La suocera versò la mia minestra dicendo: “Ti insegnerò io a cucinare”, ma poi fui io a insegnarle a vivere secondo un rigido programma nella casa di riposo che comprai per lei.
Il coperchio della pentola tintinnò delicatamente sul piano di lavoro. Spensi il fornello e sorrisi stancamente al mio riflesso nell’anta della credenza.
Una minestra calda e saporita. Quando Luca sarebbe tornato dal lavoro, avremmo finalmente cenato tutti insieme.
In cucina entrò mia suocera, senza nemmeno bussare. Silvana Rossi si muoveva nel mio piccolo appartamento come unispettrice, e il suo sguardo mi sfiorò con quel disprezzo appena velato che conoscevo bene.
“Che cosè questa roba?”
“Minestra. Calda.”
Prese il mestolo senza chiedere, assaggiò un cucchiaio e la sua faccia si contorse come se avesse ingoiato veleno. Rimasi immobile, sapendo già cosa sarebbe successo.
“Ma questa” cercò le parole, fissandomi con disgusto. “È immangiabile. Acqua. Non sa di nulla.”
Un attimo. Poi si girò e rovesciò tutto nel lavandino.
Brodo, carne, verduretutto ciò su cui avevo speso lultima ora dopo il lavoro svanì nello scarico.
Guardai la pentola vuota. Poi lei.
“Non preoccuparti,” mi diede una pacca condiscendente sulla spalla, e quel gesto mi fece sentire ancora peggio. “Ti insegnerò io a cucinare. Per mio figlio.”
In quel momento Luca entrò in cucina, attirato dal rumore. Vide la pentola vuota, gli schizzi vicino al lavello e lespressione tesa di sua madre.
“Mamma, che succede? Elisa, tutto bene?”
“Niente, tesoro,” intervenne Silvana. “Elisa era stanca e voleva darci cibo precotto. Ma ci sono io, ora preparo una vera cena.”
Luca mi guardò. E nei suoi occhi non cera sostegno. Solo quella stanchezza, quella richiesta silenziosa: “Ti prego, non iniziare.”
Era cresciuto sotto quel controllo, per lui uno scandalo era peggio di unumiliazione. E io non iniziai. Presi una spugna e pulii il lavello in silenzio.
La mia debolezza era quellavolevo mantenere una pace fragile per amore di un marito che aveva paura dei conflitti con sua madre.
“Vedi,” continuava a comandare Silvana, frugando nel frigo, “la carne va scelta meglio. E il soffritto si fa in un altro modo.”
Parlava, ma io non ascoltavo.
Sentivo solo la sua voce, la sua presenza che mi spingeva fuori dalla mia cucina, dalla mia vita. Non aveva solo buttato la minestra. Mi aveva ricordato il mio posto.
Mio figlio Matteo, cinque anni, entrò correndo e mi abbracciò la gamba.
“Mamma, ho fame.”
“Ora la nonna ti prepara qualcosa,” rispose Silvana al posto mio, senza voltarsi. “La nonna fa tutto buono. Non come certa gente.”
Mi chinai e lo abbracciai. Le sue manine mi circondarono il colloe solo quello mi trattenne dallurlare.
Guardai la schiena di mia suocera, che tagliava le verdure con i miei coltelli con sicura maestria, e non pensai alla rabbia.
No. Pensai che certe lezioni vanno imparate bene. Soprattutto quando si tratta di insegnare agli altri.
Le “lezioni” iniziarono il giorno dopo. Silvana, che prima veniva due volte a settimana, ora si presentava ogni giorno.
Il suo “aiuto” si trasformò in controllo totale. Riordinò gli armadi, buttò via le mie spezie preferite. Quella sera decisi di parlarne con Luca.
Aspettai che Matteo si addormentasse e mi avvicinai a mio marito, seduto con il portatile.
“Luca, dobbiamo parlare di tua madre.”
“Elisa, ti prego, sono distrutto,” non alzò nemmeno lo sguardo. “Che cè di nuovo? Sta solo aiutando.”
“Non aiuta. Mi sta cacciando di casa. Fa tutto a modo suo.”
“Vuole solo che mangiamo bene. È abituata così. Non puoi dire grazie e basta?” si massaggiò le tempie. “Sai che discutere con lei è inutile. È più facile accettare.”
Facile. Era il suo motto nella relazione con sua madre.
Il mio secondo tentativo fu ancora più patetico. Decisi di parlarle direttamente.
“Silvana, apprezzo molto il tuo aiuto, ma vorrei gestire la casa da sola.”
Mi guardò, e nei suoi occhi brillò un lampo di trionfo. Sospirò con drammaticità:
“Lo sapevo! Disturbo! Scusami, Elisa, volevo solo il meglio. Per mio nipote, per Matteo”
Afferrò la borsa teatralmente. Luca, uscito dalla stanza, vide solo la fine della scena. Il suo viso si irrigidì.
“Elisa, stai cacciando mia madre?”
Avevo perso di nuovo. E questa volta sembravo un mostro.
La pressione aumentò. Ora criticava non solo il cibo, ma anche come crescevo Matteo. Ero troppo morbida. Lo facevo guardare troppi cartoni. Lo vestivo male.
Intanto, gli dava di nascosto cioccolatini che non poteva mangiare per via dellallergia.
“È il nostro segreto,” sussurrava a mio figlio. “Non dirlo alla mamma, è troppo severa.”
Di notte, quando tutti dormivano, mi rifugiavo nel mio portatile. Lavoravo come freelance, facevo UI design. Per Luca era un hobby, “un passatempo.”
Ma per me era lunico posto dove contavo qualcosa.
La goccia che fece traboccare il vaso arrivò di giovedì. Matteo si svegliò con un po di tosse. Chiamai il medico, seguii le indicazioni, lo tenni a casa.
Silvana arrivò subita per “salvare il nipote.”
Dovevo correre in farmacia per lo sciroppo. La supplicai di non fare nulla finché non tornavo.
“Solo tè con miele, va bene? Nientaltro.”
“Certo, certo. Vai. Una madre sa cosa fare.”
Tornai dopo quaranta minuti. Lappartamento odorava di canfora e aceto. Corsi in camera di Matteo.
Era a letto, respirava affannosamente, il viso coperto di chiazze rosse. Ansimava.
“Che ha fatto?!”
“Lho curato!” rispose orgogliosa. “Un impacco, come faceva mia madre. Non con la vostra chimica!”
Afferrai il telefono. Le mani tremavano. Pronto soccorso. Indirizzo. “Bambino, cinque anni, difficoltà respiratorie.”
Arrivò Luca, pallido, spaventato.
“Figlio mio, stavo aiutando Matteo!” gridò Silvana. “Elisa lo stava avvelenando con le sue medicine!”
In quel momento entrarono i medici. Iniezione. Maschera dossigeno. E le parole terribili: “Reazione allergica fortissima. Ancora mezzora e sarebbe stato troppo tardi.”
Portarono via Matteo in barella. Guardai quel corpicino fiacco. Il viso terrorizzato di mio marito. E lespressione trionfante di mia suocera.
Basta. La ragazzina Elisa, che voleva accontentare tutti, era morta in quel momento.
Mi avvicinai a Silvana. Parlai a bassa voce, ma ogni parola cadde nel silenzio come un sasso in un pozzo.
“Non. Toccherai. Mai più. Mio figlio.”
Luca si agitò.
“Elisa, dai, mamma voleva aiutare”
Lo guardaicalma, distaccata.
“Ha quasi ucciso nostro figlio. Se non lo capisci, la porta è aperta. Pu