La quiete magica di Capodanno Novembre era grigio, umido e malinconico come sempre. Le giornate sembravano infinite e prive di gioia. Anna si accorse dell’arrivo di dicembre solo grazie alle pubblicità insistenti di spumante, caviale e mandarini. La città bruciava nella frenetica attesa delle feste: le vetrine dei negozi scintillavano di luminarie. Le persone, stringendo sacchetti con regali, sembravano partecipare a una corsa ad ostacoli. Tutti correvano, si affrettavano, pianificavano qualcosa. Anna non aspettava niente e non aveva fretta. Semplicemente contava i giorni, aspettando che tutto finisse. Ha quarant’anni. Già. Il divorzio, firmato tre mesi prima, non le aveva lasciato una ferita, ma una strana, gelida sensazione di vuoto. Non c’erano figli, quindi nessun compromesso o decisione complicata. Due vite che hanno camminato parallele per anni ora si sono lasciate alle spalle. «Buon anno!» – le auguravano i colleghi, con sguardi brillanti. Anna rispondeva con un sorriso cortese, in cui non c’era alcuna gioia. Tutto il giorno si ripeteva: «Niente di speciale. Solo dicembre che lascia il posto a gennaio. Un mercoledì che diventa giovedì. Nessun motivo per festeggiare». I suoi programmi per la sera di San Silvestro erano semplicissimi: una doccia, pigiama vecchio, una tazza di tè alla camomilla, a letto alle dieci come qualsiasi altra notte. Niente insalata russa, niente “Coppa delle lettere” in TV, niente spumante lasciato in frigo fino all’anno dopo. *** Ecco che arriva la sera fatidica. Il tempo, come a prendersi gioco della gioia generale, aveva organizzato una sua festa tutta particolare. Una pioggia gelida si mescolava con la fanghiglia nevosa sulle strade. Il cielo grigio schiacciava la città, e le luci erano fioche e tristi. Era la serata perfetta per nascondersi dal mondo. Alle nove e mezza Anna era già sotto le coperte, come aveva promesso a se stessa. Dal muro del vicino arrivava una musica leggera. Anna chiuse gli occhi cercando di dormire. Si svegliò di soprassalto per un rumore insistente, impossibile da ignorare. Qualcuno bussava forte e metodico alla porta. Non era il solito colpo: sembrava che da quella porta dipendesse la vita di qualcuno. Anna si sedette sul letto, borbottando qualcosa sugli ubriachi e i maleducati. Guardò la sveglia. 23:45… Si alzò, ma non andò alla porta. Sicuramente avevano sbagliato piano o appartamento. Avrebbero bussato e sarebbero andati via. Però si avvicinò alla finestra, per vedere chi la disturbava, e rimase di stucco. Fuori era tutto bianco: niente pioggia, niente fango, niente asfalto grigio. Fiocchi enormi, soffici come quelli dell’infanzia, cadevano lenti e solenni, illuminati dalla luce dei lampioni, ricoprendo la strada di un soffice piumone di neve. In poche ore il mondo era diventato una fiaba. *** Il bussare si ripeté, più leggero ma deciso. Anna, ancora incantata dalla magia fuori, andò ad aprire. Non pensava a chi potesse essere. Era rapita dal momento. Girò la chiave e spalancò la porta. E lì… *** C’era il vicino. Arturo, dell’appartamento di fronte. Non più giovane, con capelli grigi spettinati e occhi pieni di scintille birichine. Indossava una giacca di tweed consunta sopra una sciarpa calda buttata sulle spalle. In una mano teneva una vecchia valigetta di pelle marrone, nell’altra un grande barattolo di vetro pieno di qualcosa di rosso e invitante. – Mi scusi se disturbo, – disse con voce roca, – ma ho sentito… cioè, mi è sembrato che da lei ci fosse… una tranquilla quiete di Capodanno. È la più rara delle quieti, e non potevo ignorarla. Anna lo guardava in silenzio, poi rivolse lo sguardo alla strada dove la neve danzava nel fascio del lampione. – Arturo, cosa… cosa desidera? – riuscì a dire, sorpresa. – Le ho portato un regalo, – le porse il barattolo. – È succo di mirtillo rosso. Mia moglie diceva che guarisce ogni malinconia. E poi… – sollevò la