La Rinascita del Fuoco

**Fenice**

Serena entrò nell’ufficio, annuì appena al guardiano e oltrepassò l’ascensore dirigendosi verso le scale. Saliva sempre a piedi fino al quinto piano. Tre volte alla settimana andava in palestra, più spesso non aveva tempo. Persino nel suo appartamento al quindicesimo piano, spesso saliva per le scale quando, a fine giornata, le rimanevano ancora energie.

I suoi tacchi, che battevano ritmici sul marmo dell’atrio, presto si smorzarono nel vano della scala, quasi fosse volata via. La chiamavano strega, arpia, regina, quando non poteva sentirli. A trentasei anni, ne dimostrava dieci di meno. L’età vera la tradivano gli occhi—intelligenti, scrutatori, occhi di una donna che aveva vissuto molto. Vestiva in modo rigorosamente professionale, il trucco abile esaltava la sua bellezza naturale.

—Chi era quella? — chiese un giovane avvicinandosi al guardiano. Questi lo squadrò con sguardo sospettoso.

—La direttrice della società di revisione *Fenice* — rispose con rispetto l’uomo sulla cinquantina, un po’ in carne.

La donna era ormai lontana, ma nell’atrio rimaneva ancora il profumo del suo *Chanel N°5*.

—Non è sposata? — domandò il giovane, scorrendo la mappa del centro direzionale alla ricerca degli uffici della *Fenice*.

—Che le serve, giovanotto? — Il guardiano lo osservava con crescente diffidenza.

—Ho un colloquio alla *Borghese*.

—Cognome? — L’uomo già componeva un numero sul telefono interno.

Il giovane si presentò.

—Avanti. Settimo piano, ufficio settecentodiciassette — concluse il guardiano.

Luca si diresse agli ascensori, consapevole di essere ancora osservato. Aveva notato che la *Fenice* era al quinto. Giunto al settimo, scese quindi le scale fino a destinazione. Vide subito, sopra le porte di vetro, l’insegna a lettere rosse: *Società di revisione Fenice*, ed entrò. Lo fermò un sorriso cortese della ragazza alla reception.

—Buongiorno. Posso aiutarla?

—Buongiorno. La direttrice è in sede? — chiese Luca, come se fosse di casa.

—Sì. Ha un appuntamento? A che ora? — La ragazza aprì l’agenda.

—Sì. Cioè, no. Vorrei parlarle.

—Temo non possa riceverla senza appuntamento. Per quando preferisce? — prese una penna, senza smettere di sorridere.

In quel momento, risuonò il ticchettio di tacchi, e Luca vide una donna elegante avvicinarsi lungo il corridoio. Si rifece vivo come un predatore alla vista della preda.

—Serena Vitale, ha un visitatore senza appuntamento — annunciò la ragazza.

—Vede, ero qui per un colloquio alla *Borghese*. Ho pensato di tentare la fortuna anche con lei — confessò Luca con l’aria imbarazzata di un ragazzino colto in fallo.

Serena lo scrutò con uno sguardo penet—Ha una laurea in economia? — la sua voce era profonda e piacevole.

—No, in giurisprudenza — Luca infuse nel sorriso tutto il suo fascino.

—Bene, sono disposta ad ascoltarla. Segua pure — e si avviò per prima lungo il corridoio.

Lui la seguì, ammirando la figura slanciata nel tailleur grigio e la gonna stretta al ginocchio, le gambe bellissime che sembravano ancora più lunghe grazie ai tacchi alti, inalando il profumo del suo costoso *Chanel*.

—Ninetta, per dieci minuti non passarmi nessuno — disse alla giovane segretaria nell’anticamera, aprendo poi la porta di quercia del suo ufficio.

—Si accomodi.

Il tappeto spesso attutiva il rumore dei passi. Serena sedette alla sua scrivania, indicando con lo sguardo una poltrona di fronte a sé.

—Per quale posizione si candida?

—Non lo so — ammise Luca, sorridendo come per scusarsi.

—Credo sarebbe meglio tornare dalla *Borghese* — rispose fredda Serena.

—A dire il vero, non ho mai lavorato in una società di revisione, ma ho bisogno di un lavoro e imparo in fretta — rispose con fervore.

Serena lo osservò di nuovo a lungo.

—Un nostro collaboratore sta per andare in pensione, in due settimane può mostrarle il lavoro. Lo stipendio sarà intero solo dopo due mesi di prova. Va bene?

—Perfetto. Non la deluderò, vedrà. — Luca fece brillare gli occhi di sincero entusiasmo.

—Ha i documenti con sé?

—Sì. — Aprì la cartella.

Un gesto di Serena lo fermò.

—Li porti in Human Resources, Ninetta la accompagnerà. Sappia che la sicurezza fa controlli rigorosi. Se non ha domande, ci vediamo domani.

Luca uscì, sentendo il suo sguardo penetrante sulla schiena.

—Severa — bisbigliò a Ninetta, chiudendo la porta. La segretaria non sorrise. «Ben addestrata», pensò.

Si considerava fortunato: lavoro trovato e una capa come quella. «Ma senza fretta, senza spaventarla», pensò seguendo Ninetta nel labirinto di corridoi.

—Perché ha lasciato il precedente lavoro? — chiese una signora anziana sfogliando il curriculum.

