**12 maggio 2024**
Non più giovane ma con una luce negli occhi, Renata Mancini dopo colazione lavò la tazza del tè, si preparò un caffè con calma e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra.
“Anni e anni sempre uguali. L’orologio, il vetro, il libro aperto sul davanzale e la solitudine. Quanto mi manca mio marito, che mi ha lasciata troppo presto,” pensava spesso.
Dieci anni fa aveva sepolto l’uomo che amava. Il dolore col tempo si era attenuato, ma alla solitudine non ci si abitua. I primi anni sentiva ancora la sua presenza, poi svanì. Lo notò perfino una volta e rifletté:
“Le persone amate non se ne vanno di casa, semplicemente scompaiono dall’anima. Prima o poi succede.”
Ultimamente la solitudine la opprimeva. Aveva perfino pensato di cercare un uomo solo come lei. Renata osservava quelli intorno, senza fretta, fermando lo sguardo su qualcuno.
“E se ci fosse un’anima gemella, qualcuno che capisce questa solitudine?” L’idea la distraeva, immaginando di sedere accanto a un uomo, una dolce melodia che risuonava nel suo cuore stanco.
Da tempo aveva notato il colonnello in pensione nel palazzo accanto. La sua amica Anna viveva nello stesso pianerottolo e suo marito, Fabrizio, spesso usciva a pesca con lui.
“Quell’uomo è vedovo anche lui, Renata,” le aveva detto Anna. “Ha una figlia, ma vive lontana. Serio, sì, ma con Fabrizio scherza perfino. Dacci un’occhiata, no? Meglio in due che soli.”
“Non so, Anna. Come faccio a farmi avanti io? Dovrebbe essere l’uomo a fare il primo passo,” rispondeva Renata.
Era una donna di classe, ex insegnante di lettere. Colta, elegante, sapeva conversare con garbo.
Giovanni Rossi, infatti, era un colonnello in pensione. Magro, alto, capelli bianchi e occhiali. Camminava dritto, quasi marciando. Ma era interessante. Renata lo osservava di sfuggita quando lo incrociava, scambiando un saluto formale:
“Buongiorno.”
A volte lo guardava intensamente, ma lui non sembrava accorgersene. Le anziane del quartiere chiacchieravano di lui:
“Dicono che abbia avuto una ferita alla testa in missione e non senta più nulla,” sussurrava una.
“Ma che dici! Mio figlio mi ha detto che ha problemi alla vista per via dei cannocchiali militari,” ribatteva un’altra.
“Sentite questa: dicono che non sia più un uomo, ecco perché ignora le donne,” aggiungeva una terza, in cerca di compagnia.
Renata ci pensava su.
“Chissà cosa fa da solo. Legge? Guarda film di guerra? Anche a me piacciono.” Si immaginava punti in comune. E poi amava la poesia:
“*Scende la sera. Fresco, una pioggerellina. Nessuno che aspetti, tanto non verrai…*” I versi sulla solitudine la commuovevano.
Quella sera il telefono squillò all’improvviso. Era Anna:
“Renata, buonasera! Che fai? Aspetta, indovino: un libro in mano, vero?” rise l’amica.
“Esatto. Cosa mi resta da fare la sera? Leggere è la mia passione,” rispose Renata.
“Domani è il mio compleanno! Te lo eri scordato?”
“Oh, Anna, perdonami! Che testa!” si scusò Renata.
“Tranquilla. Vieni da noi domani? Saranno in pochi, gente simpatica.”
Il giorno dopo, Renata si preparò con cura. Si osservò allo specchio: qualche ruga, ma nulla di grave.
“L’eleganza non ha età,” sorrise tra sé.
Arrivata da Anna, notò con gioia che c’era anche il colonnello.
“Eccoti! Siediti qui,” disse Anna, piazzandola accanto a Giovanni.
La serata proseguì tra brindisi e risate. Fabrizio, padrone di casa, sapeva intrattenere. Dall’altra parte di Giovanni sedeva Teresa, una vicina prosperosa vestita di rosa, che gli lanciava occhiate languide.
Quando partì la musica, Teresa si avvicinò per ballare. Renata evitò di guardare, ma poi Giovanni le si sedette accanto, sfiorandole la gamba. Lei trasalì.
“Scusi, non volevo disturbarla,” sussurrò lui.
“Tutto a posto,” rispose, sorridendo.
Al brano successivo, lui la invitò a ballare, anticipando Teresa. Renata sentì il cuore esultare.
Lo guidava con sicurezza, stringendola al momento giusto. “Che braccia forti,” pensò. E quella luce negli occhi… Mai vista prima.
Teresa li fissava torva. “Ecco la solita sofisticata,” borbottava.
Lui invece sembrava rinato. “Pensavo di essere un sasso, e ora il sangue ribolle,” rifletteva.
Prima di andarsene, Giovanni le propose una passeggiata. Camminarono nel profumo dei gelsomini, poi lui la riaccompagnò. A casa sua, accettò un caffè.
Anna e Fabrizio li guardarono uscire insieme, soddisfatti.
A letto, Fabrizio rise: “E dire che voi donne lo davate per finito!”
Ora Renata e Giovanni vivono felici. Passeggiano al tramonto tenendosi per mano. Tutti sono contenti, tranne Teresa. Il colonnello, si è scoperto, ha ancora tanto da dare.
**Morale:** La solitudine non è destino. A volte basta un incontro per riaccendere la luce.