valigetta, – vorrei mostrarle qualcosa. Posso entrare? Solo per quindici minuti, fino allo scoccare della mezzanotte. Anna rimase sul ciglio della porta, incerta. Tutta la sua apatia e la corazza del “niente di speciale” si sgretolò. Prima quella neve incredibile, ora il vicino eccentrico con la valigetta e il succo di mirtillo. La curiosità, che credeva ormai sepolta sotto il pragmatismo e la disillusione, si destò. – Entri pure, – disse, facendo spazio. Arturo entrò, scrollandosi la neve dalle scarpe. Non si tolse la giacca, mise la valigetta al centro del salotto buio, illuminato solo dalla luce del lampione fuori dalla finestra. – Qui… è molto essenziale, – constatò, senza giudizio o pena. – Non volevo festeggiare, – rispose lei secca. – Capisco, – annuì Arturo. – Dopo certi cambiamenti nella vita, la festa sembra una provocazione personale. Tutti si rallegrano e tu invece non puoi e non vuoi. Ti domandi se sei tu il problema. Anna lo fissò sorpresa dalla precisione delle sue parole. Non avevano mai parlato davvero, tanto meno di cose personali. Solo saluti sulla posta o sul tempo. – Davvero? – Sono vecchio, Anna. Ho visto tante persone e tanti dicembre grigi. So che l’inverno non è la fine. È il tempo in cui la terra si riposa per rinascere. Anche le persone devono farlo. Ma non per spegnersi. Arturo scattò le chiusure della valigetta e la aprì. Dentro, su una fodera di velluto, c’erano… sfere di vetro. Decine. Tutte diverse. Una azzurra, con polvere d’argento che imitava la via lattea. Una rossa, con una minuscola, perfetta rosa dorata al centro. Un’altra completamente trasparente che, inclinata in un certo modo, faceva apparire una luce arcobaleno. – Cosa sono? – sussurrò Anna, avvicinandosi. – È la mia collezione, – disse con orgoglio. – Non colleziono francobolli o monete. Colleziono ricordi. Ogni sfera è un istante felice della mia vita. Questa, – prese la sfera blu, – la prima gita in montagna con mia moglie. Guardavamo le stelle e ci promettemmo di restare insieme per sempre. Promessa mantenuta. E questa rossa me l’ha regalata lei al primo anniversario. Diceva che l’amore è una rosa che non avvizzisce. Anna guardava quelle piccole galassie di vetro, e il suo cuore, che sembrava di ghiaccio, iniziò a sciogliersi. Capì che non erano solo decorazioni. Era una vita piena di senso, calore ed amore. – Perché lo mostra a me? – Perché in lei vedo il vuoto, – rispose diretto Arturo. – Voglio che sappia: il vuoto non è una condanna. È uno spazio, dove può nascere qualcosa di nuovo. Guardi. Prese di tasca una sfera trasparente, senza decori né brillantini. – Questa è per lei, – le porse la sfera. È la sua prima. Simbolo di questa sera. È il simbolo della porta che ha aperto, del primo fiocco di neve, del miracolo possibile anche nella quiete più grigia. Anna prese la sfera in mano, fredda e liscia. Fuori si sentì il rintocco della mezzanotte e le prime urla di «Buon anno nuovo!». Anna alzò lo sguardo su Arturo. Nei suoi occhi brillava quella scintilla, che ora pareva infinitamente saggia. – Grazie, – disse sottovoce, e per la prima volta dopo mesi le venne spontaneo un sorriso vero, seppur timido. – Non c’è di che, – sorrise Arturo. – Ora ha un inizio. Poi deciderà lei quale ricordo mettere dentro quella sfera. Magari una tazza di caffè caldo domani. O una pagina di un libro. O qualcosa di più grande. Chi lo sa? Il nuovo anno è appena arrivato. Chiuse la valigetta, le augurò buon riposo e se ne andò, lasciandola sola, ma con una quiete diversa. Non più un silenzio pesante e vuoto, ma una pace fatta di speranza e gioia discreta. Anna si avvicinò alla finestra, la sfera trasparente tra le dita. La neve continuava a scendere, cancellando le vecchie tracce, coprendo il mondo di bianco. E per la prima volta da tanto tempo, Anna pensò non a ciò che era, ma a ciò che sarebbe stato… Ed era davvero un autentico miracolo di Capodanno.

