La stanza è stata occupata dal nipote

Marina Santini era alla finestra della cucina, osservando una vecchia Fiat 500 che entrava nel cortile. Dall’auto scese lentamente un ragazzo alto, con una maglietta stropicciata e jeans, estrasse due grandi zaini e una borsa sportiva dal bagagliaio.

«Eccolo arrivato», mormorò tra sé e sé, asciugandosi le mani sul grembiule prima di andare ad accogliere il nipote.

Daniele era cresciuto. Quando l’aveva visto l’ultima volta, era un ragazzino di quattordici anni, magrolino e con le orecchie a sventola. Ora, davanti alla porta, c’era un uomo fatto, ma con un’aria un po’ smarrita.

«Zia Marina?», chiese incerto quando lei aprì.

«Ma certo, sono io! Entra, entra, Danny! Santo cielo, quanto sei diventato grande!» Lo abbracciò, sentendo addosso a lui l’odore della strada e di un’acqua di colonnia economica. «Vieni in camera tua, accomodati. Sei stanco, immagino».

«No, tranquillo. Grazie per avermi ospitato. Sarò qui poco, giusto il tempo di trovare lavoro e un alloggio», disse Daniele, spostandosi da un piede all’altro mentre osservava l’ingresso.

Marina annuì, ma dentro di sé un dubbio cominciava a farsi strada. Le parole sono una cosa, i fatti un’altra. Come sua sorella, la madre di Daniele, che prometteva mari e monti e poi spariva per mesi.

«Vieni di qua», lo guidò verso quella che fino al giorno prima era la sua stanza degli ospiti. La scrivania, gli scaffali di libri, la poltrona accanto alla finestra: tutto era stato spostato in camera sua per fare spazio al nipote.

Daniele si fermò sulla soglia.

«Senti, ma non posso stare sul divano in salotto? Non voglio darti fastidio».

«Ah, non dire sciocchezze! Un giovane ha bisogno dei suoi spazi», rispose Marina, anche se dentro di sé qualcosa si era stretto. Vent’anni che sistemava quella stanza, ogni oggetto al suo posto, con la sua storia.

Daniele posò gli zaini a terra, scrutando l’ambiente.

«E tu dove lavorerai ora? Qui c’era la tua scrivania».

«L’ho spostata in camera mia. Nulla di grave», cercò di dire con tono leggero, ma la voce le tremò un po’.

Il nipote sembrò non accorgersene, già intento ad aprire uno degli zaini.

«Posso sistemare un po’ le mie cose? Sono tutte stropicciate dal viaggio».

«Certo, certo! Intanto preparo la cena. Cosa ti piace?»

«Mangio di tutto, non sono schizzinoso», sorrise Daniele, e in quel sorriso Marina riconobbe i tratti di suo fratello, ormai scomparso. «Solo, zia, non esagerare. Sono stanco stasera, domani mattina inizio a cercare lavoro».

Lei annuì e andò in cucina, mentre alle sue spalle già si sentivano rumori di mobili spostati. Daniele non sembrava intenzionato ad accontentarsi dell’arredamento che lei gli aveva lasciato.

Mentre preparava le polpette, Marina ricordò la conversazione avuta quella mattina con la vicina, Nina.

«Sei sicura di fare la cosa giusta?», le aveva chiesto, lanciando un’occhiata verso l’appartamento di Marina. «I giovani di oggi… oggi un nipote, domani amici, poi qualche ragazza. E poi vorrà pure sposarsi a casa tua».

«Ma cosa dici, Nina!», aveva scosso Marina. «È famiglia. Il figlio di mio fratello».

«Famiglia, famiglia», aveva borbottato la vicina. «Ma dov’era questa famiglia quando stavi male? Quando eri in ospedale dopo l’operazione?»

Allora quelle parole le erano parse ingiuste. Ma ora, ascoltando il nipote spostare oggetti nella sua ex-studio, non poteva fare a meno di rifletterci.

«Zia Marina!», gridò Daniele dalla stanza. «Posso portare la TV da me? Così la guardo meglio».

Lei si bloccò, il mestolo in mano. La televisione era in salotto da quindici anni, lì guardava il telegiornale seduta nella sua poltrona preferita.

«Daniele, e io come faccio?», chiese con cautela.

«Puoi guardarla in camera. O vieni da me, la vediamo insieme», rispose il nipote spensierato.

Marina si morse il labbro. Entrare nella propria stanza solo se autorizzata? Guardare la TV a letto, come una malata?

«Sai cosa, Danny? Lasciamo la TV dove”Nono, per l’amor del cielo, la TV resta dove sta,” disse con fermezza, sorseggiando il caffè nella cucina ormai silenziosa, finalmente tornata padrona della sua casa e della sua vita.

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