**La Pioggia Porta Fortuna**
Dopo un’estate torrida era arrivato l’autunno, freddo e umido, con venti taglienti e piogge incessanti.
Mentre tornava a casa, stanca del vento e della pioggerellina fastidiosa, Ginevra entrò in un supermercato per ripararsi e comprare qualcosa per cena. Dentro era caldo, asciutto e pieno di luce. Camminò lentamente tra gli scaffali, osservando le confezioni.
Riempì un intero cestino: al reparto ortofrutta prese un limone e un grappolo d’uva. Immaginò già di rannicchiarsi sul divano con una tazza di tè caldo, sbucciando gli acini dolci e bevendo magari un po’ di vino per scaldarsi.
Si fermò davanti allo scaffale dei salumi, indecisa tra salsiccia e prosciutto. Aveva fame, non aveva messo nulla in bocca dall’alba. Allungò una mano verso un salume già affettato, ma le sue dita sfiorarono quelle di un’altra persona che prendeva lo stesso pacchetto.
Ginevra ritirò la mano e si voltò: accanto a lei c’era un uomo alto e affascinante. Capelli neri con qualche filo d’argento alle tempie, occhi castani, labbra carnose. E quel cappotto nero che le piaceva tanto.
“Scusi,” disse l’uomo, mostrando un sorriso perfetto.
*«Sembra uscito da una rivista di moda. Che ci fa in un supermercato qualunque?»* pensò Ginevra, sentendosi arrossire. Distolse lo sguardo e si allontanò. *«Lo stavo fissando come una sciocca.»*
Si vide riflessa negli scaffali e rabbrividì: capelli arruffati, aria spettinata. *«Che avrà pensato di me? Ma che importa, lui è su un altro pianeta.»*
Metteva i prodotti sul nastro quando qualcuno accanto a lei posò gli stessi acquisti, compreso il salume.
“Abbiamo gli stessi gusti, non trova?”
Era di nuovo lui, con quel sorriso smagliante.
“Gusti? È roba comune. Mezzo negozio compra le stesse cose,” rispose Ginevra, voltandosi.
“Vero,” ammise lui.
*«Io sembro una gallina bagnata, lui invece è impeccabile.»* Si chiese come sarebbero stati i suoi capelli al tatto, poi si rimproverò. *«Basta sognare. Un uomo così non è per te.»*
Pagò, evitando di guardarlo, e uscì. Il vento le sferzò il viso, come per punirla. La porta si aprì di nuovo alle sue spalle.
“Non è giornata per camminare. Abiti qui vicino?” chiese l’uomo.
“E tu?”
“Ho la macchina, posso accompagnarti.”
Ginevra esitò. *«Non sembra un maniaco, ma chi lo sa? E se lo fosse, almeno è bello.»* Scoppiò a ridere tra sé e salì in auto.
Dentro era caldo, asciutto, con una musica lieve di sottofondo.
“Dove abiti?”
“Via Garibaldi, numero sedici.”
“Lo so,” disse lui, e partì.
Ginevra osservava le sue mani sul volante, forti e sicure. *«Mi piace. Ma sarà solo un passaggio, poi sparirà.»*
“Mi chiamo Lorenzo. E tu?”
“Ginevra.”
“Bel nome. All’asilo mi piaceva una bambina che si chiamava così. Le promisi che l’avrei sposata.”
“E l’hai fatto?” ridacchiò lei.
“Era l’asilo!”
Si accorse del profumo della pelle, dell’aria calda. Si sentiva stranamente viva.
“Quale palazzo?” chiese Lorenzo.
Erano già arrivati.
“Grazie,” disse Ginevra, afferrando la spesa e scendendo in fretta.
Lui aspettò che entrasse, poi se ne andò.
*«Uomini così non sono single. È sposato, con figli. Lascia perdere.»*
Nei giorni seguenti, Ginevra tornò al supermercato, ma non lo rivide.
Poi, due giorni dopo, riconobbe la sua macchina fuori casa.
*«Mi sbaglio? No, è lui. Aspettava me?»*
Lorenzo scese.
“Ti stavo aspettando.”
“Perché?”
“Non so. Non riuscivo a scordarti.”
“Colpa dell’asilo?” scherzò lei, poi si morse la lingua.
“Forse,” rispose lui, sorridendo. “Hai freddo? Sali in macchina.”
Si ritrovarono al bar. Bevvero caffè, parlarono di nulla. Ginevra gli chiese se era sposato.
“Divorziato. E tu? Hai un ragazzo?”
“No, al momento no.”
Quando la riaccompagnò, le prese la mano. Ginevra la ritrasse, uscendo di colpo.
*«Idiota! Un uomo così e tu ti comporti così?»*
Al terzo appuntamento lo invitò a casa. Lo baciò ancora prima che togliesse il cappotto.
Passarono mesi. Lui veniva due volte a settimana, raramente restava la notte. Ginevra sapeva che un uomo così aveva altre donne. O forse era ancora sposato. Senza anello, ma poco importava.
Un giorno gli chiese direttamente: “Sei sposato?”
“Ti ho detto che sono divorziato.”
“Allora perché non resti mai? Perché non usciamo?”
Lui sospirò. “La mia ex beve. Non posso cacciarla di casa. Senza di me, non sopravvivrebbe.”
Ginevra non gli credette.
Ne parlò con un’infermiera, che le disse: “È sposato, fidati. Se vuoi, posso scoprirlo.”
Le diede l’indirizzo.
Due giorni dopo, Ginevra bussò alla sua porta. Una bionda le aprì, con un bambino in braccio. Aveva gli stessi occhi di Lorenzo.
“Posso aiutarla?”
“Son passata per un controllo medico,” mentì Ginevra.
“Vuole un tè?”
Parlarono. La donna era gentile, simpatica, e disse: “Mio marito è in viaggio. Presto avremo un altro figlio.”
Ginevra fuggì.
Scrisse a Lorenzo di non farsi più vedere. Lo bloccò.
Pianse, bevve il vino che aveva lasciato a casa sua, poi si addormentò.
Il giorno dopo sorrise a un collega, un chirurgo di nome Roberto.
“Mi porti al cinema? Non ci vado da anni.”
Lui, stupito, accettò.
Uscirono. Dormì da lei. Ginevra cercava di dimenticare Lorenzo, ma era difficile. A volte piangeva. Roberto la teneva stretta.
Arrivò la primavera. Ginevra si svegliò dal torpore. Roberto le chiese di sposarlo.
“Perché aspettare?” pensò. Lorenzo non l’aveva più cercata.
Si sposarono a giugno, sotto la pioggia.
“Porta fortuna,” disse qualcuno.
Forse.
Un anno dopo nacque una bambina. La chiamarono Sofia, come la madre di Roberto.
Un giorno, in ambulatorio, Ginevra vide la moglie di Lorenzo. Poi lui stesso.
“Ginevra, perdonami…”
“Scusi, devo andare,” tagliò corto, prendendo in braccio Sofia e correndo fuori.
Roberto l’aspettava in macchina. Una canzone vecchia suonava piano: *”Credo che, dopo tante strade, troverò l’amore dietro l’angolo…”*
Quella notte si strinse a Roberto.
“Ti amo.”
“Davvero? Pensavo non me lo avresti mai detto.”
“Da ora, te lo diròE mentre la pioggia batteva dolcemente contro i vetri, Ginevra capì che la felicità non era un sogno lontano, ma qualcosa che aveva sempre avuto accanto, basta solo saperlo riconoscere.