La quiete del Capodanno

Novembre è stato grigio, umido, malinconico come sempre a Milano. I giorni trascorrevano lenti, interminabili, privi di allegria. Larrivo di dicembre lho notato soltanto grazie alla pubblicità martellante di spumante, panettone e arance sulla televisione e per le strade.

La città si è accesa di una frenesia prenatalizia: le vetrine illuminate da luci colorate, i passanti con i sacchetti pieni di regali in mano che sembravano impegnati in una strana maratona ad ostacoli. Tutti correvano da qualche parte, tutti affannati in appuntamenti e progetti, tutti indaffarati a pianificare feste e cene.

Io, Anna Rossi, non aspettavo nulla e non correvo da nessuna parte. Aspettavo solo che tutto questo finisse.

Quarantanni ormai compiuti. Un divorzio ufficializzato tre mesi fa, che ha lasciato dietro di sé non una ferita, ma un vuoto silenzioso e gelido. Nessun figlio, nessuna scelta difficile. Solo due vite che avevano camminato insieme per anni e infine si erano separate, ognuna verso strade diverse.

“Buon anno nuovo!”, mi urlavano i colleghi, allegri ed eccitati, lanciandomi occhiate cariche di speranza.

Rispondevo con un sorriso educato, ma nel mio cuore non cera gioia. Da giorni ripetevo tra me e me: “Niente di speciale. È solo dicembre che lascia il posto a gennaio. Mercoledì diventa giovedì. Nessuna ragione di festeggiare.”

I miei progetti per la notte di San Silvestro erano trasparenti come lacqua: una doccia, la vecchia pigiama, una tisana alla camomilla e a letto alle dieci, proprio come ogni altra sera.

Niente insalata russa, niente film cult, niente bottiglia di prosecco da dimenticare in frigo fino al prossimo anno.

***

E così è arrivata quella sera.

Il tempo, quasi volesse scherzare col clima festoso, aveva deciso di celebrare un suo Capodanno alternativo: pioveva forte, la pioggia fredda si mescolava con neve sporca sui marciapiedi, il cielo opprimente schiacciava la città, e le luci sembravano più fioche e tristi che mai. La serata ideale per sparire sotto le coperte.

Alle nove e mezza ero già stesa nel mio letto, sotto il piumone. Da dietro il muro si sentiva la musica, bassa, proveniente dalla casa dei vicini. Ho chiuso gli occhi, cercando di farmi scivolare addosso il sonno.

Un rumore improvviso mi ha svegliata. Impossibile ignorarlo.

Qualcuno bussava con insistenza, colpi decisi alla porta. Non semplici tocchi, ma colpi forti, come se dipendesse da questo la vita di qualcuno. Mi sono seduta irritata, borbottando contro i milanesi troppo allegri o troppo ubriachi. Ho guardato la sveglia: 23.45.

Mi sono alzata, ma non ho aperto subito. Sicuramente qualcuno aveva sbagliato piano o porta. Avrebbe smesso presto. Mi sono avvicinata alla finestra, per dare unocchiata, e sono rimasta senza fiato.

Fuori era tutto bianco, candido: niente più pioggia, niente più fango, niente più asfalto grigio.

Grandi fiocchi di neve, soffici come quelli che vedevo da bambina, scendevano lenti sotto la luce del lampione, coprendo la città come un morbido plaid bianco.

In poche ore, il mondo era diventato una favola.

***

I colpi si ripeterono, leggermente più deboli, ma ancora decisi.

Con il cuore ancora pieno di meraviglia per la neve improvvisa, sono andata ad aprire. Non mi importava chi fosse. Mi sentivo catturata dallincanto di quel momento. Ho girato la chiave e ho spalancato la porta.

***

Davanti a me cera il mio vicino.

Arturo Bianchi, quello dellappartamento di fronte. Un uomo non più giovane, sempre con i capelli argentei arruffati, e negli occhi un luccichio vivace. Aveva addosso un vecchio blazer di tweed, sopra una sciarpa di lana arrotolata con poca cura.

In una mano teneva una valigetta di pelle marrone, nellaltra un barattolo di vetro pieno di qualcosa di rosso e invitante.

“Scusi se disturbo,” disse con voce roca. “Credo insomma, mi è parso di sentire una quiete particolare da queste parti. La quiete del Capodanno è davvero rara, non potevo ignorarla.”

Sono rimasta zitta, poi il mio sguardo è corso fuori, verso la fiaba di neve che danzava sotto il lampione.

“Arturo, cosa cosa desidera?”, ho domandato infine, incerta e un po confusa.

