«La nuora non nasconde il suo odio verso di me: mi ha chiamato accusandomi di voler distruggere il loro matrimonio»

“Mia nuora non fa nemmeno finta di odiarmi”: mi ha chiamato accusandomi di voler rovinare il suo matrimonio con Michele

Io, Teresa Romano, sono una donna di sessant’anni qualunque, madre di un unico figlio. Gli ho dedicato tutta la mia vita, l’ho cresciuto da sola dopo che mio marito se n’è andato quando Michele aveva appena due anni. Lavoravo come infermiera in un ospedale, mi facevo turni di notte pur di garantirgli tutto: una camicia pulita, i quaderni per la scuola, una cena calda.

Mio figlio è diventato un uomo buono, educato. Ne sono fiera. Ma ora mi sembra che abbia sprecato tutto per una donna che non solo non mi rispetta, ma non si vergogna nemmeno di mostrarmi il suo disprezzo aperto. Sua moglie si chiama Ginevra.

Al primo sguardo, mi è sembrata… troppo. Troppo rumorosa, troppo altezzosa, troppo fredda. Quando Michele me l’ha presentata per la prima volta, ho sentito qualcosa di sbagliato nel suo modo di guardarmi, di comportarsi. Quegli occhi scuri mi fissavano con sfida, e il suo volto non mostrava nemmeno un briciolo di cortesia. Ma allora mi sono detta: è solo prevenzione. Michele è innamorato, devo almeno provare ad accettarla.

Siamo andati in un bar per conoscerci meglio. E già lì ho capito: sarebbe stata dura. Senza remore ha sgridato il cameriere, ha preteso che le cambiassero il dolce perché “non era abbastanza fotogenico”, come ha detto lei. Parlava come se tutti fossero lì per servirla. E poi, come era vestita… un abito cortissimo, scollato fino all’ombelico. E questo per incontrare la futura suocera. Ho faticato a trattenermi dal chiedere a Michele di uscire un momento.

L’ho attribuito ai nervi, all’agitazione. Ma col tempo è solo peggiorato. Dopo il matrimonio, Michele ha iniziato a chiamare sempre meno. Cercavo di non essere invadente, ma mi mancava. Dopo un mese, non ce l’ho fatta e ho chiamato io. Al telefono, solo freddezza. Un’altra volta, mentre parlava con me, ho sentito chiaramente Ginevra in sottofondo: “Riattacca, basta parlare con lei”. Non lo sussurrava, lo diceva forte, apposta.

Non volevo fare scene, ma una volta gli ho chiesto cosa stesse succedendo. Lui ha sospirato e mi ha raccontato. A quanto pare, Ginevra ha un passato difficile. Da giovane ha avuto una relazione, una gravidanza, un tradimento… ha perso il bambino. Dopo quel trauma ha visto psicologi, si è curata. Lui mi assicura che ora va tutto bene, che è solo un po’ sospettosa. Ma io sento che non è sospetto. È ostilità. Pura e cruda.

Qualche giorno dopo quella conversazione, Ginevra mi ha chiamato. Urlava. Mi accusava di tutto: di mettere mio figlio contro di lei, di voler distruggere la loro famiglia, di ficcarmi nella loro vita. Ero sconvolta. Io?! Io, che ho dedicato la vita a mio figlio, l’ho cresciuto da sola, ora sono io il mostro?

Michele, come al solito, non ha detto nulla. Nemmeno una parola. Si è limitato a ripetere la solita frase: “Mamma, sono adulto, ho una mia famiglia ora”. E io chi sono? Non conto più niente? La donna che l’ha messo al mondo e cresciuto non ha nemmeno diritto a una semplice chiacchierata?

Vivono nel suo appartamento. Un trilocale, ristrutturato di recente. Ginevra si vanta di averlo comprato da sola, con i suoi soldi. Capisco che una casa è un argomento pesante. Ma vale davvero la pena di allontanare un figlio dalla madre per qualche metro quadro?

Non pretendo nulla. Non chiedo soldi, non mi impongo. Vorrei solo essere ancora parte della sua vita. Sentire come sta, andare a trovarlo, accEppure, aspetto ancora che un giorno torni a chiamarmi, non per dovere, ma perché gli manco davvero.

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