La scelta della nonna non è ricaduta su di noi

Nonna ha scelto non noi

Lidia Romano stava vicino alla finestra e guardava i bambini giocare nel cortile. Una bambina con le treccine le ricordava la nipotina Beatrice, che non vedeva da sei mesi. Eppure avrebbe potuto vederla ogni giorno.

“Lidia, perché sei così triste?” le chiese la vicina, Valentina Rossi, avvicinandosi con una tazza di tè in mano. “Pensi di nuovo ai nipotini?”

“Sì, mi vengono tanti pensieri,” sospirò Lidia. “Guardo quei bambini e penso che avrei potuto fare una passeggiata con Beatrice, leggere storie per lei.”

“Ma perché ti tormenti? Hai fatto la tua scelta, ora vivi con le conseguenze.”

Valentina aveva ragione. La scelta c’era stata. E Lidia l’aveva fatta. Ma le cose erano andate diversamente da come immaginava.

Tutto era cominciato quando suo marito si era ammalato. Gravemente. I medici avevano detto che servivano cure costanti. Lidia aveva lasciato il lavoro per assisterlo. Per un anno e mezzo non si era allontanata un momento da Enrico. Lo imboccava, lo girava nel letto, lo lavava, gli leggeva il giornale ad alta voce.

In quel periodo, suo figlio maggiore, Matteo, era venuto a trovarla tre volte, non di più. Sempre troppo lavoro, troppi impegni. Il figlio minore, invece, Luca, passava spesso. Portava medicine, generi alimentari, lasciava qualche soldo. Anche sua moglie, Sofia, era una brava ragazza—qualche volta le portava una minestra fatta in casa, altre volte lavava i panni.

“Mamma, perché non portiamo papà in una clinica?” aveva proposto Matteo durante una delle sue rare visite. “Lì avrebbe assistenza, e tu potresti riposare.”

“In clinica?” si era indignata Lidia. “Senza di me non sopravvivrebbe! Quarant’anni insieme, e ora dovrei abbandonarlo?”

“Non abbandonarlo, ma garantirgli cure migliori.”

“Le cure migliori sono quelle di casa, con la famiglia accanto.”

Matteo aveva alzato le spalle ed era tornato ai suoi affari. Luca, invece, aveva continuato ad aiutare. A volte portava anche la moglie e la piccola Beatrice, così la bambina poteva vedere il nonno.

Quando Enrico morì, Lidia si ritrovò completamente sola. L’appartamento le sembrava enorme e vuoto. Ogni angolo le ricordava il marito, ogni oggetto le strappava il cuore.

“Mamma, vieni a stare con noi,” le propose Luca dopo il funerale. “Perché restare qui da sola?”

“Non so,” rispose confusa. “Sono abituata qui.”

“Mamma, da noi c’è poco spazio,” intervenne Matteo. “Luca ha un bilocale in periferia, per loro è più facile.”

“Troveremo il modo,” disse Luca deciso. “L’importante è che tu non sia sola.”

Lidia guardò i due figli e rifletté. Matteo, di successo, con un trilocale in un bel quartiere. Luca viveva più modestamente, con uno stipendio più basso. Ma aveva un cuore d’oro, quello sì.

“Ci penserò,” disse alla fine.

Ci pensò a lungo. Matteo passava di rado, ma quando lo faceva portava cibi costosi, medicine straniere. Parlava di quanto sarebbe stato bello per lei vivere nel suo quartiere—con l’ospedale vicino, i negozi, il parco per le passeggiate.

“Mamma, sono il figlio maggiore,” diceva. “La tradizione vuole che i genitori stiano col primogenito.”

Luca, invece, aiutava senza tante parole. Puliva il lampadario, portava la spesa, a volte restava solo a chiacchierare. Sofia le preparava torte fatte in casa, Beatrice le regalava disegni.

“Nonna, quando vieni a stare con noi?” chiedeva la nipotina abbracciandola al collo. “Ti faccio vedere la mia cameretta. Ho una casetta per le bambole, possiamo giocare insieme!”

“Presto, tesoro, presto,” rispondeva Lidia, ma non riusciva a decidCon il tempo, Lidia imparò che la vera famiglia non era quella che offriva il lusso, ma quella che sapeva amare anche nelle difficoltà, e finalmente trovò la pace nel calore di Luca, Sofia e la piccola Beatrice.

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