La sorella che ha tradito per prima

— Come hai potuto?! — urlava Marina, agitando un foglio stropicciato. — Come hai potuto firmare questa porcheria?!

Silvia sussultò, allontanò la tazza di caffè e si girò lentamente verso la sorella. Sul suo volto non c’era un briciolo di rimorso, solo stanchezza.

— L’ho firmato e basta. Che c’è di male? — scrollò le spalle. — Dovevamo venderla comunque la casa, lo hai detto anche tu…

— Io?! — la voce di Marina tremava per l’indignazione. — Io ho detto che dovevamo decidere insieme! Insieme, Silvia! E tu invece vai dietro la mia schiena, di nascosto, ti accordi con gli agenti immobiliari! E hai anche abbassato il prezzo della metà!

— Non la metà, solo… — provò a dire Silvia, ma Marina la interruppe.

— Un terzo! E allora? Che differenza fa?! Questa casa ce l’ha lasciata la mamma, capisci? A tutte e due! E tu hai deciso che comandavi tu!

In cucina scese il silenzio. Solo il ticchettio dell’orologio antico sul muro, quello che la mamma aveva portato dalla Francia anni prima. Silvia rimase in piedi vicino alla finestra, fissando il cortile dove lei e Marina da piccole giocavano a campana.

— Hai idea di cosa stai facendo? — riprese Marina, ma più piano. — Mio figlio deve iscriversi all’università, servono un sacco di soldi. E tua figlia si sposa, c’è il matrimonio da pagare. Ci servono come l’aria, quei soldi!

— Appunto, — si girò Silvia. — Servono come l’aria. Per questo mi sono affrettata. Finché ci sono compratori interessati al nostro quartiere. Se aspettiamo, poi nessuno vorrà più questa casa.

— Ma avevamo un accordo! — nella voce di Marina si sentivano le lacrime. — Avevi promesso che avremmo deciso insieme!

— Accordi, promesse… — fece un gesto di fastidio Silvia. — Poi sei sparita una settimana, non rispondevi al telefono. I compratori non aspettano, hanno tante opzioni.

Marina cadde sulla sedia, lasciò ricadere la testa tra le mani. Il contratto sulla tavola sembrava riderle in faccia.

— Ho dovuto correre dalla zia in campagna, — sussurrò. — Era malata, tutta sola. Te l’avevo detto…

— Detto, non detto… — replicò Silvia. — Il fatto è che ormai è fatta. I soldi arrivano tra un mese, li dividiamo a metà, e basta.

— Basta?! — si rialzò Marina. — Secondo te è tutto risolto?

Silvia si versò altro caffè, si sedette di fronte alla sorella. Il suo viso era calmo, quasi indifferente.

— E cos’altro? Vendiamo la casa, dividiamo i soldi. È giusto, no?

— Giusto… — sorrise amaramente Marina. — Ma era giusto non chiedermi niente? Non aspettare che tornassi?

— Marina, non fare tragedie! — sbuffò Silvia. — Vendiamo una casa, su. Tanto nessuna di noi ci voleva più vivere.

— Nessuna?! — gli occhi di Marina sfavillarono. — Chi veniva qui ogni weekend? Chi zappava l’orto, sistemava il tetto? Chi aiutava i vicini a tenere d’occhio la casa?

— E quindi? — alzò le spalle Silvia. — È il tuo hobby. Io, tra l’altro, ho pagato le bollette tutti questi anni.

— Le bollette… — Marina si alzò, si avvicinò alla finestra. — Silvia, ti ricordi come vivevamo qui? Come ci ha cresciute la mamma? Ti ricordi quando facevamo i compiti in questa cucina?

— Me lo ricordo, — rispose secca Silvia. — E allora?

— E allora?! — si girò Marina. — È la nostra memoria! La nostra infanzia! E tu la vendi a uno sconosciuto per due spiccioli!

— Non per due spiccioli, ma per un prezzo equo. E non a uno sconosciuto, ma a una famiglia con bambini. A loro serve una casa, a noi i soldi. Tutto normale.

Marina tornò al tavolo, prese il contratto. Lo sfogliò, lesse, e il suo volto divenne sempre più pallido.

— Silvia, cos’è questa clausola? — indicò una riga a metà foglio. — Qui dice che la venditrice è solo Silvia Rossi. E io dove sono?

Silvia distolse lo sguardo.

— È… un dettaglio tecnico. Hanno messo il mio nome perché abito in città, tu sei fuori. Era più comodo per il notaio.

— Comodo per il notaio?! — la voce di Marina si spezzò in un urlo. — Silvia, ma che stai facendo?! Così, stando ai documenti, la casa è tua! E poi mi darai metà dei soldi per gentilezza?!

— Non strillare! — si irritò Silvia. — I vicini sentono, cominceranno i pettegolezzi. Ti ripeto, è una formalità.

— Una formalità… — Marina si sedette, ansimando. — Silvia, siamo sorelle. Abbiamo la stessa madre. Come hai potuto?

— Non ho fatto niente di male! — esplose Silvia. — Vendo la casa, prendo i soldi, te ne do la metà. Dov’è il problema?

— Il problema è che non ti fidi di me! — batté un pugno sul tavolo Marina. — Il problema è che hai deciso al posto mio! Il problema è che mi tratti come un’idiota!

— Non ti tratto così! — agitò una mano Silvia. — Sono solo più pratica. Lo sono sempre stata.

— Più pratica… — rise amaramente Marina. — Ti ricordi quando la mamma si ammalò? Chi andava dai dottori? Chi faceva la notte in ospedale? Chi comprava le medicine?

— E allora? — strinse le labbra Silvia. — Io lavoravo due lavori per pagare le cure! Tu eri libera, potevi starcene in ospedale.

— Libera?! — balzò in piedi Marina. — Silvia, avevo appena perso mio marito! Era morto da poco! Ero sola con mio figlio! Ma andavo lo stesso a trovare la mamma ogni giorno!

— E io guadagnavo per pagarle le cure! — alzò la voce Silvia. — Mentre tu stavi lì, io lavoravo come un mulo!

— Lavoravi… — mormorò Marina. — E quando la mamma stava morendo, dov’eri? Te lo ricordi?

Silvia tacque, fissando la finestra.

— Ero in viaggio d’affari. Un viaggio importante.

— In viaggio! — rise Marina, ma era una risata tragica. — La mamma chiamava il tuo nome. Gli ultimi giorni: “Dov’è Silvia? Perché Silvia non viene?”

— Basta, — disse piano Silvia. — Non parliamone.

— Invece sì! — batté una mano sul tavolo Marina. — Bisogna ricordare! Le dicevo che eri in viaggio, che saresti tornata. E lei aspettava, guardava sempre la porta…

— Zitta! — gridò Silvia. — Smettila subito!

— Non mi fermo! — Marina si avvicinò alla sorella. — Perché è la verità! La mamma è morta e tu sei arrivata solo per il funerale! E ora vendi questa casa come se per te non valesse niente!

— Vale! — le lacrime rigarono il viso di Silvia. — Certo che vale! Ma non posso… non posso venire qui! Mi fa troppo male! Ogni angolo sa di lei, tutto mi ricorda!

— E a me no, secondo te? — chiese piano Marina. — Credi che per me sia facile? Credi che non pianga quando sento ancora la sua voce?

Silvia si asciugò le lacrime con la manica, distolse lo sE infine, mentre il sole calava dietro i tetti di Roma, le due sorelle si strinsero la mano, decise a ricominciare, perché nonostante tutto, il legame del sangue era più forte di qualsiasi eredità.

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