Ricordo ancora quella sera, quando la suocera, la signora Giulia Bianchi, esigeva che la chiamassi mamma e io le spiegai la differenza.
Fiorenza, ma perché continui a chiamarmi Giulia Bianchi ogni volta? Sembra quasi una riunione di partito, non il tavolo di famiglia. Infastidisce lorecchio, lo giuro sbottò la signora Giulia, con ancora qualche briciola di torta di compleanno attaccata alle labbra, e posò con fare teatrale la tazza di tè.
Un silenzio carico di tensione avvolse la tavola. Gli ospiti la zia di Andrea, Martina, dal Napoli, la cugina Elisa con il suo bambino capriccioso e la vicina Carla, invitata per fare compagnia rimasero immobili, in attesa di quello che sarebbe accaduto. Andrea, marito di Fiorenza, si affondò subito nella sua insalata di patate, facendo finta di studiarne ogni ingrediente. Era il suo modo di nascondere la testa nella sabbia quando si avvicinava una tempesta, lasciando le donne a gestire da sole i loro affari di casa.
Fiorenza depose lentamente la forchetta, asciugò le labbra con il tovagliolo e fissò la suocera. Giulia Bianchi sedeva a capo tavola, eretta come un palo, nel suo miglior vestito di seta lucente, irradiando unattesa di obbedienza.
Giulia Bianchi, la chiamo per nome e patronimico per rispetto. È educato e corrisponde al nostro ruolo rispose Fiorenza con calma, facendo suonare la voce di un tono uniforme.
Quale ruolo? sbuffò la suocera. Siamo una sola famiglia! Ti ho dato un figlio, il mio sangue. Ora sono la seconda madre per te. E tu mi chiami lei, come se fossi estranea. Non è nostra usanza. Guarda Valentina, la cognata della sorella, che fin dal matrimonio chiamava la suocera mamma. E vivono in armonia. Tu mantieni la distanza. Non è giusto, Fiorenza, è unorgogliosa superbia.
Io ho una sola madre affermò fermamente Fiorenza. Si chiama Vera Andreini. Unaltra madre non può esistere, biologicamente né moralmente. Voi siete la madre di mio marito. Vi rispetto, vi apprezzo, ma non vi chiamerò mamma. Scusate se vi offendo, ma non so fingere.
Giulia Bianchi fece una drammatica finta di toccarsi il cuore, alzò gli occhi al cielo e scrutò gli ospiti alla ricerca di sostegno.
Avete sentito? Fingere! Sono io quella ipocrita? Io le porto dolci, consigli, ma lei mi gira le spalle! Andrea, almeno tu dilla a tua moglie! Offendere una madre nella propria casa è una cosa grave!
Andrea, arrossendo, balbettò:
Fiorenza, davvero La mamma sarebbe contenta. È solo una parola. È una tradizione.
Fiorenza lo fissò a lungo. In quel sguardo cera la stanchezza di infinite lamentele della madre di Andrea, la delusione per la sua codardia, e la ferma decisione di non cedere più.
Per me non è solo una parola, Andrea. È un concetto sacro. Madre è chi mi ha allevato, partorito, vegliato sulle mie notti malate, e che mi ama incondizionatamente. Giulia Bianchi è una donna gentile, ma non è mia madre. Chiudiamo largomento e non rovinamo la festa. Chi vuole ancora della torta?
La cena fu rovinata. Gli invitati se ne andarono presto, percependo la tensione palpabile. Giulia Bianchi, accompagnando gli ospiti al vestibolo, sussurrò rumorosamente alla vicina Carla che le nuore di oggi hanno perso tutta la coscienza, non hanno alcuna gratitudine.
Fiorenza lavava i piatti in cucina, strofinando le stoviglie con rabbia. Aveva trentanni, era un architetto affermato, donna autonoma, ma alla presenza della suocera a volte si sentiva una bambina colpevole. Giulia Bianchi era una maestra dellaggressività passiva: non urlava mai, ma le sue premure colpivano come pugni nascosti.
Il giorno seguente Fiorenza sperava che lincidente fosse finito, ma conosceva poco la suocera. Era solo linizio di un assedio.
Sabato mattina, mentre Fiorenza e Andrea cercavano di riposare dopo una settimana di lavoro, bussò alla porta. Un colpo persistente, senza sosta.
Sul sog threshold vi si presentò Giulia Bianchi con una grossa valigia a rotelle.
Dormite ancora? chiese allegramente, spingendo il carrello nella hall senza attendere inviti. Sono andata al mercato, ho preso del ricotta fresca, di campagna. Pensavo di fare dei dolci di ricotta per i bambini. Ma Fiorenza è sempre occupata, costruisce la sua carriera, non ha tempo per cucinare.
