Giovanna Romano conosceva ogni affare della palazzina. Chi arrivava a che ora, chi litigava con chi, chi mancava dei soldi per le spese condominiali. Ma non sapeva nulla della vicina del quinto piano.
Apparve in modo quasi impercettibile. Giovanna ricordava che l’appartamento cinquantatré era rimasto vuoto dopo la morte del vecchio Umberto Neri. I nipoti eredi, residenti a Torino, venivano raramente, svuotavano qualche scatola, poi vendettero. Chi l’acquistò rimase un mistero.
“Gli agenti immobberari probabilmente rivendono”, ipotizzava la vicina Claudia Marchetti incontrando Giovanna alle cassette postali. “Di questi tempi è di moda commerciare case come patate al mercato.”
Ben presto risultò chiaro: nessuna rivendita. Qualcuno si era trasferito. Giovanna lo dedusse dalla musica discreta che talvolta scendeva dall’alto e dai tacchi sulle scale. Tacchi veri, non ciabatte o sneakers, ma scarpe eleganti. Un lusso raro in quel palazzo.
La prima volta che vide la nuova inquilina fu per caso. Sbirciò dallo spioncino udendo voci nel pianerottolo e rimase stupefatta. Sulla soglia dell’appartamento fronteggiante stava una donna alta in un cappotto beige elegante. Capelli raccolti in una crocchia ordinata, in mano un mazzo di rose bianche.
“Grazie infinite”, diceva la sconosciuta a un uomo sulla cinquantina in completo sobrio. “Glielo consegnerò senz’altro.”
L’uomo annuì, rispose sommessamente e s’incamminò verso l’ascensore. La donna indugiò un istante, osservando i fiori, sospirò piano e svanì dentro casa.
“Claudia, hai visto quella nuova vicina?”, chiese Giovanna all’amica il giorno seguente, sedute su una panchina nel cortile.
“Quale nuova?”
“Quella al quinto. Abita nel cinquantatré ora.”
Claudia scosse la testa: “No. E com’è? Giovane?”
“Non proprio. Quarantacinque, forse cinquant’anni. Bella, curata. Vestita in modo impeccabile, non come noi qui.”
“Probabilmente benestante”, concluse Claudia. “Se ha comprato un appartamento in centro.”
Giovanna assentì, ma un senso di stranimento la pervase. I ricchi di solito non scelgono quel vecchio palazzo con ascensore antiquato e intonaco scrostato. Preferiscono nuove costruzioni o residenze di luscinconcierge.
A poco a poco Giovanna notò visite frequenti alla vicina del quinto. Sempre uomini, sempre con fiori. Arrivavano a ogni ora: chi al mattino, chi a cena, chi a pranzo. Alcuni restavano venti minuti, altri oltre un’ora. Tutti ben vestiti, dall’aria sicura.
“Forse è un’artista?”, suggerì Claudia quando Giovanna confidò le osservazioni. “O una musicista? Hanno sempre tante conoscenze.”
“Artisti con quei soldi?”, sbuffò Giovanna scettica. “Hai mai visto pittori ricchi?”
Claudia alzò le spalle, ammettendo l’improbabilità.
La curiosità di Giovanna crebbe quotidianamente. Tendeva l’orecchio ai rumori superiori, usciva per i rifiuti quando udiva passi sui gradini. Ma la vicina pareva dissolversi nell’aria.
La rivelazione giunse inaspettata. Giovanna rientrava dall’ospedale dopo ore d’attesa dal medico. Scontenta – il dottore aveva solo prescritto analisi – nell’ascensore incrociò Luigi, l’idraulico dell’amministrazione.
“Salve signora Romano”, lo salutò Luigi, cassetta degli attrezzi in mano.
“Ciao Luigi. Dove vai?”
“Al quinto, aggiustare un rubinetto. È arrivata la richiesta.”
Giovanna si animò: “Nel cinquantatré?”
“Sì. Abita una signora interessante. Offre sempre tè e biscotti. E paga oltre tariffa.”
“Davvero? Che persona è?”
Luigi si grattò la nuca: “Una brava donna. Educata, raffinata. Sempre malinconica però. Vive sola.”
“Come sola? Ci sono continuamente uomini da lei!”
L’idraulico la guardò stupito: “Quali uomini? Sono stato là cinque volte – mai visto nessuno.”
La risposta arrivò una settimana dopo, in modo imprevedibile. Giovanna s’imbatté nella vicina al supermercato. La donna osservava l’etichetta di un kefir al banco frigo.
“Scusi”, l’avvicinò Giovanna, “lei è del nostro palazzo? Sono Giovanna Romano, quarto piano.”
La vicina sollevò lo sguardo. Da vicino appariva ancora più bella: lineamenti armoniosi, occhi castani espressivi, pelle luminosa. Ma in quegli occhi Giovanna lesse una stanchezza e tristezza che la scossero.
“Sì, la ricordo”, rispose sommessa. “Beatrice Lombardi. Piacere.”
“Tutto bene? L’appartamento è carino, Umberto Neri lo teneva in ordine.”
“Grazie, tutto tranquillo.”