“Le ho portato un regalo,” mi disse, porgendomi il barattolo. “È succo di melagrana, lo preparava sempre mia moglie. Diceva che allontana la malinconia. E poi” sollevò la valigetta. “Vorrei mostrarle una cosa. Mi permette di entrare per quindici minuti? Solo fino a mezzanotte.”

Ero lì sulla soglia. Le mie difese, costruite con fatica in settimane di apatia, stavano cedendo. Prima la neve, ora Arturo con la sua stranezza e il succo. La curiosità quella che pensavo di aver perso sotto strati di pragmatismo e delusioni tornò a farsi sentire.

“Entri pure,” balbettai, facendolo passare.

Arturo entrò, si tolse delicatamente la neve dalle scarpe, non si sfilò il cappotto. Appoggiò la valigetta in mezzo al soggiorno immerso nel semibuio. Solo la luce del lampione filtrava dalla finestra.

“È minimalista qui da lei,” constatò. Nessun giudizio, nessuna compassione. Solo unosservazione.

“Non avevo intenzione di festeggiare,” risposi secca.

“Capisco,” annuì lui. “Dopo certi cambiamenti, come quelli che ha vissuto lei, la festa pare quasi uno sberleffo. Tutti felici attorno, e tu tu non riesci. Non vuoi. E ti convince che il problema sia solo tuo.”

Alzai lo sguardo stupita dalla precisione delle sue parole.

Noi due non avevamo mai scambiato più di qualche parola sui giornali o il tempo.

“È davvero così?”

“Sono vecchio, Anna. Ho visto molte persone e infiniti inverni. So che linverno non è una fine. È solo il riposo della terra. Anche le persone dovrebbero riposare. Ma non addormentarsi per sempre.”

Aprì la valigetta con calma. Dentro, sul velluto, si trovavano decine di sfere di vetro. Ognuna diversa. Una blu, cosparsa di brillantini dargento come una galassia. Unaltra rosso acceso, decorata con una minuscola rosa dorata. Unaltra ancora perfettamente trasparente, che si colorava darcobaleno in certe angolazioni.

“Cosa sono?”, sussurrai avvicinandomi.

“La mia collezione,” dichiarò fiero Arturo. “Non raccolgo francobolli o monete. Io colleziono ricordi. Ogni sfera rappresenta un attimo felice della mia vita. Questa,” prese quella blu, “è la sera che io e mia moglie siamo stati in montagna per la prima volta. Guardavamo le stelle e ci promettemmo di restare insieme. Abbiamo mantenuto la promessa. Quella rossa me la regalò per il nostro primo anniversario. Diceva che lamore è una rosa che non appassisce.”

Guardai dentro quelle minuscole galassie di vetro, e sentii il mio cuore che credevo congelato sciogliersi. Non erano solo decorazioni. Era vita, con le sue passioni, il suo calore.

“Perché me le mostra?”

“Perché lei adesso è vuota,” spiegò dritto, senza mezzi termini. “Ma il vuoto non è una condanna. È uno spazio. Uno spazio da riempire con qualcosa di nuovo. Guardi.”

Dalla tasca della giacca tirò fuori una piccola sfera di vetro. Trasparente, senza decori.

“Questa è per lei,” disse porgendomela. “La sua prima sfera. Simbolo di questa sera, del fatto che ha aperto la porta anche se voleva dormire. Simbolo della neve che ha visto dalla finestra. Simbolo che anche nella più grigia delle quieti può nascere un miracolo.”

Presi la sfera tra le mani. Fredda, liscia.

Fuori, i rintocchi del Duomo segnarono la mezzanotte, e sulle strade si alzarono le grida: “Buon anno!”

Guardai Arturo. I suoi occhi brillavano ora di una luce antica e saggia.

“Grazie,” sussurrai. Per la prima volta, dopo mesi, un sorriso vero timido ma sincero mi si disegnò sulle labbra.

“Non cè di che,” rispose Arturo sorridendo. “Adesso ha un inizio. Da domani potrà scegliere quale ricordo mettere nella sua sfera. Magari una tazza di caffè domattina. O un libro che finirà. O chissà, qualcosa di più grande. Il nuovo anno è appena incominciato.”

Richiuse la valigetta, mi augurò buon riposo, e se ne andò. Lasciandomi sola con una quiete nuova.

Ma questa era una quiete diversa. Non pesante e vuota, ma piena di una dolce speranza.

