La suocera pretese che la chiamassi mamma e io le spiegai la differenza
Cinzia, ma per che ti rivolgi sempre a me come a Nunzia Bianchi? Sembra un comizio del partito, non la cena di famiglia, sbottò la suocera, stringendo le labbra ancora piene di briciole di torta per il cinquantesimo anniversario, e posò il bicchiere di tè con fare teatrale.
Al tavolo calò un silenzio di campane. Gli invitati la zia del marito, venuta da Bologna, la cugina con il bimbo capriccioso e la vicina invitata per fare compagnia rimasero immobili, in attesa di un proseguimento. Andrea, marito di Cinzia, si tuffò nella sua insalata russa, fingendo di studiarne il condimento, come sempre quando si avvicinava una tempesta: seppelliva la testa nella sabbia, lasciando le donne a gestire i loro affari da nonne.
Cinzia posò lentamente la forchetta, asciugò le labbra con il tovagliolo e fissò la suocera. Nun Nunzia Bianchi sedeva in testa al tavolo, eretta come un pilastro, avvolta nel suo miglior vestito di lurex, irradiando unaura di sottomissione attesa.
Nunzia Bianchi, la chiamo per nome e cognome per rispetto. È cortese e rispecchia il nostro ruolo, rispose con calma Cinzia, cercando di mantenere la voce livellata.
Che ruolo?, sbuffò la suocera. Siamo una famiglia! Ti ho dato un figlio, il mio sangue. Per te sono la seconda madre. E tu mi parli come a una sconosciuta. Non è così nella nostra stirpe. Vedi Valentina, la sposa della sorella, ha chiamato la suocera mamma al matrimonio e da allora sono unite come sorelle. Tu mantieni la distanza. Non è bene, Cinzia, è arroganza.
Io ho una sola madre, si chiama Maria Antonietta, replicò con decisione Cinzia. Unaltra madre non può esistere, biologicamente né moralmente. Voi siete la madre di mio marito. Vi rispetto, vi apprezzo, ma non vi chiamerò mamma. Scusate se vi offende, ma non so fingere.
Nunzia Bianchi afferrò il cuore con drammaticità, roteò gli occhi e scrutò gli ospiti cercando sostegno.
Avete sentito? Fingere! Sono io a chiedere sincerità! Le preparo dolci, le do consigli, e mi respingi! Andrea, dì qualcosa alla tua moglie! Offendere la madre in casa è un peccato.
Andrea, rosso in viso, balbettò:
Cinzia, davvero… la mamma sarebbe felice. È solo una parola, una tradizione.
Cinzia lo fissò per un lungo istante. Nei suoi occhi si leggeva la stanchezza delle continue pretese della suocera, la delusione per la sua mancanza di spina dorsale, e la promessa che quella volta non avrebbe ceduto.
Per me non è solo una parola, Andrea. È un concetto sacro. Madre è chi mi ha cresciuta, ha partorito, ha vegliato su di me nelle notti di malattia, mi ama senza condizioni. Nunzia Bianchi è una donna meravigliosa, ma non è la mia madre. Chiudiamo largomento e non rovinamo la festa. Chi vuole ancora della torta?.
La cena si rovinò. Gli ospiti se ne andarono in fretta, percependo la tensione che aleggiava. Nunzia Bianchi, accompagnando gli invitati al piano, sussurrò ad alta voce alla vicina: Le nuore di oggi non hanno più coscienza, nessuna gratitudine.
Cinzia lavava i piatti in cucina, strofinando con rabbia. Aveva trentanni, era un architetto di successo, donna autonoma, ma davanti alla suocera si sentiva a volte come una bambina colpevole. Nunzia Bianchi era maestra di aggressività passiva: non urlava mai, ma sapeva colpire con una cura così pungente da farla gemere.
Il giorno seguente Cinzia sperava che lincidente fosse superato, ma conosceva poco la sua suocera. Era solo linizio dellassedio.
Sabato mattina, mentre Cinzia e Andrea cercavano di recuperare il sonno dopo una settimana di lavoro pesante, si sentì bussare alla porta, insistente, senza mai togliere il dito dal pulsante.
Apparve alla soglia Nunzia Bianchi, con una valigia enorme su ruote.
Dormite ancora? chiese sorridendo, infilandosi nellingresso senza aspettare inviti. Sono appena tornata dal mercato, ho comprato ricotta fresca, di campagna. Pensavo di passare dai bambini e preparare dei sfogliatelle. Cinzia è occupata, lavora, costruisce la carriera, non ha tempo per me.
Cinzia, in pigiama, con i capelli scompigliati, sospirò profondamente.
Buongiorno, Nunzia Bianchi. Non abbiamo fame e avevamo dei piani per la mattina.
Che piani possono essere più importanti di una colazione calda da mamma? rispose la suocera, già a comandare in cucina, facendo tintinnare pentole. Andrea! Su, figlio mio! Mamma è qui!.
