— Come hai potuto?! — urlava Luisa, agitando un foglio stropicciato. — Come hai potuto firmare questa porcheria?!
Beatrice sospirò, posò la tazza di caffè e si voltò lentamente verso la sorella. Sul suo viso non c’era un grammo di pentimento, solo stanchezza.
— L’ho firmato e basta. Che c’è di male? — scrollò le spalle. — Tanto dovevamo vendere la casa, l’hai detto anche tu…
— L’ho detto?! — la voce di Luisa tremava di indignazione. — Ho detto che dovevamo decidere insieme! Insieme, Bea! E tu invece alle mie spalle, di nascosto, ti sei messa d’accordo con l’agenzia immobiliare! E poi hai fissato un prezzo alla metà del valore!
— Non alla metà, solo… — cominciò Beatrice, ma Luisa non la lasciò finire.
— Un terzo in meno! E che cambia? La differenza è pazzesca! Questa casa ce l’ha lasciata la mamma, capisci? A entrambe! E tu hai deciso di fare la padrona!
In cucina scese il silenzio. Solo il ticchettio dell’orologio a muro, quello che la mamma aveva portato dalla Svizzera anni prima. Beatrice rimase immobile vicino alla finestra, guardando il cortile dove lei e Luisa avevano giocato a campana da piccole.
— Ma ti rendi conto di quello che stai facendo? — riprese Luisa, più piano. — Mio figlio deve iscriversi all’università, mi servono un sacco di soldi. E tua figlia si sposa, devi pagarle il matrimonio. Questi soldi ci servono come il pane!
— Appunto, — si girò Beatrice. — Ci servono come il pane. Ecco perché ho fatto in fretta. Finché ci sono compratori interessati al nostro quartiere. Se aspettiamo, poi nessuno vorrà più questa casa.
— Ma avevamo un accordo! — nella voce di Luisa c’erano lacrime. — Avevi promesso che avremmo deciso insieme!
— Accordi, promesse… — fece un gesto vago Beatrice. — Poi te ne sei andata una settimana senza avvisare, il telefono spento. I compratori non aspettano, hanno tante opzioni.
Luisa cadde sulla sedia, nascondendo il viso tra le mani. Il foglio del contratto era lì sul tavolo, come se la stesse prendendo in giro.
— Ho dovuto correre dalla zia in campagna, — sussurrò. — Era malata, completamente sola. Te l’ho detto…
— Detto, non detto… — sbuffò Beatrice. — Il fatto è fatto. I soldi arriveranno tra un mese, li divideremo a metà, e fine.
— Fine?! — Luisa alzò lo sguardo. — Credi davvero che sia tutto qui?
Beatrice si versò altro caffè, sedendosi di fronte alla sorella. Il suo viso era impassibile, quasi freddo.
— E che altro? Vendiamo casa, dividiamo i soldi. Giusto no?
— Giusto… — rise amaramente Luisa. — Ma era giusto non chiedermi nulla? Non aspettare che tornassi?
— Luisa, smettila con la tragedia! — si irritò Beatrice. — Vendiamo una casa, mica la Cappella Sistina. Tanto nessuna di noi ci voleva più vivere.
— Nessuna?! — gli occhi di Luisa scintillarono. — E chi veniva qui ogni weekend allora? Chi zappava l’orto, aggiustava il tetto? Chi aiutava i vicini a badare alla proprietà?
— E quindi? — scrollò le spalle Beatrice. — Un hobby che hai. Io, tra l’altro, ho pagato le bollette tutti questi anni.
— Le bollette… — Luisa si alzò, avvicinandosi alla finestra. — Bea, ti ricordi almeno come vivevamo qui? Come ci cresceva la mamma? Ricordi quando facevamo i compiti in questa cucina?
— Lo ricordo, — rispose secca Beatrice. — E allora?
— E allora?! — si girò Luisa. — È la nostra memoria! La nostra infanzia! E tu la vendi a un tizio qualunque per due spicci!