Fiorenza, in pigiama, i capelli scompigliati, sospirò profondamente.
Buongiorno, Giulia Bianchi. Non abbiamo fame e avevamo già dei programmi per la mattina.
Quale programma può essere più importante di una colazione calda da mamma? iniziò a frugare tra i fornelli, facendo tintinnare le pentole. Andrea! Su, figlio! La mamma è qui!
A colazione, tra i deliziosi dolci di ricotta (di cui non si poteva negare la bontà), Andrea sorrise beato, mentre Giulia Bianchi iniziò il secondo round.
Vedi, Fiorenza, così ti prendo cura. Mi alzo alle sei, vado al mercato, trascino la valigia. La schiena mi fa male, le gambe brontolano, ma vengo lo stesso. Solo una mamma farebbe una cosa così. E allora perché è così difficile per te chiamarmi mamma? Ti manca la lingua?
Fiorenza posò la forchetta.
Giulia Bianchi, grazie per la colazione. Ma la cura non si compra con dolci. E il titolo di mamma non si ottiene con la consegna di ricotta.
E per cosa allora si ottiene? incrociò le braccia la suocera. Per il fatto che ti hanno preso tra le braccia al parto? Io ho preso Andrea. Siamo parenti. Voglio che ci sia calore, una vera famiglia. Tu sei fredda come il mare. Ieri ho chiamato Vera Andreini, la tua madre, a lamentarmi.
Fiorenza si irrigidì.
Ha chiamato mia madre? Perché?
Per raccontarle come ti comporti. Pensavo la influenzasse. Ma mi ha detto: Fiorenza è una ragazza grande, decide da sola. Questo è il vero educazione, un po di indulgenza.
Le chiedo di non disturbare più mia madre con le sue lamentele disse Fiorenza con tono gelido. Ha la pressione, non deve preoccuparsi.
E io, dunque, non ho pressione? Il cuore non mi duole? la voce di Giulia Bianchi tremò. Io ti voglio bene Sto cercando di aiutarti!
Andrea intervenne in fretta:
Mamma, non iniziamo. Fiorenza è grata, davvero. Ha solo bisogno di tempo per abituarsi.
Tre anni sono passati e ancora si abitua! sbottò Giulia Bianchi. Va bene, se non volete farlo per bene, non importa. Verrò, aiuterò, finché non capirai chi ti vuole bene davvero.
Da quel giorno le visite di Giulia Bianchi divennero regolari. Veniva da mamma a controllare se il figlio aveva camicie pulite, spostava le pentole nei ripostigli perché così è più comodo, criticava le tende, il colore delle pareti e persino la marca del detersivo, aggiungendo sempre: Una mamma non consiglia cose cattive.
Fiorenza teneva duro. Era cortese, ma tracciava i propri confini come poteva: non dava le chiavi dellappartamento (anche se Giulia Bianchi chiedeva duplice per ogni evenienza), non permetteva interferenze finanziarie. Però la tensione cresceva.
Il culmine arrivò un novembre, un mese dopo. Fiorenza cadde gravemente malata. Uninfluenza torrida la costrinse a letto: febbre quasi quaranta gradi, dolori diffusi, debolezza estrema. Andrea, per sventura, era in trasferta a Milano e non tornò prima di venerdì.
Fiorenza chiamò la madre, ma la stessa era ricoverata per una crisi ipertensiva. Non volle spaventarla, mentì dicendo che era solo un raffreddore leggero.
Mercoledì pomeriggio la porta scricchiolò. Andrea, partendo, aveva lasciato un set di chiavi di riserva a Giulia Bianchi, per farle innaffiare le piante se la trasferta si prolungasse. Fiorenza aveva dimenticato tutto.
Nel vestibolo si sentì il frastuono dei sacchi e la voce alta di Giulia Bianchi:
Cè qualcuno vivo? Andriolino ha chiamato, ha detto che sei in fin di vita. Sono qui per salvarti.
Fiorenza sollevò a malapena la testa dal cuscino.
Giulia Bianchi non venite è contagioso
La suocera entrò nella camera, ancora vestita con il cappotto da fuori. Guardò attorno, critico: sul comodino cerano tazze di tè mezze vuote, scatole di pillole, fazzoletti accartocciati. Laria era soffocante.
Che atmosfera! Sembrate un capanno di legna, commentò. E il disordine! Anche la malattia va vissuta con dignità, Fiorenza.
Si avvicinò alla finestra e spalancò il davanzale. Laria gelida di novembre colpì il volto arrossato di Fiorenza.
Chiudete, per favore ho i brividi sussurrò, avvolgendosi nella coperta.
Bisogna arieggiare, scacciare i germi. Resisti un po. Ecco, ho portato il brodo. Alzati, vai in cucina. Stare a letto è come tenere un maiale.
