***La Strada Oscura***
Come tutte le ragazze della sua età, Benedetta sognava in grande. Voleva finire il liceo, iscriversi all’università, diventare medico. Sognava un amore eterno, romantico, da favola. Chi non lo sogna, a diciassette anni? Ma non tutti i sogni si avverano. E nessuno sa perché.
Sua madre, Viola, l’aveva cresciuta da sola. Anche lei, da giovane, aveva creduto nel principe azzurro. Si era innamorata di un bel ragazzo, pensando di aver trovato la felicità. Ma lui era un giocatore d’azzardo. Vinto poco, perso tutto. E quando i debiti si fecero troppo grossi, si mise in affari con la malavita. Al primo colpo, finì in galera. Qualcuno disse che si era suicidato. Altri sussurravano che lo avevano aiutato.
Un giorno, due uomini rasati a zero bussarono alla porta di Viola. “I debiti di tuo marito ora sono tuoi”, le dissero, minacciosi. Viola non ebbe scelta: svuotò l’appartamento, lo consegnò, e fuggì con Benedetta, di due anni, senza una meta. Forse i criminali capirono che da lei non avrebbero avuto altro, o forse l’appartamento bastò a saldare il conto. Fatto sta che la lasciarono in pace.
Si stabilirono in un paesino vicino a Catania. Viola sperava che il sole generoso del sud le avrebbe dato una chance. Affittò una stanza da un anziano siciliano, Salvatore, che le chiese solo un po’ di aiuto in casa e nell’orto in cambio dell’affitto. La moglie era morta da tempo, i figli grandi vivevano lontano.
Viola accettò. Spazzava, cucinava, raccoglieva pomodori, zappava la terra. Salvatore vendeva il raccolto al mercato, e nei giorni di fortuna le regalava qualcosa per vestirsi, a lei e a Benedetta. Viola capì presto dove voleva arrivare. E quando lui le propose di sposarlo, non si stupì. Salvatore era basso, calvo, con una pancia rotonda e il doppio dei suoi anni. Non le piaceva, ma che scelta aveva? Niente soldi, nessun posto dove andare.
Promise che, alla sua morte, la casa sarebbe stata sua e di Benedetta. Viola accettò. Quegli anni le sembrarono un’eternità. Ma almeno, quando Salvatore morì, fu finalmente libera.
Benedetta era diventata una bellezza. Pelle olivastra, occhi grigi, labbra carnose, capelli neri e ricci. Una figura da far girare la testa. E Viola, che conosceva il mondo, aveva paura. La controllava, la metteva in guardia: *“Con una bellezza come la tua, hai tutte le carte in regola. Ma non cercare il bello, cerca l’uomo solido.”*
Poi arrivò lui. Andrea, uno studente di Milano, in vacanza dai parenti. Appena la vide, perse la testa. Andò da Viola a chiederla in sposa. “Mio padre ha un’azienda, un giorno sarà mia”, disse, gonfiandosi il petto. Viola non era stupida.
“Se vuoi sposarla, bene. Ma prima che finisca la scuola, non ci pensare nemmeno. Torna tra un anno, e ne riparliamo. E finché non saranno passati dodici mesi, non osare toccarla.”
Eppure, dentro di sé, sperava. Se fosse stato vero, Benedetta avrebbe avuto una vita dorata. Andrea accettò. Partì, ma scriveva, chiamava. Tornò a Capodanno per qualche giorno. “Un altro anno, e lavoro con mio padre”, prometteva.
Benedetta non guardò più nessun altro. Aspettò.
L’anno dopo, Andrea tornò con i genitori. Loro capirono subito: bella sì, ma non all’altezza del loro unico figlio. Però, visto che lui era pazzo di lei, acconsentirono. Una sposa così avrebbe fatto buona impressione. E poi, a Milano, l’avrebbero “civilizzata”.