— Non per due spicci, ma per una cifra decente. E non a un tizio qualunque, ma a una famiglia con bambini. A loro serve una casa, a noi i soldi. Tutto regolare.
Luisa tornò lentamente al tavolo, prese il contratto. Lo sfogliò, lesse, e il suo viso divenne sempre più pallido.
— Bea, cos’è questa clausola? — indicò una riga a metà documento. — Qui dice che la venditrice è una sola: Beatrice Maria Rossi. E io dove sono?
Beatrice distolse lo sguardo.
— È… una questione tecnica. Hanno messo il mio nome perché abito in città e tu in provincia. Così era più semplice per il notaio.
— Più semplice per il notaio?! — la voce di Luisa si spezzò in un urlo. — Beatrice, ma che stai combinando?! Dai documenti sembra che la casa sia solo mia! E poi tu mi darai metà dei soldi per gentilezza?!
— Ma smettila di urlare! — si irritò Beatrice. — I vicini sentono, poi spettegolano. Ti ripeto, è una formalità.
— Una formalità… — Luisa si sedette, respirando affannosamente. — Beatrice, siamo sorelle. Abbiamo la stessa madre. Come hai potuto fare così?
— Non ho fatto niente di male! — esplose Beatrice. — Vendo la casa, prendo i soldi, li divido con te. Dov’è il problema?
— Il problema è che non ti fidi di me! — batté il pugno sul tavolo Luisa. — Il problema è che hai deciso al posto mio! Il problema è che mi tratti come un’idiota!
— Non penso che tu sia un’idiota! — fece un gesto di fastidio Beatrice. — Solo che io sono più pratica. Lo sono sempre stata.
— Più pratica… — Luisa rise amaramente. — E ti ricordi quando la mamma era malata? Chi andava dai medici? Chi stava in ospedale? Chi comprava le medicine?
— E quindi? — incrociò le braccia Beatrice. — Io lavoravo due lavori allora! Guadagnavo i soldi per le cure! Tu invece eri libera, potevi stare in ospedale.
— Libera?! — Luisa saltò in piedi. — Beatrice, avevo appena perso mio marito! Era appena morto! E io ero sola con un figlio! Ma andavo dalla mamma ogni giorno lo stesso!
— E io lavoravo per pagarle le cure! — alzò la voce Beatrice. — Mentre tu stavi in ospedale, io mi rompevo la schiena!
— Lavoravi… — sussurrò Luisa. — E quando la mamma stava morendo, tu dov’eri? Ricordi?
Beatrice tacque, fissando la finestra.
— Ero in viaggio di lavoro. Un viaggio importante.
— In viaggio! — Luisa rise, ma era una risata agghiacciante. — E la mamma chiamava il tuo nome. Gli ultimi giorni: “Dov’è Bea? Perché Bea non viene?”
— Basta, — disse piano Beatrice. — Non parliamone.
— Sì invece! — batté la mano sul tavolo Luisa. — Bisogna ricordare! Io le dicevo che eri in viaggio, che saresti tornata. E lei aspettava, guardava sempre verso la porta…
— Zitta! — gridò Beatrice. — Zitta subito!
— Non starò zitta! — Luisa si avvicinò alla sorella. — Perché è la verità! La mamma è morta, e tu sei arrivata solo al funerale! E ora vendi la casa come se per te non valesse niente!
— Vale! — le lacrime rigarono il viso di Beatrice. — Certo che vale! Ma io… io non posso venire qui! Mi fa troppo male! Ogni angolo sa di lei, tutto mi ricorda!
— E a me non fa male? — chiese piano Luisa. — Pensi che per me sia facile venireE alla fine, mentre il sole tramontava dietro i tetti di Firenze, le due sorelle si strinsero le mani, decidendo che, nonostante tutto, l’amore fra loro valeva più di qualsiasi eredità.