Ricordo ancora, come se fosse ieri, quella strana festa di nozze da cui la sposa fuggì. Allepoca non avrei mai creduto di trovarmi a un matrimonio in cui la sposa scappa via; se mi avessero raccontato laccaduto avrei pensato fosse solo una sceneggiatura da cinema. E invece, la vita a volte mette in scena scenari più assurdi di qualsiasi film, basta sapersi tenere pronti.
Niente di tutto ciò è frutto della fantasia. Per essere chiari, non era il mio matrimonio. Anzi, non ero nemmeno invitata. Doveva venire la mia amica Livia con il suo compagno, il cugino lontano del futuro sposo, Alessio. Un giorno prima del rito Livia fu ricoverata in ospedale, così Alessio dovette andare da solo. Livia non era contenta, perché levento era pieno di ragazze nubili, e temeva che il suo amico potesse essere tentato da qualcuna.
«Ecco, tutti i discorsi di cortesia, poi apparirà una signora invadente e lo avvolgerà in un turbine di parole, e lui se ne andrà via da me! O peggio, arriverà una donna incinta e dirà che è lui il padre!», si immaginava Livia, fissando il futuro con occhi pieni di sospetto. Alessio, dal canto suo, giurava che sarebbe stato tutto educato e rispettoso.
«Non vi credo! E a tutti gli uomini dico lo stesso: non potete lasciarvi da soli! Cè una carenza di maschi onesti, non si può andare fuori da soli», ribatté Livia, tagliando corto. Alessio rimase deluso, perché ancor più di tutti desiderava partecipare al matrimonio. Lì, con unespressione senza parole, mi guardò.
«No, neanche a chiedere», cominciai a dirle, sapendo però che avrei accettato, solo per far felice lamica.
Alessio mi raccontò che lo sposo, Alessandro, aveva quarantacinque anni, era divorziato, possedeva due negozi, una stazione di servizio e qualche altra attività. Non aveva figli propri, ma aveva un figlio dalla prima moglie, Marco, che aveva cresciuto come fosse suo. Marco era un giovane di quei dammi, comprami, regalami e, sebbene i rapporti fossero a dir poco freddi, Alessandro lo sosteneva comunque con una mensilità per rispetto del passato. Lunica cosa che Alessandro sapeva della sposa era che era di gran lunga più giovane di lui.
Il grande giorno arrivò. Alessio e io raggiungemmo subito il municipio di San Casciano. Non partecipammo ai preparativi né a nessuna delle altre attività pregresse. Lo sposo era un uomo serio, dal fisico sportivo, con una fossettura sotto il mento, un naso aquilino e occhi blu intensi, sembrava il tipo affidabile di cui tutti parlano. La sposa, di natura, era una bionda, ma non del tipo da passeggiare nei campi a raccogliere fiori. I suoi lunghi capelli, fino alla vita, erano tinti di nero; era bella, seppur con unaria un po malinconica. Appariva di circa venticinque anni, anche se, più tardi, scoprii di aver indovinato il suo età.
La cerimonia procedette come si conviene, finché una figura maschile, giovane e dal sorriso accattivante, non sinfilò tra gli invitati. Guardava tutti con occhi curiosi, quasi beffardi. La sposa, circondata da occhi indiscreti, incrociò lo sguardo di quellestraneo, e il suo volto mutò immediatamente. Fu allora che iniziò il caos.
Il giovane indicò con gli occhi la porta. La sposa, senza esitazione, si voltò e lo seguitò. Qualcuno, alzi la voce, ricordò una frase che suonava come un proverbio: «Nella vita di ognuno ci sono giorni che lasciano il segno più profondo, e questo giorno rimarrà impresso nella vostra memoria per sempre». Fu un momento che nessuno potrà dimenticare. Un Sofia! gridò una donna con il cappello in mano, fermati! dove vai?. Il futuro sposo mantenne un silenzioso sangue freddo, sorridendo appena.
La cerimonia fu interrotta. Gli invitati non capivano nulla. La madre della sposa, Lucrezia, scoppiò in pianto nel salone. Un uomo si avvicinò a lei e, balbettando, disse: «È partita con lauto. Che vergogna. Non risponde ai messaggi». Nessuno riusciva a capire cosa fosse successo. I genitori della sposa cercarono di scusarsi con Alessandro. Erano presenti circa cinquanta persone, alcune venute da lontano, e tutti cominciarono a rendersi conto che, forse, era tempo di tornare a casa.
