La nuora mi disse una volta: «Solo le vere madri si siedono in prima fila», ma il mio figlio rispose in modo tale che tutti capirono la verità.
Quando mi sposai con il mio compagno, Lorenzo aveva solo sei anni. Sua madre lo lasciò quando ne aveva quattro, senza lettere, senza telefonate, solo un silenzioso addio in una gelida notte di febbraio. Lorenzo rimase spezzato dal dolore. Ci incontrammo lanno successivo, entrambi intenti a ricomporre i frammenti delle nostre vite. Quando ci sposammo, non fu solo una questione tra noi due: era anche per Lorenzo.
Non lo avevo generato, ma dal momento in cui varcai la soglia di quella piccola casa di pietra con i gradini cigolanti e i manifesti di calcio alle pareti, divenni sua. Una matrigna, certo, ma anche colei che lo svegliava al mattino, preparava panini con marmellata, lo aiutava nei progetti scolastici e lo accompagnava in ospedale nelle notti di febbre alta. Partecipavo in prima fila a tutti i reciti scolastici e urlavo come una pazza alle partite di calcio del suo club. Restavo sveglia fino a tardi per interrogarlo prima degli esami e gli tenevo la mano quando il suo cuore batteva per la prima volta da solo.
Non ho mai cercato di sostituire sua madre. Ho solo fatto tutto per essere la persona su cui potesse contare.
Quando Lorenzo morì improvvisamente di un ictus, prima che Marco compisse sedici anni, rimasi a pezzi. Persi il mio compagno, il mio amico più caro. Ma nel mezzo del dolore sapevo una cosa:
*Non mi tirerò indietro.*
Da quel giorno allevai Marco da sola, senza legami di sangue, senza eredità, solo con amore e fedeltà.
Lo vidi crescere, diventare un giovane di valore. Quando ricevette la lettera di ammissione alluniversità, entrò nella cucina con gli occhi pieni di gioia, come se avesse trovato un tesoro. Pagai le tasse, lo aiutai a fare le valigie e piansi quando ci abbracciammo davanti al dormitorio. Lo accompagnai alla laurea con lode, gli occhi lucidi di orgoglio.
Così, quando mi disse che si sarebbe sposato con una ragazza di nome Fiorenza, provai una felicità sincera. Sembrava più leggero, più sereno, rispetto a come lo ricordavo da tempo.
«Mamma», mi disse, chiamandomi ancora «mamma», «voglio che tu sia al mio fianco in ogni momento: quando sceglierà labito, alla cena prima del matrimonio, in ogni passo del cammino».
Non mi aspettavo di essere al centro dellattenzione, solo di essere accolta.
Arrivai presto il giorno delle nozze. Volevo solo sostenere il mio figlio, niente di più. Indossavo un vestito azzurro, il colore che Marco una volta aveva detto mi ricordasse casa. Nella borsetta cera una piccola scatola di velluto.
Dentro cerano due braccialetti dargento, incisi delle parole: «Il ragazzo che ho cresciuto. Luomo di cui vado fiera».
Non erano costosi, ma portavano dentro il mio cuore.
Entrando nella chiesa, vidi i fioristi agitarsi, il quartetto accordare gli strumenti, lorganizzatrice controllare nervosamente la lista degli invitati.
Poi comparve Fiorenza.
Era elegante, impeccabile. Labito le calzava a pennello. Mi sorrise, ma il sorriso non raggiunse gli occhi.
«Ciao», disse a bassa voce, «sono felice che tu sia venuta».
Io ricambiai il sorriso. «Non avrei mai voluto perdermi questo momento».
Fiorenza esitò. Il suo sguardo vagò sulle mie mani, poi tornò al suo volto e aggiunse:
«Solo le vere madri siedono in prima fila. Spero tu capisca».
Le parole tardarono ad arrivare. Pensai fosse una tradizione di famiglia o una questione di posti a sedere. Poi notai la tensione nel suo sorriso, la freddezza calcolata. Intendeva proprio quel che aveva detto.
*Solo le vere madri.*
Sentii il pavimento tremare sotto i piedi.
Lorganizzatrice alzò lo sguardo, incomprensibile. Una delle amiche della società si agitò in modo scomodo accanto a noi. Nessuno disse nulla.
Ingoiai. «Certo», risposi forzando un sorriso. «Capisco».
Mi spostai verso lultima fila della chiesa. Le ginocchia tremavano. Mi sedetti, stringendo la scatola sulle ginocchia, come se potesse sostenermi.
Cominciò la musica. Gli invitati si girarono. Il corteo nuziale prese il via. Tutti apparivano felici.
E allora, dal corridoio, apparve Marco.
Era impeccabile, adulto, con un abito blu, sereno e sicuro. Mentre avanzava, scrutava le file. Gli occhi si posarono a sinistra, a destra, poi su di me, al centro.
Si fermò.
Il suo volto divenne serio, poi sorpreso. Guardò la prima fila, dove la madre di Fiorenza sedeva accanto al padre, sorridendo, con una sciarpa al chiaro di luna.
Poi si voltò e tornò indietro.
Allinizio pensai che avesse dimenticato qualcosa.
Ma poco dopo sentii il suo sussurro al testimone.
«Signora Bianchi», disse dolcemente il testimone, «Marco chiede di essere spostato in prima fila».