Il matrimonio fu sontuoso. Viola era felice. “Non avere figli subito”, le raccomandò prima che partissero. E per un po’, tutto andò bene. Benedetta si iscrisse a medicina…
Ma il padre di Andrea non resistette alla sua bellezza. La guardava in un modo che la faceva rabbrividire.
Un giorno, la madre chiamò, dicendo di sentirsi male. Andrea corse da lei. E il padre bussò alla porta di Benedetta. Era agosto, afoso. Lei aprì in shorts e canottiera, pensando fosse Andrea.
Lui non trattenne più gli istinti. La spinse sul divano. Benedetta cercò di reagire, ma contro un uomo così, non c’era forza che tenesse. E gridare? Inutile. Di giorno, i vicini erano al lavoro o in vacanza. E anche se qualcuno avesse sentito, chi sarebbe corso in aiuto dell’ex prostituta del quartiere?
Accanto al divano c’era un vaso pesante. Benedetta lo afferrò, e glielo sbatté in testa con tutta la sua forza.
Quando Andrea tornò, il padre era già all’ospedale, e Benedetta in questura, interrogata. Raccontò tutto, ma chi le avrebbe creduto? L’ispettore virò la storia: *“Hai provocato tuo suocero. Se lui muore, tuo marito eredita tutto. Non è un bel movente?”*
Quattro anni di carcere. Una settimana dopo, la notizia: Viola era morta. Un infarto. La figlia maggiore di Salvatore vendette la casa subito. “Non la voglio, ma non la darò mai a una criminale.”
In prigione, la bellezza di Benedetta diventò una maledizione. Capì che non sarebbe sopravvissuta. Non aveva il coraggio di uccidersi, ma doveva proteggersi. Una compagna di cella aveva delle forbici. Con quelle, Benedetta si sfregiò la guancia, davanti allo specchio.
La ferita si infettò. Il medico la ricucì male, lasciandole una cicatrice orribile. Da allora, nessuno la guardò più.
Alla scarcerazione, non sapeva dove andare. Andrea l’aveva lasciata. La madre era morta. La casa, venduta. Disse di avere parenti a Verona, ma era una bugia.
Scese alla stazione di un paesino. La sera stava cadendo. Pochi soldi, nessun posto dove dormire. Poi, una macchina scassata si fermò vicino a lei. Dentro, un uomo con la barba rossiccia e un saio nero.
“Forestiera? Cerchi un hotel?” era padre Michele.
La portò a casa sua, dove viveva con suor Agnese e i loro figli. Le offrì una stanza. “Aiuterai mia moglie, e non chiederò nulla.”
Benedetta accettò. In quel luogo, la sua anima cominciò a guarire. Padre Michele scoprì del suo sogno di diventare medico e si impegnò per aiutarla. “Hai il diploma? Gli esami?”
“Sì, ma i documenti sono da mio marito…”
“Non importa. Troveremo un modo.”
Dopo un anno, Benedetta si iscrisse all’università di Verona. Un professore le sistemò la cicatrice. *“Chi ti ha cucito così? Un macellaio?”*
Laureata, trovò lavoro in ospedale. Cinque anni dopo, andò a un convegno a Milano. Il cuore le batteva forte. Temeva di incontrare qualcuno del passato, ma poi capì: in quei luoghi, non c’era spazio per lei.
All’ultimo giorno, mentre comprava regali per la famiglia di padre Michele, qualcuno la chiamò. Era Andrea. Magro, sporco, gli occhi spenti.
“Benedetta! Sei tornata?”
“No. Sono qui per lavoro.”
“Sei diventata medico?”
“Sì. E tu… cosa ti è successo?”
“Dopo la morte di mio padre, i sociE lei, dopo un attimo di esitazione, gli sorrise e disse: “Se hai bisogno di un posto dove dormire, la casa di padre Michele ha sempre una porta aperta,” poi voltò le spalle e camminò verso la stazione, finalmente libera nel cuore e nell’anima.