—Mia sorella mi chiamava a Milano. Ho visto la vostra società, il nome mi è piaciuto. — Non poteva certo dirle che a Torino aveva sedotto la figlia del capo, e che il padre inferocito l’aveva quasi ammazzato.

Compilò i moduli pensando a Serena: «Giovane e già direttrice. Di certo aiutata da qualche potente».

Non sbagliava del tutto. Serena era cresciuta in un paesino di fabbriche, tra ciminiere che vomitavano fumo grigio. La madre, operaia per vent’anni, si ammalò ai polmoni e morì poco prima della sua maturità. Serena partì per Milano in cerca di fortuna.

La trovò in Marco, studente più grande che la prese sotto la sua ala. Quando rimase incinta, lui sparì. Abortì. «Avrò altri figli», pensò. Ma non ne ebbe più.

Dopo quell’esperienza, ignorò gli uomini. Poi conobbe il direttore della *Fenice*, ventidue anni più vecchio. Le propose matrimonio e partnership. Accettò, pur non amandolo. «Aspetterò, e alla fine avrò tutto.» Attese dieci anni. Alla sua morte, divenne l’unica padrona della *Fenice*, fredda e calcolatrice.

Due settimane dopo, festeggiarono il pensionamento del dipendente più anziano. Serena parlò con affetto, regalò una busta e un viaggio alle Maldive. Poi buffet e balli.

Mentre usciva, Luca la raggiunse.

—Serena, balliamo?

Senza aspettare risposta, la trascinò in pista. Ballava con sicurezza. All’ultima nota, la inclinò all’indietro in un gesto teatrale. Scoppiarono applausi.

Aiutandola a rialzarsi, vide che non era più fredda. C’era interesse in quel sguardo. Lei si sistemò la giacca e uscì. Luca frenò l’impulso di seguirla.

Dopo il party, Luca la evitò. Quando entrava in ufficio, fingeva di essere immerso nel lavoro. E così suscitò la sua curiosità. Fu lei a cedere prima. Ninetta lo chiamò nello studio.

—I colleghi la lodano. Il periodo di prova sta per finire. Domani sarà assunto con lo stipendio pieno.

Luca la ringraziò con compostezza. Una settimana dopo, la incontrò all’uscita e le offrì un passaggio.

—Il suo autista è in ritardo. Salga.

Esitò un attimo, poi accettò.

Arrivati a casa, la accompagnò all’ascensore. Temette un rifiuto, ma lei tacque.

Salirono in silenzio al quindicesimo piano. «Di chi batte più forte il cuore?» si chiese Luca. Lei sembrava impassibile.

L’appartamento, bianco e grigio, sembrava disabitato. «Ci viene solo per dormire», capì.

In ingresso, trovò pantofole da uomo. «Quindi altri uomini ci sono stati.» In cucina, la macchina del caffè già rombava.

Bevvero in piedi, scambiando frasi banali. Quando lei portò le tazze al lavandino, Luca la afferrò e la baciò con foga…

Al mattino, lui si svegliò per primo. Le portò il caffè a letto. Lei si coprì con imbarazzo.

—Ho pensato ne avresti voluto.

Lui era già vestito, profumato di bagnoschiuma e dentifricio. «Mio marito puzzava sempre di stomaco», pensò lei sorseggiando.

—Vado via, meglio non farci vedere insieme.

Nessun tentativo di baciarla. Solo un’uscita silenziosa. Serena si stiracchiò beata. «Il primo era un ragazzino, il secondo un vecchio, ma Luca…»

Quel giorno, sorrise per la prima volta al guardiano. Luca continuò a ignorarla, e questo la eccitava ancora di più. Di notte, però, era dolce e tenero. E lei si scioglieva.

Due mesi dopo, Serena svenne in ufficio. Ninetta chiamò l’ambulanza.

Il dottore entrò in corsia: —Niente di grave, anzi, congratulazioni!

—È impossibile… — mormorò. Dopo l’aborto le avevano detto che non avrebbe più avuto figli.

—Per l’età e il periodo delicato, resti alcuni giorni in osservazione.

Felice, tentò di chiamare Luca. Nessuna risposta. Provò ancora la sera. «Dorme?»

Convincendo un’infermiera a portarle i vestiti, le regalò un anellino per ringraziarla.

Prese un taxi per casa. L’odore di carne speziata le provocò nausea. Stava per entrare quando sentì la voce di Luca:

—Affamata? Lo steak è pronto. Ne mangerei un chilo!

—Sei il mio cacciatore — rispose la voce di Ninetta, seguita da una risata civettuola.

Serena sbirciò dall’ingresso. Luca, in costume e con il suo grembiule, cucinava. Ninetta, indossando la sua camicia, dondolava una gamba nuda seduta al bancone.

Il cuore le esplose di rabbia. L’aveva usata per la carriera, i soldi, la casa, e mentre lei era in ospedale, si era portato Ninetta lì. Senza dubbi su cosa avessero fatto. «M’ha scambiata per quella stupida ragazzina!» Le bruciava l’orgoglio. Sfogarsi? Cacciarli via nudi?

Ma il bambino… «Il dMa il bambino… «Il dottore ha detto di evitare lo stress, rischio di perderlo», ricordò, e invece di scatenarsi, uscì in silenzio e corse dall’unica amica a cui potesse confidarsi.

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