La Sorpresa Blu

**La Vena Blu**

Come la amava, Matteo. Impazziva per lei, stava sotto le sue finestre a tarda notte, si emozionava se riusciva a intravedere la sua sagoma. Lei gli sembrava inaccessibile, quasi un miraggio. Lo commuoveva la sua fragilità, quella pelle pallida e sottile attraverso cui trasparivano venature azzurre. E lui, ogni volta, si sentiva soffocare dalla tenerezza.

Alla festa di fine anno, Matteo la invitò a ballare. Cecilia era più bassa di lui, e danzare con lei risultava scomodo. Le mani gli tremavano, la fronte gli si bagnava di sudore, e i palmi umidi sul suo girovita gli bruciavano. Non riusciva a controllare l’agitazione, divorato dalla vergogna, sapendo che lei lo sentiva. Quando la musica finì, Matteo si allontanò e finalmente poté respirare.

Si chiedeva perché gli altri ragazzi non fossero innamorati di lei.

Ad esempio, a Marco piaceva la robusta Lucia, con le gambe lunghe e muscolose. Quando correva allo stadio durante l’ora di educazione fisica, svettando sulle altre ragazze, la sua coda alta dondolava come un pendolo.

Per Matteo, invece, la bellezza femminile era Cecilia, fragile e delicata. Era diventata un’ossessione, una malattia. Sua madre non condivideva la passione del figlio per quella ragazza. “Carina, ma troppo esile”, diceva al marito. “Dobbiamo fargli cambiare idea. È meglio se si allontana da lei. Non sono adatti. Chissà cosa ha in testa quella lì. Sembra un’extraterrestre, così fragile. Che moglie potrebbe essere? E quel nome… così strano. Digli di andare a studiare in un’altra città, a Milano magari. Lontano da lei.”

Il padre lo appoggiò e parlò con Matteo da uomo a uomo. Gli disse che a Milano ci sarebbero state più opportunità, che dopo un’università prestigiosa lo avrebbe aspettato un futuro luminoso. Gli avrebbero persino pagato gli studi, se non fosse riuscito a entrare con una borsa. E Matteo accettò.

Nella sua stanza nel dormitorio, appese una foto di Cecilia, ingrandita da quella di classe. Ma Cecilia era rimasta a casa, e Matteo era ancora giovane. Faceva esperienza con altre ragazze, mentre il ricordo di lei rimaneva nei suoi sogni.

Poi conobbe Elena. Con lei non tremava, la mente restava lucida. Si capivano senza parole. Con Elena tutto era facile, sicuro. E il fantasma di Cecilia lentamente svanì.

Dopo la laurea, Matteo sposò Elena e rimase a Milano. Sua madre era felice della sua scelta. “Meglio così, piuttosto che con quella strana di Cecilia.”

Un anno dopo, nacque la loro bambina, Sofia. Matteo la adorava. Se solo starnutiva, era pronto a chiamare tutti i medici di Milano. Cecilia era ormai solo un ricordo lontano.

Un giorno, sua madre lo chiamò: “Tuo padre è in ospedale. Devono operarlo. Vieni, non si sa mai.”

Sofia aveva il raffreddore, così Elena rimase a casa con lei. Matteo prese un permesso e partì da solo.

Milano lo salutò con una pioggia gelida, mentre la sua città natale lo accolse con un sole tiepido e una pioggia di foglie dorate. Suo padre cercava di essere forte, di non mostrare paura.

L’operazione andò bene. Sua madre passava le giornate in ospedale, lasciando Matteo solo. Ora che il pericolo era scampato, poteva tornare a casa, dalle sue ragazze, come chiamava Elena e Sofia.

Mentre tornava a piedi dall’ospedale, Matteo non aveva fretta. La paura per suo padre era svanita, e l’umore migliorava. Camminava, schiacciando le foglie gialle sotto i piedi, respirando l’aria fresca dell’autunno.

Davanti a lui, una donna si fermò. Si chinò verso il passeggino, sistemando qualcosa. Il suo cuore sobbalzò, riconoscendola prima ancora che la mente riuscisse a elaborarlo.

“Ciao,” disse avvicinandosi.

Cecilia si raddrizzò, lo riconobbe e sorrise. Matteo osservò quel viso familiare, la pelle sottile attraversata da quelle venature, lo sguardo distante e malinconico di sempre.

“Salve. Sei dai tuoi genitori? In vacanza?” chiese Cecilia.

“Mio padre è in ospedale, l’hanno operato.”

“È grave?” Una fiamma di preoccupazione le attraversò gli occhi.

“Ora sta bene. E tu? È tuo?” accennò al passeggino.

“Mio,” rispose, e in quel tono Matteo capì subito che non era sposata.

Provò una pena così forte da volerle prendere il viso tra le mani e baciarla lì, in strada. L’accompagnò a casa, parlando dei compagni di scuola. Le raccontò di sé, senza aspettare le sue domande. La aiutò a portare il passeggino nel palazzo. Cecilia viveva ancora lì. I suoi genitori le avevano lasciato l’appartamento e si erano trasferiti in campagna.

“Passa a trovarmi, un giorno,” disse salutandolo.

Matteo pensò che avrebbe potuto salire subito, ma non lo fece. Come un tempo, lei gli sembrava irraggiungibile. Non poteva semplicemente chiederle di prendere un caffè insieme.

Il mattino dopo, lui e sua madre tornarono in ospedale. Suo padre stava meglio, persino scherzava. La madre rimase, mentre Matteo comprò un mazzo di rose e andò da Cecilia. Lei non sembrò sorpresa, solo gli chiese di fare silenzio perché la bambina dormiva.

“Vuoi qualcosa da mangiare? O un caffè?” propose in cucina, mettendo i fiori in un vaso.

“Non ho fame. Mia madre mi riempie di cibo.”

La vicinanza di Cecilia in quella piccola cucina lo turbava. Matteo provò di nuovo quel tremito, quella tenerezza che credeva dimenticata. Cecilia posò il vaso sul tavolo. Il suo viso era così vicino. Matteo notò una vena blu che pulsava sulla sua tempia.

Non resistette. Si chinò e le sfiorò la pelle con le labbra. Cecilia si irrigidì per un attimo, poi gli si avvinghiò al collo con le sue braccia sottili, come un ramoscello contro un tronco robusto. La sollevò delicatamente, posandola sul bordo del tavolo…

Dalla stanza arrivò il pianto della bambina. Cecilia lo respinse, saltò giù e corse da sua figlia. Scacciando l’incantesimo, Matteo scosse la testa. Respirò profondamente e uscì dalla cucina. Cecilia era in piedi in salotto con la piccola tra le braccia, gli occhi ancora lucidi di lacrime.

“Vado,” disse Matteo con voce roca.

Lei annuì e lo accompagnò alla porta con la bambina in braccio. Stava per uscire quando sentì una voce flebile dietro di sé:

“Si addormenta presto e dorme tranquilla. Torn”Tornò a casa quella sera, ma bussò alla porta di Elena invece che a quella di Cecilia, e quando sua figlia gli sorrise, capì che non c’era più spazio per i fantasmi del passato.”

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