A colazione, mentre mangiavano i deliziosi sfogliatelle (non si poteva negare il loro gusto), Andrea sorrideva beato, e Nunzia Bianchi iniziò il suo secondo round.
Guarda, Cinzia, quanto mi prendo cura di voi. Mi sono alzata alle sei, sono andata al mercato, ho trascinato la valigia, mi dolono la schiena e le gambe, e sono qui comunque. Solo una madre farebbe così. Perché è così difficile chiamarmi mamma? Ti manca la lingua?.
Cinzia posò la forchetta.
Nunzia Bianchi, grazie per la colazione, ma la cura non si compra con sfogliatelle. E il titolo di mamma non si ottiene consegnando ricotta.
E per cosa allora? increspò la suocera. Perché ti hanno preso in braccio al reparto maternità? Io ho preso Andrea. Siamo una famiglia adesso. Voglio che ci sia calore, come in una vera casa. Tu sei fredda come un pesce. Ieri ho telefonato a Maria Antonietta, tua madre, per lamentarmi.
Cinzia si irrigidì.
Ha chiamato mia madre? Perché?
Per raccontarle come ti comporti. Speravo che influenzasse il suo giudizio. Lei mi ha risposto: Cinzia è una ragazza grande, decide da sola. Vedi? Uneducazione! Un po di indulgenza.
Ti prego, non disturbare più mia madre con le tue lamentele, disse Cinzia con tono gelido. Ha la pressione, non può preoccuparsi.
E io non ho pressione? Il mio cuore non batte? Io ti voglio bene, lo sai! Sto facendo il possibile per te!.
Andrea intervenne di fretta:
Mamma, non iniziare. Cinzia è grata, davvero. Ha solo bisogno di tempo per abituarsi.
Tre anni e sta ancora imparando! sbottò Nunzia Bianchi. Bene, se non volete farlo bene, non verrò più. Ma continuerò a venire, a controllare, finché non capirete chi vi vuole bene.
Da quel giorno le visite della suocera divennero quotidiane. Veniva da madre a controllare se il figlio aveva camicie pulite, spostava pentole negli armadi perché così è più comodo, criticava tende, colore delle pareti e persino la marca del detersivo, aggiungendo sempre: Una mamma non consiglia cose cattive.
Cinzia manteneva la cortesia, ma tracciava confini dove poteva. Non dava le chiavi dellappartamento (anche se Nunzia Bianchi chiedeva una copia per ogni emergenza), non permetteva intrusioni nei conti. Tuttavia la tensione crebbe.
Il culmine arrivò a novembre, quando Cinzia si ammalò gravemente. Uninfluenza feroce la mise a letto: febbre quasi quaranta, dolori in tutto il corpo, debolezza estrema. Andrea, per sfortuna, era in trasferta a Genova e non tornò prima di venerdì.
Cinzia, tra sonno febbrile e paure, chiamò sua madre, ma anche Maria Antonietta era ricoverata per una crisi ipertensiva; Cinzia non voleva spaventarla, così disse solo che era un raffreddore leggero.
Mercoledì pomeriggio la porta si aprì di colpo. Andrea, partendo, aveva lasciato una copia di chiave a sua madre, nel caso fosse necessario annaffiare i fiori in sua assenza. Cinzia ne era dimenticata.
Il corridoio si riempì di rumori di sacchi e della voce alta di Nunzia Bianchi:
Cè qualcuno vivo? Andrea ha chiamato, dice che sei tutta smembrata. Sono qui a salvare!.
Cinzia sollevò a fatica la testa dal cuscino.
Nunzia Bianchi non avvicinatevi è contagioso.
La suocera entrò nella camera, senza togliere il cappotto, scrutando con sguardo critico. Sul comodino cerano tazze di tè a metà, confezioni di pillole, fazzoletti accartocciati. Laria era soffocante.
Che atmosfera! Metti unascia, forse, e sistemiamo! E il disordine!.
Si diresse alla finestra, la spalancò con forza, facendo entrare un vento di novembre gelido sul volto arrossato di Cinzia.
Chiudi, per favore ho i brividi, bisbigliò Cinzia, avvolta nella coperta.
Aeree, via i germi! Resisti, è solo un po di freddo. Ho portato il brodo. Alzati, vai in cucina. Non è un pollaio quello che hai in camera.
Cinzia, vacillante, rispose:
Non posso alzarmi, la testa gira.
Non inventare. Muoversi è vita. Alzati, te lho detto. Sono venuta a Milano con il carrello, non è stato per nulla inutile.
Nunzia Bianchi uscì dalla camera facendo tintinnare le pentole. Cinzia, barcollando, si diresse verso il bagno e poi verso la cucina, sperando in un semplice tè.
In cucina la suocera scaricò il contenuto delle borse. Invece di offrire una tazza, iniziò lispezione del frigorifero.
