E allora, ma che musona sei? Vedrai che ti piacerà! Mare, spiaggia, sole… — diceva Silvia, cercando con preoccupazione lo sguardo della figlia.
Ma Ginevra si ostinava a voltarsi verso il finestrino, oltre il quale si stendevano infinite campagne e vigneti bassi. Lungo i binari correva l’autostrada, dove sfrecciavano macchine colorate che dal treno sembravano giocattoli.
All’orizzonte, nel tremolio del caldo mattutino, apparivano e scomparivano i profili delle montagne. Il sole accecante le faceva male agli occhi. Ginevra controllò il telefono per la centesima volta quella mattina, poi lo scagliò via irritata.
«Ecco i tormenti del primo amore», pensò Silvia con un sospiro, ma ad alta voce disse solo:
— Probabilmente non c’è campo. Quando arriveremo…
— Mamma, basta — rispose svogliata Ginevra, tornando a guardare fuori.
— La casa di Giulia sta su una collinetta, dalle finestre si vede il mare. A volte lo si sente pure. E il giardino che ha! L’aria che si respira! — continuò Silvia, testarda. — Fra poche ore vedrai tutto con i tuoi occhi.
— Non dirmi che ha un figlio — sbuffò Ginevra, lanciando un’occhiata torva alla madre.
— Ce l’ha. Ma non suo. Giulia non ha figli propri. Ha cresciuto quello di un’altra. Adesso studia all’università in un’altra città. Sono tempi di esami, difficilmente lo incontrerai.
— Hai detto che è tua amica. Ma come vi siete conosciute se lei vive al Sud e tu nella provincia di Milano? — chiese Ginevra, incuriosita.
— Oh, è una storia interessante. Se vuoi, te la racconto.
Ginevra alzò appena una spalla, senza staccare gli occhi dal paesaggio monotono oltre il vetro.
***
Io e Giulia vivevamo in strade vicine, andavamo a scuola insieme. Non che fosse una bellezza, ma aveva dei capelli strani — biondo chiaro, ricci, che al sole sembravano d’oro.
Per strada tutti la guardavano, si voltavano. A me piaceva pensare che un po’ di quell’attenzione ricadesse anche su di me. Prima degli esami di maturità, la classe organizzò una gita in barca, poi passeggiammo nel parco cittadino. Lì lei conobbe un ragazzo e si innamorò all’istante. Ci vedemmo meno, io cercavo di non intromettermi. E quando ci incontravamo, parlava solo di lui.
Sognava di fare l’attrice, voleva entrare all’accademia teatrale a Roma. Ma si innamorò così tanto che si iscrisse al politecnico dove studiava il suo Michele, per non separarsi. Io invece andai all’università.
Quando ci vedevamo, parlavamo per ore senza fermarci. Dopo un anno, Michele le fece la proposta, poco prima della sessione. Quanto era felice in quei giorni!
Con sua madre andammo a scegliere l’abito da sposa. Ne provò tantissimi. Su Giulia stava bene qualsiasi cosa, bastava prenderlo e pagare. Scelse pure il velo. Volle comprarmi anche un vestito azzurro da testimone. Madonna, che fatica! Avevamo la testa che ci girava. Mandammo sua madre a casa in taxi con i pacchi, e noi decidemmo di fare una passeggiata lungo il lungomare. Era fine maggio, faceva già caldo come d’estate.
Camminavamo, e tutti si giravano a guardare Giulia. Era bellissima. Ma lei non notava gli sguardi ammirati. Mangiammo un gelato, chiacchierammo del matrimonio imminente, ridemmo.
Davanti a noi venivano due zingare. S’attaccavano ai passanti, una dietro l’altra. Quando ci raggiunsero, quella più grassa ci sbarrò la strada e disse a Giulia:
— Ahi, che bella che sei! Fatti leggere la mano. Ti dico tutto quello che ti aspetta — cantilenò con voce melliflua la più anziana.
L’altra stava un po’ in disparte. Era brutta, magra e piatta. Aveva occhi neri che guardavano torvi, e denti così grandi che non riusciva a chiudere la bocca. Pensai che sembrasse un cavallo. Poi Giulia mi disse che ci aveva pensato pure lei.
— So già cosa mi aspetta — rispose allegra Giulia, leccando il gelato nel cono.
Volevamo aggirare la zingara grassa, ma lei all’improvviso afferrò il polso di Giulia, le guardò il palmo, scosse la testa e fece schioccare la lingua.
— Ti aspetta un matrimonio, tesoro.
— Questo lo so anche senza di voi — Giulia cercò di liberarsi, ma la zingara teneva stretta.
— Non vogliamo farci leggere la mano. Non abbiamo soldi — intervenni per l’amica.
— Le notizie felici costano, ma la sfortuna è gratis — disse misteriosa la zingara, e mi venne la pelle d’oca.
E intanto fissava Giulia come per ipnotizzarla. Quella giovane, in disparte, sogghignava. O forse mi sembrava per via di quella bocca sempre aperta.
— Non ascoltarla, Giulia, andiamo — tirai di nuovo l’amica per l’altro braccio.
— Ami tanto, ma la felicità sarà breve. Durante il matrimonio cadrai da cavallo, starai male a lungo. Guarirai il tuo dolore al mare. Non ti sposerai più. Ma troverai la gioia in un figlio — disse la zingara, fissando Giulia senza batter ciglio.
Poi le lasciò la mano e se ne andò. Quella giovane ci lanciò un’occhiata torva e corse dietro alla compagna. Per un po’ camminammo in silenzio, l’allegria svanita. In testa ci risuonavano quelle parole.
— Giulia, ma tu ci credi? Mica hai intenzione di salire su un cavallo vecchio con l’abito bianco, quello che usano per i giri dei bambini? Andremo in macchina al municipio! Quella ha guardato il tuo palmo due secondi, non ha visto un bel niente — cercai di tirarla su.
— Hai ragione. Non salirò su nessun cavallo — disse Giulia, come svegliandosi.
— Ti ha detto quelle cose perché non le abbiamo dato soldi — dissi il più spensierata possibile, e ridemmo della mia battuta.
Il matrimonio era fissato subito dopo la sessione. Poi gli sposi sarebbero andati al mare, un parente gli aveva regalato un pacchetto vacanze. Ci dimenticammo della zingara.
Arrivò il giorno del matrimonio. Lo sposo stava per arrivare. Eravamo nella stanza di Giulia davanti allo specchio. Lei sistemò il velo e all’improvviso disse:
— Mio padre chiama la sua jeep “il cavallo”. Non ci salgo.
— Giusto. Prenderai un’altra macchina — la sostenni.
— No, non salgo su nessuna macchina. Il municipio è vicino, andiamo a piedi — disse Giulia felice, guardandomi nello specchio.
— Che idea simpatica! Non tutti i giorni si vede una sposa in abito bianco camminare per strada. — Ridemmo nervose.
Ci volle un sacco di tempo per convincere Michele ad andare a piedi. Anche i genitori erano contrari, ma Giulia non mollò. Disse che o andavano al municipio a piedi, o non si sposava. Punto.
Non successe niente. Sotto la marcia nuziale, Giulia e Michele si misero le fedi, si baciarono e diventarono marito e moglie. Ora potevano salire in macchina. Ma Giulia si intestardì di nuovo. VolAlla fine, mentre il sole tramontava sul mare, Ginevra guardò Daniele ridere e pensò che forse, stavolta, il destino sarebbe stato più gentile.