparati per questo momento tutto lultimo mese: avevano comprato una grande borsa blu per lospedale, riempita con tutto ciò che era scritto sulla lista stampata dal sito. Passaporto, tessera sanitaria, cartella clinica, una camicia da notte di riserva, il caricabatterie del telefono e persino una barretta di cioccolato «per ogni evenienza». Ma ora persino quellordine sembrava fragile. Andrea si affannava davanti allarmadio, rovistando tra le cartelle con i documenti.
«Il passaporto ce lho La tessera Eccola Dovè la cartella clinica? Lhai presa ieri?» Parlava veloce e a bassa voce, come se temesse di svegliare i vicini attraverso il muro.
Elena si alzò a fatica e andò in bagnodoveva almeno lavarsi il viso. Lì dentro odorava di sapone e di asciugamani leggermente umidi. Nello specchio la guardava una donna con occhiaie scure e capelli arruffati.
«Forse chiamiamo un taxi subito?» gridò Andrea dal corridoio.
«Sì Ma controlla ancora la borsa»
Erano entrambi giovani: Elena aveva ventisette anni, Andrea poco più di trenta. Lui lavorava come ingegnere progettista in una fabbrica locale, lei insegnava inglese a scuola prima del congedo di maternità. Lappartamento era piccolo: cucina-soggiorno e una camera da letto con vista sul viale. Tutto ricordava i cambiamenti imminenti: la culla nellangolo era già montata, ma dentro cera una pila di lenzuolini; accanto, una scatola di giocattoli regalati dagli amici.
Andrea chiamò un taxi con lapplicona gialla apparve sullo schermo quasi allistante.
«Lauto arriverà tra dieci minuti» Cercava di parlare con calma, ma le dita gli tremavano sullo schermo.
Elena infilò una felpa sopra la camicia da notte e cercò il caricabatterie: la batteria era al diciotto per cento. Infilò il cavo nella tasca della giacca insieme a un asciugamano per il visopoteva servirle lungo la strada.
Nellingresso cera odore di scarpe e della giacca di Andrea, ancora un po umida dopo la passeggiata della sera prima.
Mentre si preparavano, le contrazioni si facevano più intense e frequenti. Elena evitava di guardare lorologio: meglio contare i respiri e pensare alla strada da fare.
Uscirono nel pianerottolo cinque minuti prima dellorario previsto: la luce fioca del corridoio proiettava un alone pallido vicino allascensore, da cui saliva una corrente daria. Sulle scale faceva fresco; Elena si strinse nella giacca e tenne stretta la cartella con i documenti.
Giù, davanti al portone, laria era umida e fresca anche per maggio: gocce di pioggia scivolavano sulla tettoia, i pochi passanti si affrettavano lungo il marciapiede, avvolti nei cappotti o col cappuccio tirato su.
Le macchine nel cortile erano parcheggiate alla rinfusa; in lontananza si sentiva il rumore sordo di un motorecome se qualcuno lo riscaldasse prima del turno di notte. Il taxi era già in ritardo di cinque minuti; il puntino sulla mappa si muoveva lentamente: lautista evidentemente faceva giri inutili tra i cortili o aggirava qualche ostacolo.
Andrea controllava nervosamente il telefono ogni trenta secondi:
«Dice: Due minuti. Ma sta facendo un giro più lungo Forse cè un cantiere?»
Elena si appoggiò alla ringhiera del portone e cercò di rilassare le spalle. Allimprovviso si ricordò della barretta di cioccolato: infilò una mano nella tasca laterale della borsa e si assicurò che ci fosse. Una piccolezza, ma era bello avere qualcosa di familiare in quel caos.
Finalmente i fari sbucarono dallangolo del palazzo: una Renault bianca rallentò davanti al portone e si fermò con precisione vicino alla scalinata. Lautista scese per aiutareun uomo sulla quarantina con un viso stanco e una barbetta corta; aprì rapidamente lo sportello posteriore e aiutò Elena a sistemarsi con tutto il bagaglio.
«Buonanotte! Ospedale? Ho capito! Allacciate le cinture, per favore» Parlava con tono allegro, senza alzare troppo la voce; i suoi movimenti erano decisi ma senza fretta. Andrea si sedette accanto a Elena dietro il conducente; la portiera sbatté più forte del solitodentro lauto si sentiva un misto di aria fresca e residui di caffè dalla tazza termica vicino al freno a mano.
Usciti dal cortile, finirono subito in un piccolo ingorgo: davanti a loro lampeggiavano le luci gialle dei mezzi stradaligli operai stavano rifacendo lasfalto di notte, sotto le rare lampade. Lautista alzò il volume del navigatore:
«Eccoci Avevano promesso di finire a mezzanotte! Adesso giriamo dalla stradina laterale»
In quel momento Elena si ricordò improvvisamente della cartella clinica:
«Fermi! Ho dimenticato la cartella! È rimasta a casa! Senza quella non mi accettano!»
Andrea impallidì:
«Vado subito a prenderla! Non siamo lontani!»
Lautista guardò nello specchietto:
«Tranquilli! Quanto ci metterete? Aspetterò qui tutto il tempo che servecè ancora margine!»
Andrea saltò fuori dallauto quasi di corsa, gli schizzi dalle pozzanghere volavano ai lati dei suoi passi. Tornò dopo quattro minuti, ansimantela cartella era con lui, insieme al mazzo di chiavi: le aveva dimenticate nella serratura ed era dovuto risalire le scale. Per tutto il tempo, lautista aveva guardato la strada in silenzio. Quando Andrea si risedette, lui annuì brevemente:
«Tutto a posto? Allora andiamo!»
Elena strinse i documenti al petto; unondata di dolore più forte delle precedenti la travolsecercò di respirare regolarmente a denti stretti. Lauto avanzava lentamente lungo il tratto in riparazione; attraverso il vetro appannato si vedevano le insegne bagnate delle farmacie aperte tutta la notte e le rare sagome di passanti sotto gli ombrelli.
Nellabitacolo regnava un silenzio teso: solo