Maldizione, una topina si è impiccata! Salsicce, yogurt scaduti cosa hai dato a tuo marito prima di partire? Povero Andrea, con il suo gastrite non è caduto?.
Nunzia Bianchi, sto male, posso solo acqua?
Acqua? Versane tu, le tue mani non sono ferite! Guardi la cucina, il grasso sui fornelli. Approfittiamo che sei a letto, faccio una pulizia generale, altrimenti vergogna davanti agli ospiti.
Così cominciò a frugare pentole, a spostare sedie, a strofinare armadi con detergenti a base di candeggina. Lodore di cloro si mescolò al profumo della febbre, e Cinzia vomitò.
Per favore, basta pulizie ho bisogno di pace andate via.
Ecco! Io sono tua madre! Vieni qui, aiutami! Non è colpa mia se non ho misurato la pressione, ma ho già preso il panno. Dovresti ringraziarmi.
Cinzia, con voce flebile, rispose:
Grazie, ma non voglio la pulizia. Ho bisogno di medicine, non riesco a camminare fino alla farmacia. Hai comprato quello che Andrea ha chiesto?.
Nunzia Bianchi sbatté la fronte:
Lista? Oh no, lho dimenticata. Ma ho comprato le barbabietole! Farò il borsch. Tu pulisci le verdure, io preparo il brodo, così finiamo più in fretta.
Cinzia, ancora febbricitante, osservò:
Vuoi che pulisca le barbabietole con la febbre trentanove?.
Che cè di male? Le mani lavorano. Il lavoro purifica e cura. Quando ero malata, coltivavo il orto e andavo avanti.
In quel momento il cellulare della camicia di Cinzia squillò. Era sua madre, Maria Antonietta.
Figlia mia, come sei? La tua voce è quasi niente. Sono già dimessa, non posso stare a letto mentre tu stai male. Sono fuori, arrivo subito.
Cinque minuti dopo Maria Antonietta entrò, pallida ma determinata.
Mamma, scoppiò Cinzia, piangendo per la prima volta da giorni.
Maria Antonietta, senza curvarsi davanti a Nunzia Bianchi, si precipitò verso la figlia, le sfiorò la fronte, sospirò.
Dio, sei in fiamme! Corri a letto! Chiamo unambulanza se non ti riposi.
Prese le medicine, il termometro, una bottiglia di succo di mirtillo e un barattolo di brodo di pollo. Nunzia Bianchi osservava dalla porta, le labbra premute.
Io aiuto anche io, avevo in mente di pulire, di fare il borsch.
Maria Antonietta, con voce ferma come acciaio, disse:
Nunzia Bianchi, guardi lo stato di Cinzia? Ha bisogno di quiete e silenzio. Nessuna pulizia, nessun borsch. Solo riposo e cure.
Nunzia Bianchi, sorpresa, balbettò:
Io volevo solo il meglio! Da madre! Farla rinvigorire! Ma è come un sottaceto.
Cinzia, dopo aver preso lantipiretico e sentito la cura materna, si sollevò su gomiti. Unondata di chiarezza attraversò la mente e la rabbia accumulata per un mese trovò la via duscita.
Nunzia Bianchi, avvicinatevi, per favore.
La suocera alzò sopracciglia, curiosa, e si avvicinò.
Ascoltate bene. Da sei mesi mi esigete di chiamarvi mamma. Manipolate, vi lamentate, e oggi avete dimostrato perché non vi chiamerò mai così.
Perché? sbuffò Nunzia Bianchi. Sono venuta, ho portato cibo.
Perché mamma non è un prodotto né una pulizia, interruppe Cinzia. Guardate la mia vera madre. È quasi a terra, è uscita dallospedale solo per darmi acqua e una coperta. Non mi chiede di pulire le barbabietole quando cado dal debole. Non critica la mia cucina quando sto morendo di febbre. Ama semplicemente, sente il mio dolore come suo. Nunzia Bianchi, voi siete solo una suocera, una parente del marito. Oggi avete provato che fra questi ruoli cè un abisso.
Il silenzio calò nella stanza. Solo il respiro pesante di Nunzia Bianchi si sentiva. Si arrossì, poi sbiancò. La sua consueta sicurezza si incrinò.
Io volevo stimolarvi un metodo un chiodo con laltro.
Andate via, Nunzia Bianchi, disse Cinzia, stanca. Portate via le barbabietole e uscite. Lasciate le chiavi sul tavolino dellingresso. Non tornate più senza invito. Vi rispetto come madre di Andrea, ma il posto di mamma nel mio cuore è occupato da una donna che ora mi accarezza la testa.
Nunzia Bianchi osservò Maria Antonietta, che asciugava dolcemente il viso di sua figliaE così, nella quiete della notte, la casa respirò finalmente la pace.





