La quiete del Capodanno
Novembre è stato grigio, umido, malinconico come sempre a Milano. I giorni trascorrevano lenti, interminabili, privi di allegria. Larrivo di dicembre lho notato soltanto grazie alla pubblicità martellante di spumante, panettone e arance sulla televisione e per le strade.
La città si è accesa di una frenesia prenatalizia: le vetrine illuminate da luci colorate, i passanti con i sacchetti pieni di regali in mano che sembravano impegnati in una strana maratona ad ostacoli. Tutti correvano da qualche parte, tutti affannati in appuntamenti e progetti, tutti indaffarati a pianificare feste e cene.
Io, Anna Rossi, non aspettavo nulla e non correvo da nessuna parte. Aspettavo solo che tutto questo finisse.
Quarantanni ormai compiuti. Un divorzio ufficializzato tre mesi fa, che ha lasciato dietro di sé non una ferita, ma un vuoto silenzioso e gelido. Nessun figlio, nessuna scelta difficile. Solo due vite che avevano camminato insieme per anni e infine si erano separate, ognuna verso strade diverse.
“Buon anno nuovo!”, mi urlavano i colleghi, allegri ed eccitati, lanciandomi occhiate cariche di speranza.
Rispondevo con un sorriso educato, ma nel mio cuore non cera gioia. Da giorni ripetevo tra me e me: “Niente di speciale. È solo dicembre che lascia il posto a gennaio. Mercoledì diventa giovedì. Nessuna ragione di festeggiare.”
I miei progetti per la notte di San Silvestro erano trasparenti come lacqua: una doccia, la vecchia pigiama, una tisana alla camomilla e a letto alle dieci, proprio come ogni altra sera.
Niente insalata russa, niente film cult, niente bottiglia di prosecco da dimenticare in frigo fino al prossimo anno.
***
E così è arrivata quella sera.
Il tempo, quasi volesse scherzare col clima festoso, aveva deciso di celebrare un suo Capodanno alternativo: pioveva forte, la pioggia fredda si mescolava con neve sporca sui marciapiedi, il cielo opprimente schiacciava la città, e le luci sembravano più fioche e tristi che mai. La serata ideale per sparire sotto le coperte.
Alle nove e mezza ero già stesa nel mio letto, sotto il piumone. Da dietro il muro si sentiva la musica, bassa, proveniente dalla casa dei vicini. Ho chiuso gli occhi, cercando di farmi scivolare addosso il sonno.
Un rumore improvviso mi ha svegliata. Impossibile ignorarlo.
Qualcuno bussava con insistenza, colpi decisi alla porta. Non semplici tocchi, ma colpi forti, come se dipendesse da questo la vita di qualcuno. Mi sono seduta irritata, borbottando contro i milanesi troppo allegri o troppo ubriachi. Ho guardato la sveglia: 23.45.
Mi sono alzata, ma non ho aperto subito. Sicuramente qualcuno aveva sbagliato piano o porta. Avrebbe smesso presto. Mi sono avvicinata alla finestra, per dare unocchiata, e sono rimasta senza fiato.
Fuori era tutto bianco, candido: niente più pioggia, niente più fango, niente più asfalto grigio.
Grandi fiocchi di neve, soffici come quelli che vedevo da bambina, scendevano lenti sotto la luce del lampione, coprendo la città come un morbido plaid bianco.
In poche ore, il mondo era diventato una favola.
***
I colpi si ripeterono, leggermente più deboli, ma ancora decisi.
Con il cuore ancora pieno di meraviglia per la neve improvvisa, sono andata ad aprire. Non mi importava chi fosse. Mi sentivo catturata dallincanto di quel momento. Ho girato la chiave e ho spalancato la porta.
***
Davanti a me cera il mio vicino.
Arturo Bianchi, quello dellappartamento di fronte. Un uomo non più giovane, sempre con i capelli argentei arruffati, e negli occhi un luccichio vivace. Aveva addosso un vecchio blazer di tweed, sopra una sciarpa di lana arrotolata con poca cura.
In una mano teneva una valigetta di pelle marrone, nellaltra un barattolo di vetro pieno di qualcosa di rosso e invitante.
“Scusi se disturbo,” disse con voce roca. “Credo insomma, mi è parso di sentire una quiete particolare da queste parti. La quiete del Capodanno è davvero rara, non potevo ignorarla.”
Sono rimasta zitta, poi il mio sguardo è corso fuori, verso la fiaba di neve che danzava sotto il lampione.
“Arturo, cosa cosa desidera?”, ho domandato infine, incerta e un po confusa.
