Ecco la suocera alternativa
Quando Elisabetta entrò in casa, vide subito le scarpe della suocera in mezzo allingresso. Capì che non avrebbe potuto riposare.
Giovanna Rinaldi sbucò dalla cucina con laria di chi sta per condannarti a vita.
“Sei stata di nuovo da quella vecchia rimbambita?” chiese. “E la casa, tuo marito, i bambini tutto può aspettare, eh? Meno male che sono passata io, altrimenti sarebbero ancora a digiuno!”
“Giovanna, Nicola sapeva che oggi sarei tornata tardi. La cena è pronta, basta solo scaldarla. Sarebbe riuscito benissimo anche senza il tuo aiuto,” rispose Elisabetta.
In dieci anni di matrimonio con Nicola, si era abituata al fatto che la suocera fosse sempre scontenta di qualcosa. Ormai le sue parole le scivolavano addosso come una radio accesa dalla mattina alla sera.
Allinizio, però, era stato difficile. Giovanna era la seconda suocera di Elisabetta. La prima, Anna Maria Bianchi, era una donna discreta. Non si intrometteva mai nella vita del figlio, non dava consigli non richiesti, non si imponeva.
Ma quando serviva aiuto, era sempre lì. Elisabetta ricordava come Anna Maria avesse vegliato la piccola Caterina di notte quando la bambina aveva invertito il giorno con la notte, come lavesse portata a passeggio per darle tregua:
“Adesso non fare niente, riposati un po. Quando torna Lorenzo, si preparerà lui la cena.”
Quando Caterina compì cinque anni, un incidente in fabbrica portò via Lorenzo, e Elisabetta rimase vedova.
Anna Maria, che aveva perso lunico figlio, in quel momento difficile non abbandonò la nuora e la nipote. Per i primi tre mesi vissero insieme, sostenendosi a vicenda.
Elisabetta propose ad Anna Maria di continuare così, ma lei tornò nel suo appartamento:
“Elisabetta, hai solo ventotto anni. Sei giovane, troverai ancora la felicità. Io non voglio essere dintralcio.”
Tre anni dopo, Elisabetta sposò Nicola. Ma non abbandonò Anna Maria. I suoi genitori vivevano lontani, e così la prima suocera diventò quasi una madre per lei, mentre Caterina adorava la nonna.
Il comportamento di Giovanna, che si comportava come se lappartamento di Elisabetta fosse il suo, la sconvolse.
Dopo la prima visita, chiese a Nicola di spiegare a sua madre che era unospite, non la padrona di casa.
Di fronte alle proteste di Giovanna, che diceva di voler solo aiutare, Elisabetta rispose:
“Non ho più diciotto anni. Anche quando andai via di casa per studiare, ero già indipendente. E dopo sette anni di matrimonio, non ho bisogno che mi insegni a cucinare o a pulire. Potrei insegnarlo io a te. Se vuoi, passo da te con uno straccio bianco e faccio un controllo a sorpresa.”
Nicola la sostenne sempre, e quando sua madre esagerava, ci pensava lui.
Col tempo, Elisabetta riuscì a far capire a Giovanna che non avrebbe tollerato intromissioni. Così, quando nacque il loro figlio, la suocera si trattenne dai consigli non richiesti. Anche se le sarebbe piaciuto darne!
Il problema era che Giovanna aveva unamica che si vantava di “educare” la nuora del figlio minore. A Giovanna sarebbe piaciuto fare lo stesso, ma non aveva niente da raccontare. Lunica cosa che la consolava era lamentarsi del fatto che Elisabetta continuava a vedere Anna Maria e ad aiutarla.
“Almeno quando Caterina era piccola e la mandava in vacanza dalla nonna, potevo capire! Ma ora che è alluniversità, Elisabetta va da lei due o tre volte a settimana!” diceva allamica.
Negli ultimi anni, in realtà, Elisabetta andava da Anna Maria più spesso. Giovanna la chiamava “quella vecchia”, anche se aveva solo sette anni più di lei. Ma il dolore e la malattia lavevano consumata, ed Elisabetta la assisteva tra ospedali e casa.
“Spendi i soldi di famiglia per unestranea?” la rimproverava Giovanna.
“Non ti preoccupare, Anna Maria ha venduto la casa al mare quando si è ammalata. Ha i soldi per curarsi, non chiederà prestiti a te,” rispose Elisabetta.
Quando le condizioni di Anna Maria peggiorarono, Elisabetta assunse una badante e prese permessi per starle vicina. Ma non bastò: dopo qualche tempo, Anna Maria se ne andò.
Fu allora che Giovanna si interessò alleredità.
“Ha venduto la casa al mare, ma non avrà speso tutto in un anno. E con la sua pensione, avrà sicuramente dei risparmi. E poi cè il bilocale” diceva tra sé.
Chiese a Nicola, ma la risposta non la soddisfò.
“A chi sarà andato il testamento? Naturalmente a Caterina, è sua nipote!”
“E Elisabetta? Si è fatta tutto quel lavoro per niente?” sbottò Giovanna. “Immagino come piangerà adesso!”
“Non preoccuparti per me,” rispose Elisabetta. “Sapevo che Anna Maria avrebbe lasciato tutto a Caterina. Lho accompagnata dal notaio un anno fa.”
“E allora perché ti sei data tanto da fare?” chiese stupita Giovanna.
“Te lo spiegherei, ma temo che non capiresti.”
Leredità fu regolarizzata, e Caterina ricevette i documenti dellappartamento e del conto in banca. Decisero di affittare la casa finché studiava, e i soldi sarebbero andati a lei.
Quando sentì dellaffitto, Giovanna propose:
“Perché far entrare estranei? Potrebbero rovinare tutto. Lascia che ci viva Sonia!”
Sonia, trentacinquenne, era la figlia minore di Giovanna e viveva ancora con lei. Aveva un buon lavoro, una bella figura, e ogni tanto una storia damore ma il matrimonio non arrivava.
Giovanna si tormentava:
“Perché a Sonia non riesce? Elisabetta era vedova, con una figlia, eppure ha accalappiato mio Nicola!”
Pensava che, con un appartamento proprio, Sonia si sarebbe sposata.
“Be, per ora è di Caterina,” ragionava. “Ma fra tre o quattro anni, chissà magari Caterina troverà un uomo con casa, e potremo convincerla a regalarla a Sonia.”
Ma Caterina rifiutò.
“Non pagherebbe come gli altri inquilini,” spiegò. “E io voglio chiedere un mutuo, magari per trasferirmi a Roma dopo luniversità. I soldi mi servono.”
“Che avara che è tua figlia! Proprio come te!” sbottò Giovanna. “Solo voi due contate, eh? Se Sonia avesse una casa, forse si sposerebbe!”
“Mamma, tu hai un trilocale,” intervenne Nicola. “Vendilo, prenditi un monolocale e comprane uno a Sonia.”
“Che idea!” si indignò Giovanna. “Quel trilocale è mio! Perché dovrei sacrificarmi io? E comunque, ci ho vissuto tutta la vita, non mi muovo!”
“Non è Nicola ad essere strano, ma tu,” disse Elisabetta. “Non vuoi rinunciare alla tua casa per tua figlia, ma pretendi quella degli altri!”
Così Sonia rimase con la madre. Caterina affittò lappartamento, poi lo vendette per comprarne uno nuovo. Andò anche a Roma, ma solo per una settimana.
Come si dice ovunque è bello, dove non siamo noi.
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