La sfida della felicità

**Felicità Difficile**

Venerdì, la ragioniera capo arrivò al lavoro elegante, con una bottiglia di vino pregiato, una torta e un vassoio di affettati.

“Ragazze, dopo il lavoro non andate via, facciamo un brindisi per il mio compleanno,” annunciò.

Tutti si affollarono per abbracciarla e congratularsi. Lo fece anche Giada. Era entrata in azienda senza esperienza, aveva preso le sue botte per ogni errore, ma considerava sinceramente la signora Moretti la sua mentore. Quella l’abbracciò e sussurrò all’orecchio:

“Tra poco andrò in pensione. Tu, Giadina, voglio candidarti al mio posto. So che ce la farai. Sei disciplinata, seria…”

Giada non fece in tempo a ringraziare che già un’altra collega si avvicinava con gli auguri.

Finirono prima il lavoro, liberarono il grande tavolo nell’ufficio della capo, lo coprirono con una tovaglia di carta e misero su tutto quello che trovarono in frigo. All’inizio dei festeggiamenti arrivò anche il direttore con i capi degli altri reparti. Le consegnò un mazzo di rose e un regalo. Ricominciò il trambusto. Giada ne approfittò per sgattaiolare fuori.

“Dove vai? Abbiamo appena iniziato,” la raggiunse in corridoio Beatrice, sua amica e collega.

“Devo andare, mio padre è solo a casa.”

“Resta almeno mezz’ora, cosa vorrà mai succedere in così poco tempo?”

“Non insistere. Lui non sopporta i ritardi, si agita, la pressione sale. Alla sua età è pericoloso.”

“E quanti anni ha?”

“Settantuno,” sospirò Giada.

“Ma che vuol dire? A quell’età alcuni uomini si innamorano ancora e si risposano…”

“Davvero, Bea, devo andare. Scusami con gli altri.” Si voltò per partire, ma Beatrice la trattenne.

“Ti sei rinchiusa in un angolo. Sei giovane, non hai vita. È normale? Tuo padre non vuole che tu abbia una famiglia? Dei nipoti?”

“Di quali nipoti parli? Ho quarantadue anni…”

“E allora? Ti sei già data per vinta. Di questo passo morirai prima di lui… Oh, scusa,” si corresse Beatrice, notando lo sguardo accusatorio di Giada. “Ma chi te lo dice se non io? È malato?”

“No, invecchia solo. Ha paura di morire solo.”

“Non ti capisco, Giada. Tua madre ha ballato attorno a lui tutta la vita. E dov’è lei adesso? Ora tocca a te…”

“Basta. È la mia vita.” Si liberò dalla presa e s’incamminò verso il suo ufficio per prendere le sue cose. Beatrice la guardò andare con pena.

Fuori, l’aria sapeva di primavera. Quasi tutta la neve si era sciolta, presto gli alberi sarebbero germogliati… Tornando a casa, Giada entrò in un negozio. C’era fila alla cassa. Guardò l’orologio. Aveva tempo, era uscita prima, dieci minuti a piedi e sarebbe stata a casa. Si tranquillizzò.

A casa fece rumore nell’ingresso, così che suo padre la sentisse. Portò la spesa in cucina e entrò in salotto. Lui era sdraiato sul divano, fissando la televisione.

“Papà, sono qui. Che guardi?”

Dal modo teso in cui fissava lo schermo, capì che era contrariato. E quando mai non lo era?

“Come ti senti?” chiese paziente.

“Eh, mica avevi fretta di tornare. Dovevi far baldoria. E io qui con la pressione alta. Morirò solo e tu non te ne accorgerai nemmeno,” borbottò, lanciandole un’occhia torva.

“Quale baldoria? Mi sono fermata un minuto al negozio. Aspetta.” Andò all’armadio, prese il misuratore di pressione e tornò da lui.

“Dai, la mano. Te la misuro.”

Lui non si mosse.

“Papà, non fare il bambino. Non essere testardo.”

Allungò la mano a malincuore. Giada gli mise il bracciale e iniziò a pompare.

“Ma non hai nulla. La pressione è perfetta.”

“Tu non sai misurarla. Io sento che ce l’ho alta,” brontolò.

Giada sapeva che non era più giovane, aveva bisogno di cure, aveva lavorato in cantiere tutta la vita. Ma questo non giustificava star tutto il giorno sul divano.

“Vuoi che chiami il dottore domani?”

“Che ne sanno, quei dottori? Pillole e basta. Non servono a niente.”

Giada ripose il misuratore e andò in camera a cambiarsi. Poi preparò la cena, mentre nella sua mente correva un dialogo infinito con suo padre.

*Anche io vorrei riposarmi. Passo la giornata davanti allo schermo, gli occhi mi bruciano. Potrei essere con le colleghe, a bere vino e mangiare torta. Mi hanno promosso, e io sono scappata. E se la signora Moretti si offendesse?*

*Sono adulta, sono stanca dei tuoi controlli, delle tue critiche. Potresti almeno andare al negozio vicino. Beatrice ha ragione, finirò per ammalarmi anch’io. Sono senza forze…*

Si interruppe. Non era giusto parlare così di suo padre, anche se non la sentiva. Chissà come si sarebbe sentita alla sua età, forse peggio. Ma davanti a chi?

Per quanto ricordava, sua madre faceva tutto da sola: puliva, cucinava, portava le buste pesanti. Suo padre riteneva indegno per un uomo occuparsi della casa, specie con due donne in famiglia. Non importava che l’altra donna fosse una bambina.

Non ricordava mai sua madre ozE mentre il sole tramontava dietro i tetti di Roma, Giada sorrise, sapendo che finalmente, dopo anni di sacrifici, la felicità aveva bussato alla sua porta.

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