“Le ho portato un regalo,” mi disse, porgendomi il barattolo. “È succo di melagrana, lo preparava sempre mia moglie. Diceva che allontana la malinconia. E poi” sollevò la valigetta. “Vorrei mostrarle una cosa. Mi permette di entrare per quindici minuti? Solo fino a mezzanotte.”
Ero lì sulla soglia. Le mie difese, costruite con fatica in settimane di apatia, stavano cedendo. Prima la neve, ora Arturo con la sua stranezza e il succo. La curiosità quella che pensavo di aver perso sotto strati di pragmatismo e delusioni tornò a farsi sentire.
“Entri pure,” balbettai, facendolo passare.
Arturo entrò, si tolse delicatamente la neve dalle scarpe, non si sfilò il cappotto. Appoggiò la valigetta in mezzo al soggiorno immerso nel semibuio. Solo la luce del lampione filtrava dalla finestra.
“È minimalista qui da lei,” constatò. Nessun giudizio, nessuna compassione. Solo unosservazione.
“Non avevo intenzione di festeggiare,” risposi secca.
“Capisco,” annuì lui. “Dopo certi cambiamenti, come quelli che ha vissuto lei, la festa pare quasi uno sberleffo. Tutti felici attorno, e tu tu non riesci. Non vuoi. E ti convince che il problema sia solo tuo.”
Alzai lo sguardo stupita dalla precisione delle sue parole.
Noi due non avevamo mai scambiato più di qualche parola sui giornali o il tempo.
“È davvero così?”
“Sono vecchio, Anna. Ho visto molte persone e infiniti inverni. So che linverno non è una fine. È solo il riposo della terra. Anche le persone dovrebbero riposare. Ma non addormentarsi per sempre.”
Aprì la valigetta con calma. Dentro, sul velluto, si trovavano decine di sfere di vetro. Ognuna diversa. Una blu, cosparsa di brillantini dargento come una galassia. Unaltra rosso acceso, decorata con una minuscola rosa dorata. Unaltra ancora perfettamente trasparente, che si colorava darcobaleno in certe angolazioni.
“Cosa sono?”, sussurrai avvicinandomi.
“La mia collezione,” dichiarò fiero Arturo. “Non raccolgo francobolli o monete. Io colleziono ricordi. Ogni sfera rappresenta un attimo felice della mia vita. Questa,” prese quella blu, “è la sera che io e mia moglie siamo stati in montagna per la prima volta. Guardavamo le stelle e ci promettemmo di restare insieme. Abbiamo mantenuto la promessa. Quella rossa me la regalò per il nostro primo anniversario. Diceva che lamore è una rosa che non appassisce.”
Guardai dentro quelle minuscole galassie di vetro, e sentii il mio cuore che credevo congelato sciogliersi. Non erano solo decorazioni. Era vita, con le sue passioni, il suo calore.
“Perché me le mostra?”
“Perché lei adesso è vuota,” spiegò dritto, senza mezzi termini. “Ma il vuoto non è una condanna. È uno spazio. Uno spazio da riempire con qualcosa di nuovo. Guardi.”
Dalla tasca della giacca tirò fuori una piccola sfera di vetro. Trasparente, senza decori.
“Questa è per lei,” disse porgendomela. “La sua prima sfera. Simbolo di questa sera, del fatto che ha aperto la porta anche se voleva dormire. Simbolo della neve che ha visto dalla finestra. Simbolo che anche nella più grigia delle quieti può nascere un miracolo.”
Presi la sfera tra le mani. Fredda, liscia.
Fuori, i rintocchi del Duomo segnarono la mezzanotte, e sulle strade si alzarono le grida: “Buon anno!”
Guardai Arturo. I suoi occhi brillavano ora di una luce antica e saggia.
“Grazie,” sussurrai. Per la prima volta, dopo mesi, un sorriso vero timido ma sincero mi si disegnò sulle labbra.
“Non cè di che,” rispose Arturo sorridendo. “Adesso ha un inizio. Da domani potrà scegliere quale ricordo mettere nella sua sfera. Magari una tazza di caffè domattina. O un libro che finirà. O chissà, qualcosa di più grande. Il nuovo anno è appena incominciato.”
Richiuse la valigetta, mi augurò buon riposo, e se ne andò. Lasciandomi sola con una quiete nuova.
Ma questa era una quiete diversa. Non pesante e vuota, ma piena di una dolce speranza.
Mi avvicinai alla finestra tenendo stretta la sfera di vetro. La neve cadeva ancora lieve, cancellando le vecchie tracce, coprendo il mondo di bianco. E per la prima volta da tempo, pensai non al passato, ma a quello che sarebbe venuto…
E questo sì, fu un vero miracolo di Capodanno.






