La sorella che ha tradito per prima

— Come hai potuto?! — gridava Giulia, agitando un foglio stropicciato. — Come hai osato firmare quel documento senza di me?!

Francesca sospirò, posò la tazza di caffè e si voltò lentamente verso la sorella. Sul suo viso non c’era rimorso, solo stanchezza.

— Ho firmato e basta. Qual è il problema? — scrollò le spalle. — Dovevamo vendere la casa comunque, lo dicevi anche tu…

— Lo dicevo?! — la voce di Giulia tremava di rabbia. — Dicevo che dovevamo decidere insieme! Insieme, Franci! E tu invece hai trattato di nascosto con gli agenti immobiliari! E hai accettato un prezzo dimezzato!

— Non è il doppio, solo… — iniziò Francesca, ma Giulia la interruppe.

— Un terzo in meno! E allora? Non cambia nulla! Questa casa ce l’ha lasciata la mamma, capisci? A entrambe! E tu hai deciso di fare di testa tua!

In cucina calò il silenzio. Solo il ticchettio dell’orologio antico appeso al muro, quello portato dalla nonna da Firenze, rompeva il vuoto. Francesca fissava il cortile dove da piccole giocavano a campana.

— Hai idea di cosa hai combinato? — continuò Giulia, più basso. — Mio figlio deve iscriversi all’università, servono soldi. E tua figlia si sposa, ha bisogno di soldi per il matrimonio. Quei soldi ci servono come l’aria!

— Appunto — si girò Francesca. — Servono come l’aria. Perciò ho agito in fretta. Finché ci sono acquirenti interessati al nostro quartiere. Se aspettiamo, nessuno vorrà più questa casa.

— Ma ci eravamo messe d’accordo! — la voce di Giulia si incrinò. — Avevi promesso che avremmo deciso insieme!

— Sì, sì, d’accordo… — fece un gesto vago Francesca. — Ma tu eri via una settimana, non rispondevi al telefono. Gli acquirenti non aspettano, hanno altre opzioni.

Giulia si lasciò cadere sulla sedia, la testa tra le mani. Il contratto sulla tavola sembrava riderle in faccia.

— Dovevo andare da zia Elvira in campagna — sussurrò. — Era malata, tutta sola. Te l’avevo detto…

— Sì, sì, detto… — Francesca scrollò le spalle. — Ormai è fatta. I soldi arriveranno tra un mese, divideremo a metà e pace.

— Pace?! — Giulia sollevò lo sguardo. — Credi davvero che sia finita così?

Francesca si versò altro caffè, si sedette di fronte alla sorella. Il suo viso era impassibile.

— E cos’altro dovrebbe esserci? Vendiamo la casa, dividiamo i soldi. Giusto, no?

— Giusto… — Giulia rise amaramente. — Così giusto non avvisarmi? Non aspettare che tornassi?

— Dai, non fare drammi! — sbuffò Francesca. — Stiamo vendendo una casa, mica il Colosseo. Tanto nessuna di noi ci abitava più.

— Non ci abitava?! — gli occhi di Giulia scintillarono. — Chi veniva qui ogni weekend? Chi zappava l’orto, sistemava il tetto? Chi aiutava i vicini a tenere d’occhio il quartiere?

— E allora? — alzò le spalle Francesca. — Un hobby come un altro. Io, invece, ho pagato le bollette tutti questi anni.

— Le bollette… — Giulia si alzò, si avvicinò alla finestra. — Franci, ti ricordi com’era vivere qui? Come ci cresceva la mamma? Ricordi quando facevamo i compiti a questo tavolo?

— Lo ricordo — rispose Francesca. — E quindi?

— Come, “e quindi”? È la nostra memoria! La nostra infanzia! E tu la vendi a uno sconosciuto per due spicci!

— Non per due spicci, ma per un prezzo onesto. E non a uno sconosciuto, ma a una famiglia con bambini. A loro serve una casa, a noi i soldi. Tutto regolare.

Giulia tornò lentamente al tavolo, riprese il contratto. Lo sfogliò, lesse, e il suo viso si fece sempre più pallido.

— Franci, cos’è questa clausola? — indicò una riga a metà documento. — Qui dice che la venditrice è solo Francesca Bianchi. E io dove sono?

Francesca distolse lo sguardo.

— È… una formalità. Hanno messo il mio nome perché abito in città, tu sei in zona. Al notaio faceva comodo così.

— Al notaio?! — Giulia alzò la voce. — Franci, ma cosa stai facendo?! Se i documenti dicono che la casa è tua, poi mi darai metà dei soldi per carità?!

— Non urlare! — si irritò Francesca. — I vicini sentono, inizieranno i pettegolezzi. Ti ripeto, è una formalità.

— Una formalità… — Giulia respirò a fondo. — Francesca, siamo sorelle. Stessa madre, stesso sangue. Come hai potuto?

— Non ho fatto niente di male! — sbottò Francesca. — Vendo la casa, prendo i soldi, li divido con te. Qual è il problema?

— Che non ti fidi di me! — batté un pugno sul tavolo Giulia. — Che hai deciso al mio posto! Che mi prendi per una stupida!

— Non è vero! — replicò Francesca. — Sono solo più pratica. L’ho sempreRimasero in silenzio per un attimo, poi Francesca allungò la mano verso il contratto e lo strappò in due, mentre un sorriso tremulo le illuminò il volto, perché finalmente aveva capito che nessun soldo valeva più della sorella che le era rimasta.

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