La pioggia conduce alla felicità

**La Pioggia Porta Fortuna**

Dopo un’estate torrida, era arrivato l’autunno, freddo e umido, con venti taglienti e piogge incessanti.

Stanca del vento e della fastidiosa pioggerellina, mentre tornava a casa, Beatrice entrò in un supermercato per riposarsi dal maltempo e fare la spesa per cena. Dentro era caldo, asciutto e illuminato. Camminò lentamente tra gli scaffali, osservando le confezioni.

Riempì il carrello: nel reparto ortofrutta prese un limone e un grappolo d’uva. Immaginò già la serata: avrebbe messo i piedi sul divano, davanti alla tv, bevendo un tè caldo col limone, staccando acini dolci e portandoli alla bocca. Forse avrebbe anche bevuto un po’ di vino, per scaldarsi più in fretta.

Si fermò davanti allo scaffale dei salumi, indecisa tra salsiccia e prosciutto. In quel momento avrebbe mangiato entrambi. Non aveva messo nulla in bocca dall’alba. Deglutì e allungò la mano verso il prosciutto, che non richiedeva cottura. Ma la sua mano sfiorò un’altra, tesa verso lo stesso pacchetto.

Ritirò la mano e alzò lo sguardo. Accanto a lei c’era un uomo alto e bellissimo. Capelli neri tagliati con stile, leggermente brizzolati alle tempie, occhi castani, labbra carnose. E un cappotto nero. Tutto ciò che amava.

“Scusi,” disse lui, mostrando un sorriso smagliante.

*Hollywood si inchina. Sembra uscito da una rivista patinata. Ma cosa ci fa un tipo così in un supermercato qualunque?* pensò Beatrice. Quel sorriso la fece ardere. Distolse lo sguardo a fatica e si allontanò dallo scaffale. *Lo stavo fissando come una stupida.* Si rimproverò mentre si dirigeva alla cassa.

Si vide riflessa nel vetro del banco frigo e rabbrividì. *Santo cielo, che sciatta. Cosa avrà pensato di me? Ma che importa, io e lui siamo mondi diversi.* Scaricò i prodotti sul nastro. Accanto a lei, qualcuno posò gli stessi articoli, compreso il prosciutto.

Forse aveva fissato troppo quella spesa altrui, perché una voce disse:

“Abbiamo gli stessi gusti, non crede?”

Era di nuovo lui, col suo sorriso perfetto.

“Gusti? È una spesa normale. Qui la metà della gente compra le stesse cose,” rispose Beatrice, voltandosi. *Sembro un pulcino bagnato.*

“Sì, è vero,” concordò lui.

*Io sono tutta spettinata dal vento, e lui sembra appena uscito dal parrucchiere.* Immaginò quanto fossero folti e morbidi i suoi capelli al tatto, poi si riprese. *Visto un bello e già mi si scioglie la bocca? Taglia corto. Non fa per te.*

Mise la spesa nella borsa, pagò e, senza guardarlo, si diresse verso l’uscita. Fuori, una raffica di vento le sferzò il viso, come per punirla della fuga al coperto. Si era quasi dimenticata del tempo. La porta si aprì alle sue spalle.

“Che tempo per camminare. Abiti qui vicino?” chiese l’uomo.

“Perché?” s’irrigidì Beatrice.

“Ho la macchina, potrei darti un passaggio.”

Lei non sapeva cosa rispondere. *Sa benissimo l’effetto che fa. Non sembra uno psicopatico… ma ne ho mai incontrati?* “Questo è il primo,” ammise tra sé. *E allora? Non sali? Camminerai sotto la pioggia? Non fare la sciocca.*

*Se anche fosse un maniaco, almeno è bellissimo.* L’idea la fece ridere. Scesero i gradini e lui le aprì lo sportello.

“Prego. Dammi la borsa, la metto dietro.”

Dentro era caldo, asciutto e silenzioso. Lui si sedette al volante, accese il motore con un ronzio morbido, domato.

“Dove devo portarti?”

“Via Verdi, numero sedici. Verso la stazione,” aggiunse Beatrice.

“Lo so,” disse, e partirono.

Lei fissava la strada, guardando il vento che sferzava i passanti, rovesciava gli ombrelli. Ogni tanto sbirciava la sua mano sul volante. Guidava con sicurezza. *Che perfezione. Ti piace, eh? Lo sapevo. Una volta a casa, non lo rivedrai mai più.*

“Mi chiamo Matteo. E tu?”

Lei voleva rispondere con una freddura, ma le parve infantile. Perché era così scostante? Non era colpa sua se era nato così bello.

“Beatrice.”

“Che nome bellissimo. All’asilo mi piaceva una bambina che si chiamava Bea. Le promisi che l’avrei sposata.”

“E l’hai fatto?”

“Be’… era l’asilo.”

Solo allora notò la musica di sottofondo. C’era sempre stata? O era troppo concentrata su di lui?

Ora percepiva anche il profumo della pelle, del suo profumo. Riprese i sensi. Si agitò sul sedile.

“Quale portone?” chiese Matteo.

Si accorse di essere già arrivata. *Così in fretta!* Si era abituata all’idea di un viaggio più lungo. *Sognando a occhi aperti. Taglia corto.*

Scese sotto una raffica.

“La spesa!” la richiamò Matteo, uscendo con la borsa.

“Grazie,” disse lei, afferrandola senza guardarlo.

Davanti al portone, le tremarono le mani con le chiavi. Finalmente entrò e sbuffò. Sentì il motore ancora acceso. Lui aspettava che fosse al sicuro.

*Dio, come sono ridotta* pensò, guardandosi nello specchio dell’ascensore. *Un uomo così non può essere single. Sarà sposato con una modella, avrà figli identici a lui. Ti ha solo accompagnata. Fine.*

Nei giorni seguenti, entrò sempre in quel negozio, ma non lo rivide.

Due giorni dopo, riconobbe la sua auto davanti al portone. Forse si sbagliava? Non aveva memorizzato la targa, ma l’istinto le diceva di no. Lo aveva sperato, e ora? Era davvero un maniaco?

Matteo scese.

“Ti stavo aspettando, Beatrice.”

“Perché?”

“Non so, non riuscivo a dimenticarti.”

“L’asilo non ti dà pace?” Perché l’aveva detto? Lui si sarebbe offeso e se ne sarebbe andato.

“Forse,” rispose lui, ironico. “Nella vita ho incontrato solo due Beatrice. Forse è destino. Fa freddo, sali in macchina.”

Avrebbe potuto invitarlo su, ma perché? Così salì. Quel profumo familiare, la musica bassa.

“Sei una studentessa?”

“No, lavoro. Sono un’oculista in una clinica,” rispose orgogliosa.

“Che professione interessante. Dai la vista alle persone.”

“Verifico solo la vista. E tu?”

“Io sono un ingegnere. Niente di speciale. Torni dal lavoro? Vogliamo prendere un caffè?”

Certo che sì. Bisognava essere stupide per rifiutare un uomo così. Non solo un caffè: in quel momento, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Ma Beatrice era stata cresciuta con rigore e non poteva concedersi tutto subito. Un caffè, però, sì.

Parlarono del nulla, e lei si scioglieva sotto i suoi sguardi. Per resistere al suo fascino, gli fece domande dirette. Presto passarono al “tu”.

“Sei sposato?”

Esitò un attimo.

“No. Anzi, divorziato. E tu haiE mentre il sole tramontava dietro i tetti di Roma, Beatrice capì che quella pioggia, dopo tutto, aveva davvero portato fortuna.

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