Lorenzo spinse con forza la porta del palazzo, lasciando entrare nel buio dellandrone il freddo pungente del crepuscolo. Appena varcata la soglia di casa, non fece il solito trambusto di passi pesanti e saluti allegri che riempivano sempre laria. Invece, si udì solo il lieve scatto della serratura, seguito da un passo quasi impercettibile sul tappeto dellingresso.
Giovanna, in piedi ai fornelli dove friggevano le patate, sentì un brivido di preoccupazione. Rimase immobile con il mestolo in mano, ascoltando quel silenzio insolito e opprimente. Mancavano i rumori abituali: il tonfo degli scarponi sul pavimento, il fruscio del giubbotto sfilato, le risate vivaci e persino il respiro affannato del bambino dopo la corsa.
“Lorenzo, sei tu?” chiese, cercando di nascondere lansia che le stringeva il cuore. “Ho preparato la tua carbonara preferita, le patate sono quasi pronte. Vieni, togliti il cappotto!”
La risposta fu un silenzio denso, così pesante che le sembrò di sentire un ronzio nelle orecchie.
“Lorenzino?” la voce di Giovanna tremò leggermente.
Nel suo cuore di madre affiorò un presentimento di sventura. Affrettandosi, asciugò le mani sul grembiule e si diresse verso lingresso.
Appena entrò nel corridoio, un brivido gelido la pervase. Lorenzo era fermo al centro della stanza, immobile come una statua. Non si era tolto il giubbottolacqua gocciolava dalla stoffa, formando una pozza sul pavimento. Le spalle erano curve, la testa china, e lo sguardo fisso nel vuoto.
“Figlio mio, cosa è successo?” gli chiese, afferrandolo per le maniche gelide e girandolo verso di sé. “Hai litigato? Ti hanno fatto del male? Ti hanno rubato qualcosa?”
Il bambino alzò gli occhi con grande fatica. In essi danzava un dolore muto, una paura e unimpotenza che trafiggevano il cuore. Giovanna sentì il respiro bloccarsi in goladavanti a lei cera un cucciolo ferito, in cerca di protezione, incapace di spiegare il suo tormento.
“Mamma Mamma” la sua voce si spezzò in un sussurro roco, le labbra tremavano per le lacrime amare. “Là”
“Parla! Sono qui con te, non aver paura!” quasi gridò lei, scuotendolo per le spalle.
“Cè un cane Nella discarica dietro casa. È ferito e non riesce ad alzarsi. Volevo aiutarlo, ma mi ha ringhiato. Fuori fa freddo, e la spazzatura gli cade addosso” le lacrime di Lorenzo scivolarono sulle guance, brucianti.
Giovanna sospirò di sollievoil figlio non era stato ferito fisicamente, ma lansia per il suo stato danimo tornò allistante.
“Dovè questa discarica?” chiese, valutando rapidamente cosa fare.
“In Via delle Querce, sulla strada per la scuola. Andiamo, adesso! Morirà di freddo!”
“Hai chiesto aiuto a qualche adulto?”
“Sì” abbassò la testa. “Nessuno ha voluto. Dicevano: Non sono affari tuoi, Se la caverà da solo. Nessuno nessuno ha voluto fare niente.”
Giovanna guardò il viso straziato del figlio. Era già notte, e il freddo era pungente.
“Ascoltami, Lorenzo. È tardi e fa troppo freddo. Ora vai a cambiarti, riposa un po, e domani mattina andiamo a controllare. Se il cane è ancora lì, chiamerò io i soccorsi o chiunque possa aiutare. Va bene? Sei tutto bagnato, vai a lavarti.”
Il bambino obbedì, anche se a malincuore, iniziando a slacciarsi il giubbottole dita gli tremavano.
**Momento cruciale: A volte bisogna credere nel bene e mantenere la calma, per sé stessi e per chi si ama.**
“Mamma, e se non sopravvive alla notte?” chiese piano, e il dolore nella sua voce era tangibile.
“È un cane, Lorenzo. Sono resistenti, soprattutto quelli randagi con il pelo folto. Una notte non lo ucciderà,” disse Giovanna con fermezza, anche se dentro era piena di dubbi.
Lorenzo si avviò verso il bagno, lasciando scorrere lacqua calda sulle mani arrossate, gli occhi chiusi. Nella mente rivide la scena della sera prima: la discarica buia, illuminata solo dalla torcia e dagli occhi lucenti dellanimale ferito. Lui e il suo amico Matteo avevano provato a tirarlo fuori, rischiando di farsi male, ma il cane aveva ringhiato minaccioso.
Ricordò come avesse cercato di convincerlo ad avvicinarsi, ma il cane era rimasto intrappolato, con una ferita sanguinante sulla zampa, circondato da rifiuti e stracci.
“Sembrava così stanco e indifeso mi si spezzava il cuore.”
Dopo mezzora passata a chiedere aiuto agli adulti per strada e persino agli amici, Lorenzo si era scontrato solo con indifferenza e rifiuti. Matteo se nera andato, e lui era rimasto lì, al freddo, a fissare quel buco dove brillavano occhi disperati.
Le lacrime si mescolarono allacqua del lavabo, e si sentì male per limpotenza e la durezza del mondo.
Allalba, Lorenzo balzò dal letto deciso a controllare la discarica. Giovanna, che si preparava per il lavoro, vide la sua ansia e gli augurò buona fortuna, anche se il sorriso le svanì vedendo la tensione sul suo viso.
Nellandrone, lo sguardo del bambino cadde sullangolino sotto le scale dove, un anno prima, aveva trovato dei gattini congelati che lui e sua madre avevano salvato e fatto adottare. Il suo cuore non poteva restare indifferente alla sofferenzain casa vivevano già altri animali raccolti dalla strada, e lui aiutava sempre anche i vicini.
Corse verso la discarica, sperando che il cane non ci fosse più. Ma nella penombra, gli occhi di Balto brillarono di nuovo, e il cuore gli si strinse ancora di più.
Chiamò subito la madre, disperato e in lacrime, promettendo di fare qualsiasi cosa per aiutare quella creatura.
La loro prima idea fu chiamare i vigili del fuoco, ma risposero gentilmente che non potevano intervenire, suggerendo di contattare i servizi comunali. Da lì, nessuna risposta, e la disperazione cresceva.
Stanca e sconvolta, Giovanna chiamò unamica, che le consigliò di rivolgersi al rifugio “Speranza”. I volontari partirono immediatamente.
Nel frattempo, Lorenzo saltò la scuola e aspettò alla discarica, sussurrando parole dolci al suo amico sofferente, credendo in un miracolo.
“Sono arrivati!” gridò quando una macchina con il logo del rifugio si fermò accanto a lui.
Una volontaria, una ragazza determinata, scese con cautela nella discarica, avvolta in una coperta. Da lì si udì un debole guaito. Salvare il cane non fu semplice: Balto era incastrato nel ghiaccio, bloccato dai suoi stessi fluidi.
“Poverino ora andrà tutto bene,” lo calmò la volontaria, adagiandolo sulla coperta. Il cane non si oppose, emettendo solo gemiti di dolore.
Lorenzo, pieno di domande, finalmente ebbe una risposta: il cane sarebbe stato portato in clinica, curato, e le possibilità di guarigione erano alte.
I cani randagi sono spesso resistenti e sanno superare prove