Mi avvicinai alla finestra tenendo stretta la sfera di vetro. La neve cadeva ancora lieve, cancellando le vecchie tracce, coprendo il mondo di bianco. E per la prima volta da tempo, pensai non al passato, ma a quello che sarebbe venuto…

E questo sì, fu un vero miracolo di Capodanno.

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La quiete magica di Capodanno Novembre era grigio, umido e malinconico come sempre. Le giornate sembravano infinite e prive di gioia. Anna si accorse dell’arrivo di dicembre solo grazie alle pubblicità insistenti di spumante, caviale e mandarini. La città bruciava nella frenetica attesa delle feste: le vetrine dei negozi scintillavano di luminarie. Le persone, stringendo sacchetti con regali, sembravano partecipare a una corsa ad ostacoli. Tutti correvano, si affrettavano, pianificavano qualcosa. Anna non aspettava niente e non aveva fretta. Semplicemente contava i giorni, aspettando che tutto finisse. Ha quarant’anni. Già. Il divorzio, firmato tre mesi prima, non le aveva lasciato una ferita, ma una strana, gelida sensazione di vuoto. Non c’erano figli, quindi nessun compromesso o decisione complicata. Due vite che hanno camminato parallele per anni ora si sono lasciate alle spalle. «Buon anno!» – le auguravano i colleghi, con sguardi brillanti. Anna rispondeva con un sorriso cortese, in cui non c’era alcuna gioia. Tutto il giorno si ripeteva: «Niente di speciale. Solo dicembre che lascia il posto a gennaio. Un mercoledì che diventa giovedì. Nessun motivo per festeggiare». I suoi programmi per la sera di San Silvestro erano semplicissimi: una doccia, pigiama vecchio, una tazza di tè alla camomilla, a letto alle dieci come qualsiasi altra notte. Niente insalata russa, niente “Coppa delle lettere” in TV, niente spumante lasciato in frigo fino all’anno dopo. *** Ecco che arriva la sera fatidica. Il tempo, come a prendersi gioco della gioia generale, aveva organizzato una sua festa tutta particolare. Una pioggia gelida si mescolava con la fanghiglia nevosa sulle strade. Il cielo grigio schiacciava la città, e le luci erano fioche e tristi. Era la serata perfetta per nascondersi dal mondo. Alle nove e mezza Anna era già sotto le coperte, come aveva promesso a se stessa. Dal muro del vicino arrivava una musica leggera. Anna chiuse gli occhi cercando di dormire. Si svegliò di soprassalto per un rumore insistente, impossibile da ignorare. Qualcuno bussava forte e metodico alla porta. Non era il solito colpo: sembrava che da quella porta dipendesse la vita di qualcuno. Anna si sedette sul letto, borbottando qualcosa sugli ubriachi e i maleducati. Guardò la sveglia. 23:45… Si alzò, ma non andò alla porta. Sicuramente avevano sbagliato piano o appartamento. Avrebbero bussato e sarebbero andati via. Però si avvicinò alla finestra, per vedere chi la disturbava, e rimase di stucco. Fuori era tutto bianco: niente pioggia, niente fango, niente asfalto grigio. Fiocchi enormi, soffici come quelli dell’infanzia, cadevano lenti e solenni, illuminati dalla luce dei lampioni, ricoprendo la strada di un soffice piumone di neve. In poche ore il mondo era diventato una fiaba. *** Il bussare si ripeté, più leggero ma deciso. Anna, ancora incantata dalla magia fuori, andò ad aprire. Non pensava a chi potesse essere. Era rapita dal momento. Girò la chiave e spalancò la porta. E lì… *** C’era il vicino. Arturo, dell’appartamento di fronte. Non più giovane, con capelli grigi spettinati e occhi pieni di scintille birichine. Indossava una giacca di tweed consunta sopra una sciarpa calda buttata sulle spalle. In una mano teneva una vecchia valigetta di pelle marrone, nell’altra un grande barattolo di vetro pieno di qualcosa di rosso e invitante. – Mi scusi se disturbo, – disse con voce roca, – ma ho sentito… cioè, mi è sembrato che da lei ci fosse… una tranquilla quiete di Capodanno. È la più rara delle quieti, e non potevo ignorarla. Anna lo guardava in silenzio, poi rivolse lo sguardo alla strada dove la neve danzava nel fascio del lampione. – Arturo, cosa… cosa desidera? – riuscì a