Un signore con baffi e una camicia a righe, curioso, chiese: «E ora dove andiamo, Tonino? Torniamo al treno o… andiamo al caffè?». Sua moglie, alta e elegante, con i capelli a onde, sospirò.
Fu Alessandro a sorprendere tutti. Guardò gli invitati confusi e propose: «Signori, perché non andiamo al caffè? Abbiamo già pagato e ordinato tutto. Andiamo!» E così, tutti, senza rancore, si diressero verso il locale. Alessandro, pur apparendo turbato, mantenne la compostezza e, quasi come un gesto di sfida, infilò gli anelli in tasca.
Durante la cena si venne a sapere che la sposa, Ginevra, era scappata con… il figlio di Alessandro, Marco. Una trama degna di una soap opera: i due si frequentarono, lui la lasciò dopo due settimane e sparì. Poi Ginevra incontrò Alessandro, che, nonostante letà, si innamorò di lei e le propose di sposarsi.
«Il papà è stato felice, ha trovato un uomo serio, benestante. Non avremmo mai immaginato una cosa del genere», piangeva la madre di Ginevra, asciugandosi le lacrime con una scialle. Nessuno sapeva se Alessandro fosse al corrente del legame tra il suo figlio e la futura sposa, o se lavesse scoperto solo allultimo momento. Linvito era stato mandato dal padre di Ginevra, che, allultimo, decise di partecipare, solo per ritrovarsi in un quattordici danni.
Alessio, per sua natura, non era molto portato al ballo e nemmeno a mangiare, passava il tempo a telefonare allospedale per sapere della salute di Livia, che rimpiangeva di non essere presente a quella cerimonia memorabile. Gli invitati conversavano tranquillamente, mangiavano, bevevano; allo sposo si riferivano sottovoce come luomo santo. Alessandro rimaneva calmo, come un serpente che riposa al sole, forse perché sapeva tenere a freno le emozioni.
Dopo due ore, tutti sembravano aver dimenticato limbarazzo; solo una zia anziana, dal viso severo e dalla voce da guerriera, continuava a lamentarsi: «Ginevra dovrebbe sparire per questa sciocca avventura!». Il conduttore della festa, allinizio minacciato di essere mandato a casa, fu salvato da un giovane intraprendente che promise di intrattenere gli ospiti con un po di musica.
E così fu. Quando Ginevra riapparve sulla soglia, la madre la afferrò di nuovo, pronta a rimproverarla. Il padre, preoccupato, corse verso di loro, sperando di rimproverare la figlia come si deve. Alessandro, tuttavia, tornò di corsa. Alla fine, Ginevra si inginocchiò davanti a lui e, con voce rotta, chiese perdono per averlo lasciato al municipio. Dopo qualche istante, Alessandro la perdonò e la prese di nuovo al tavolo, sedendosi al capo del lungo tavolo. Gli invitati, stanchi di tanta tensione, urlarono un sonoro «evviva!».
Il vero matrimonio riprese poi, con le consuete parole damore. Io, pur avendo la tentazione di chiedere ad Alessandro: «Perché lo hai perdonato?», mi trattenni, perché quella risposta mi era rimasta importante. Non era affar mio, ma la curiosità di capire quel gesto così umano.
Alessandro, con il suo solito pragmatismo, mi disse: «A ogni persona va data una possibilità. Questo è il mio principio di vita. Si può sbagliare, fare una mossa falsa, ma non bisogna rinunciare a perdonare. Se poi qualcuno ti tradisce di nuovo, è unaltra storia. Ma una volta, bisogna saper accogliere il perdono incondizionato».
Due mesi dopo, Ginevra e Alessandro si sposarono ufficialmente, e il giorno successivo presentarono la pratica al municipio. Luomo che aveva rovinato la cerimonia sparì senza lasciare tracce, si dice che Alessandro continui a sostenerlo economicamente, forse per evitare ulteriori scandali. Recentemente, la coppia ha accolto due gemelline, riempiendo la loro casa di gioia e di nuove avventure.
Tolik, luomo di Livia, quando ripensa a quel giorno, commenta sempre: «Almeno avremo una storia da raccontare!». È vero, ma non consiglierei mai a nessuno una simile vicenda.
Così rimane impresso nella mia memoria, un matrimonio che fu più un dramma teatrale che una festa, e che, alla fine, si trasformò in una lezione di pazienza e perdono.






