La suocera vuole tornare a trovarmi, ma ho detto di no. E non cambierò idea.

Mia suocera vuole di nuovo venirmi a trovare, ma ho detto no. E questa volta non cambierò idea.

Mio marito, Marco, è tornato a tormentarmi con la solita storia: sua madre, la signora Bianchi, sostiene di soffrire la nostalgia e vuole a tutti i costi farci visita. Ecco, qui ho tirato fuori il mio lato più siciliano e ho risposto con un secco “No, grazie”. Un solo weekend con lei in sei anni di matrimonio è stato più che sufficiente per farmi giurare: mai più. L’ultima volta è comparsa all’improvviso, come un temporale a ferragosto, portandosi dietro sua sorella, senza neanche avvisare. Allora ho resistito. Ora? Neanche per sogno.

— Se vuoi vedere tua madre — gli ho detto — prendi nostra figlia e andate a trovarla. Se preferisci, affittale un hotel, non avrò nulla da ridire. Ma in questa casa non metterà più piede.

Peccato che la signora Bianchi non voglia sentire ragioni. Niente hotel, tantomeno ospitarla a casa sua. Lei deve assolutamente venire da noi. E io mi chiedo: perché questa fissa di intrufolarsi dove non è benvenuta?

Marco viene dalla Puglia. Ci siamo conosciuti all’università a Milano. Prima del matrimonio divideva un appartamento con degli amici, poi si è trasferito da me. La casa l’hanno comprata i miei genitori dieci anni fa ed è intestata a me. Questa è casa mia, e io ci metto le regole.

La signora Bianchi, tra l’altro, non è certo una poveraccia. Avrebbe potuto aiutare suo figlio a comprarsi un bilocale, ma preferisce ripetere: «E se poi divorziate e la furbacchiona si tiene tutto? Meglio che stia a casa sua, così siamo tranquilli». A sua figlia, invece, la cara Antonella, ha dato una mano senza problemi. Anzi, le ha persino suggerito di fingere un divorzio col marito per ottenere un aiuto col mutuo. Ora Antonella vive a Bologna, in dolce attesa, mentre il suo “ex” paga rate e mantenimento. Tutti felici e contenti.

Una volta, la suocera ha provato a proporre la stessa sceneggiatra anche a noi. La mia risposta è stata tagliente:

— Se divorziamo, sarà per davvero. E tu, Marco, prendi le valigie e te ne vai.

Da allora, l’argomento è chiuso. Io a casa sua non ci sono mai andata, non ne avevo voglia. Ma tre anni fa, lei si è presentata qui. Disse:

— Voglio almeno una volta vedere mia nipote. Con le foto non capisco a chi somiglia di più.

Acconsentii. Ma nessuno mi avvisò che si sarebbe portata dietro la sorella. Probabilmente volevano fare un confronto scientifico tra le fattezze della bambina. Peccato che mia figlia sia la copia sputata di suo padre. E anche loro dovettero ammetterlo.

Preparai la camera, sistemarono le valigie, giocarono con la piccola, aprirono i regali. Poi sedemmo a tavola. Avevo tirato fuori il menù da festa: pollo al forno, polpette, tre insalate, affettati, formaggi, dolce, frutta… Ma non facemmo in tempo a sederci che partì la prima bordata:

— E gli arancini dove sono? — domandò severa.

— Non avete ancora fame, vero? — risposi, sorpresa.

— No, è solo per sapere…

Dopo cena, bis:

— Mio figlio sa benissimo cosa mi piace. Evidentemente non te l’ha detto.

Mi ricordai che Marco mi aveva accennato alla loro passione per le interiora: fegato, rognoni, salsicce di frattaglie. Io, invece, fin da piccola non sopporto l’odore del fegato crudo, e cucinarlo è fuori discussione.

Il giorno dopo uscirono, e io, cercando di essere premurosa, preparai dei panzerotti ripieni di prosciutto e mozzarella. Li portai in tavola con un sorriso.

— E quelli con le frattaglie? — borbottò delusa. — Lo sai che li adoro!

Le spiegai che non reggo l’odore. Mi rispose con un occhiata al cielo. A pranzo, nuova scenata:

— Minestra senza animelle? Con la carne normale?! — disse, disgustata.

A quel punto scattai. Presi mia figlia e me ne andai da mia madre. Tornai la sera. Con Marco litigammo per la prima volta seriamente.

Una settimana dopo, durante una videochiamata, sentii la sua voce:

— Antonella è una brava ragazza. Mi accoglie sempre, cucina quello che mi piace. Questa invece… zero calore, zero ospitalità.

Dopo quel commento, dissi chiaro e tondo a mio marito: «Se tua madre sogna di tornare qui, può continuare a sognare. Oltrepassa quella porta, e te ne vai con lei». E ora, dopo tre anni, ci riprova. Ma stavolta la risposta è no. Casa mia è il mio castello. E chi non sa rispettare i confini, resta fuori.

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