Non riesco a stare in piedi. Mi gira la testa.
Non inventare. Muoversi è vita. Alzati, dico. Ho percorso tutta la città per arrivare qui!
Giulia Bianchi uscì sbattendo i piatti. Fiorenza, barcollante, si diresse verso il bagno, poi la cucina, sperando almeno in una tazza di tè.
In cucina la suocera aveva scaricato il contenuto delle sue valigie, ma anziché servire il tè, iniziò a ispezionare il frigorifero.
Dio, una topa! Salsicce vecchie, yogurt scaduti Che cosa hai dato ad Andrea prima di partire? Povero ragazzo, non è caduto in gastrite?
Giulia Bianchi, sto male disse Fiorenza sedendosi, poggiando la testa sulle mani. Solo un po dacqua?
Acqua? Serviti, le tue mani e i tuoi piedi sono integri. Guarda la tua cucina, il grasso sui fornelli. Mentre sei a letto, farò una pulizia generale, altrimenti sono in imbarazzo davanti alla gente.
E iniziò a fare rumore con le pentole, a spostare le sedie, a strofinare gli armadi con prodotti chimici pungenti. Lodore di candeggina mescolato a quello della febbre fece vomitare Fiorenza.
Per favore, basta pulizie Voglio solo riposo Se ne vada, per favore
Ecco! sbatté le mani la suocera. Sono tua madre! Sono qui per curarti, aiutarti! Non ti arrivi a dirmi di non pulire! Non ho misurato la pressione, ma mi sono già messa allopera. Dovresti essere grata.
Grazie, mormorò Fiorenza. Ma non ho bisogno di pulizie. Ho bisogno di medicine che non riesco a prendere perché non ho la forza di andare in farmacia. Hai comprato quello che Andrea voleva?
Ah, la lista si colpì la fronte. Lho dimenticata. Ma ho comprato barbabietole! Farò il borscht. Il borscht è il miglior rimedio. Tu sbuccia le verdure, io preparo il brodo. Così andiamo più veloci.
Fiorenza alzò lo sguardo febbrile.
Vuoi che, con la febbre a trentadue gradi, lavi le barbabietole?
Che cè di male? Stai seduta. Le mani lavorano. Il lavoro purifica e guarisce. Quando ero malata, arava il mio orto e stavo bene. Siete tutti dei codardi.
Nel frattempo il cellulare della sua camicia suonò. Era sua madre, Vera Andreini.
Figlia mia, come stai? Hai una voce così debole. Sono appena uscita dallospedale, non posso stare a letto mentre tu sei malata. Sono subito al tuo piano.
Cinque minuti dopo Vera Andreini entrò, pallida e debole, ma con lo sguardo determinato.
Mamma Fiorenza scoppiò in pianto, per la prima volta in quei giorni provando sollievo.
Vera Andreini, ignorando Giulia Bianchi, si precipitò verso la figlia, la toccò alla fronte, rimase immobile.
Santo cielo, sei ardente! Vai subito a letto! Chiamo lambulanza se non ti riposi.
Con mani esperte la posò sul letto, le diede un asciugamano fresco sulla fronte, tirò fuori dal sacchetto le medicine necessarie, un thermos di succo di mirtilli e una lattina di brodo di pollo.
Giulia Bianchi rimaneva sulla soglia, le labbra serrate.
Io invece aiuto anchio, affermò. Ho iniziato la pulizia, sto per fare il borscht. Voi, Vera Andreini, siete solo venute a spargere germi dopo lospedale.
Vera Andreini si girò verso la suocera, la voce calma ma ferma come lacciaio.
Giulia Bianchi, vede lo stato di Fiorenza? Ha bisogno di quiete, di silenzio. Che pulizia? Che borscht? Ha bisogno di bevande e di sonno. Perché la costringe a alzarsi?
Volevo fare del mio meglio! Da mamma! Farla rinvigorire! Ma lei è a letto come un marmo.
Fiorenza, dopo aver preso una compressa antipiretica e aver ricevuto le cure della madre, si sollevò sui gomiti. La rabbia accumulata per un mese trovò finalmente sfogo.
Giulia Bianchi, si avvicini, per favore disse a voce alta.
La suocera alzò sopracciglia, sorpresa, ma si avvicinò.
Ascolti bene. Da sei mesi pretendi che io ti chiami mamma. Ti offendi, manipoli, ti lamenti a tutti. Oggi mi hai mostrato perché non ti chiamerò mai così.
Perché? sbuffò la suocera. Sono venuta, ho portatoCon un ultimo sguardo carico di rassegnazione, la signora Giulia Bianchi si voltò, lasciò le chiavi sul tavolo e uscì, chiudendo dietro di sé la porta con un silenzioso addio.