dire, sorpresa. – Le ho portato un regalo, – le porse il barattolo. – È succo di mirtillo rosso. Mia moglie diceva che guarisce ogni malinconia. E poi… – sollevò la valigetta, – vorrei mostrarle qualcosa. Posso entrare? Solo per quindici minuti, fino allo scoccare della mezzanotte. Anna rimase sul ciglio della porta, incerta. Tutta la sua apatia e la corazza del “niente di speciale” si sgretolò. Prima quella neve incredibile, ora il vicino eccentrico con la valigetta e il succo di mirtillo. La curiosità, che credeva ormai sepolta sotto il pragmatismo e la disillusione, si destò. – Entri pure, – disse, facendo spazio. Arturo entrò, scrollandosi la neve dalle scarpe. Non si tolse la giacca, mise la valigetta al centro del salotto buio, illuminato solo dalla luce del lampione fuori dalla finestra. – Qui… è molto essenziale, – constatò, senza giudizio o pena. – Non volevo festeggiare, – rispose lei secca. – Capisco, – annuì Arturo. – Dopo certi cambiamenti nella vita, la festa sembra una provocazione personale. Tutti si rallegrano e tu invece non puoi e non vuoi. Ti domandi se sei tu il problema. Anna lo fissò sorpresa dalla precisione delle sue parole. Non avevano mai parlato davvero, tanto meno di cose personali. Solo saluti sulla posta o sul tempo. – Davvero? – Sono vecchio, Anna. Ho visto tante persone e tanti dicembre grigi. So che l’inverno non è la fine. È il tempo in cui la terra si riposa per rinascere. Anche le persone devono farlo. Ma non per spegnersi. Arturo scattò le chiusure della valigetta e la aprì. Dentro, su una fodera di velluto, c’erano… sfere di vetro. Decine. Tutte diverse. Una azzurra, con polvere d’argento che imitava la via lattea. Una rossa, con una minuscola, perfetta rosa dorata al centro. Un’altra completamente trasparente che, inclinata in un certo modo, faceva apparire una luce arcobaleno. – Cosa sono? – sussurrò Anna, avvicinandosi. – È la mia collezione, – disse con orgoglio. – Non colleziono francobolli o monete. Colleziono ricordi. Ogni sfera è un istante felice della mia vita. Questa, – prese la sfera blu, – la prima gita in montagna con mia moglie. Guardavamo le stelle e ci promettemmo di restare insieme per sempre. Promessa mantenuta. E questa rossa me l’ha regalata lei al primo anniversario. Diceva che l’amore è una rosa che non avvizzisce. Anna guardava quelle piccole galassie di vetro, e il suo cuore, che sembrava di ghiaccio, iniziò a sciogliersi. Capì che non erano solo decorazioni. Era una vita piena di senso, calore ed amore. – Perché lo mostra a me? – Perché in lei vedo il vuoto, – rispose diretto Arturo. – Voglio che sappia: il vuoto non è una condanna. È uno spazio, dove può nascere qualcosa di nuovo. Guardi. Prese di tasca una sfera trasparente, senza decori né brillantini. – Questa è per lei, – le porse la sfera. È la sua prima. Simbolo di questa sera. È il simbolo della porta che ha aperto, del primo fiocco di neve, del miracolo possibile anche nella quiete più grigia. Anna prese la sfera in mano, fredda e liscia. Fuori si sentì il rintocco della mezzanotte e le prime urla di «Buon anno nuovo!». Anna alzò lo sguardo su Arturo. Nei suoi occhi brillava quella scintilla, che ora pareva infinitamente saggia. – Grazie, – disse sottovoce, e per la prima volta dopo mesi le venne spontaneo un sorriso vero, seppur timido. – Non c’è di che, – sorrise Arturo. – Ora ha un inizio. Poi deciderà lei quale ricordo mettere dentro quella sfera. Magari una tazza di caffè caldo domani. O una pagina di un libro. O qualcosa di più grande. Chi lo sa? Il nuovo anno è appena arrivato. Chiuse la valigetta, le augurò buon riposo e se ne andò, lasciandola sola, ma con una quiete diversa. Non più un silenzio pesante e vuoto, ma una pace fatta di speranza e gioia discreta. Anna si avvicinò alla finestra, la sfera trasparente tra le dita. La neve continuava a scendere, cancellando le vecchie tracce, coprendo il mondo di bianco. E per la prima volta da tanto tempo, Anna pensò non a ciò che era, ma a ciò che sarebbe stato… Ed era davvero un autentico miracolo di Capodanno.