Beatrice non sembrava incline a conversare, ma Giovanna insistette: “Lavora da qualche parte? O in pensione?”
“Lavoro”, rispose secca voltandosi verso gli yogurt.
Giovanna intuì di forzare, si congedò e uscì. Ma il colloquio la lasciò insoddisfatta. A casa chiamò immediatamente Claudia:
“Ho parlato con la vicina! Si chiama Beatrice Lombardi.”
“E cosa hai scoperto?”
“Nulla di concreto. È molto riservata. Triste da commuovere.”
“Forse il marito è morto? O un divorzio difficile?”
Marianna Lombardi sapeva sempre tutto del loro palazzo. Chi arrivava a che ora, chi litigava con chi, a chi mancavano i soldi per le bollette. Ma della vicina del quinto piano non sapeva nulla. La donna era apparsa nel loro portone senza fare rumore. Marianna ricordava che l’appartamento cinquantatré era rimasto vuoto a lungo dopo la morte del vecchio Sergio Romano. I nipoti eredi, che venivano da Milano, passavano di rado, svuotavano qualcosa, poi vendettero. Ma chi l’avesse comprato, nessuno lo sapeva davvero. “I mediatori immobiliari, probabilmente rivendono”, rifletteva la vicina Valentina Ferri incrociandola alle cassette postali. “Ormai va di moda, trafficano appartamenti come patate al mercato”. Presto fu chiaro che non era stata rivenduta. Qualcuno ci si era trasferito. Marianna lo capì dalla musica bassa che talvolta scendeva dall’alto e dal ticchettio di tacchi sulle scale. Tacchi veri, non ciabatte né scarpe da ginnastica, ma vere scarpe col tacco. Nel loro palazzo pochi si concedevano quel lusso. La prima volta che Marianna vide la nuova vicina fu per caso. Sbirciò dalla spioncina sentendo voci nel pianerottolo e rimase di sasso. Sulla soglia dell’appartamento di fronte stava un’alta donna in un elegante cappotto beige. I capelli erano raccolti in uno chignon ordinato, teneva un mazzo di rose bianche. “Grazie mille”, diceva la sconosciuta a un uomo sulla cinquantina in giacca formale. “Gliele consegnerò molto volentieri”. L’uomo annuì, rispose qualcosa di incomprensibile e si diresse all’ascensore. La donna rimase ancora un attimo fissando i fiori, sospirò piano e sparì nel suo appartamento. “Vale, hai vista la nuova vicina?” chiese Marianna all’amica il giorno dopo, sedute sulla panchina nel cortile. “Quale nuova?” “Quella del quinto. Abita nel cinquantatré adesso”. Valentina scosse la testa: “No. Com’è, giovane?” “Non proprio. Sulla quarantina, forse cinquant’anni. Bella, curata. E si veste bene, non come noi qui”. “Sarà ricca”, concluse Valentina. “Se ha comprato in centro”. Marianna annuì, ma un senso di stranezza la perseguitava. I ricchi di solito non venivano nel loro vecchio palazzo con l’ascensore arrugginito e le pareti scrostate. Preferiscono nuovi condomini o residenze d’élite col portiere. Col tempo Marianna notò che al quinto piano arrivavano spesso ospiti. Sempre uomini, sempre coi fiori. A tutte le ore. Alcuni restavano venti minuti, altri un’ora o più. Tutti ben vestiti e sicuri di sé. “Sarà una pittrice?” ipotizzò Valentina quando Marianna le confidò le osservazioni. “O una musicista? Hanno sempre tanti conoscenti”. “Una pittrice con quei soldi?” sbuffò Marianna. “Hai mai visto artisti ricchi?” Valentina alzò le spalle riconoscendo l’improbabilità. La curiosità di Marianna cresceva. Cominciò ad ascoltare i rumori dall’alto, uscire per i rifiuti quando sentiva passi sulle scale. Ma la vicina sembrava svanire nell’aria. O camminava troppo piano, o evitava gli incontri. La spiegazione arrivò inaspettata. Marianna tornava dal medico dopo ore di attesa. Scontroso l’umore – il dottore non aveva detto nulla di utile, solo prescritto esami. In ascensore incontrò Gennaro l’idraulico dell’amministrazione. “Salve, signora Lombardi”, la salutò Gennaro con la cassetta degli attrezzi. “Buongiorno, Gennaro. Dove vai?” “Al quinto, aggiusto un rubinetto. È arrivata la richiesta”. Marianna si animò: “Dalla cinquantatré?” “Eh già. Abita una signora particolare. Offre sempre tè e biscotti. E paga oltre il tariffario, sa?” “Davvero? Che tipo è?” Gennaro si grattò la nuca: “Brava persona. Educata, raffinata. Però sempre mesta. E vive sola, senza nessuno”. “Come sola? Ci vanno uomini di continuo!” L’idraulico la guardò perplesso: “Quali uomini? Sono andato cinque volte – mai visto nessuno. È sempre sola”. Marianna rimase perplessa. O Gennaro mentiva, o capiva male. Forse la vicina non riceveva ospiti con estranei in casa. La risposta arrivò una settimana dopo nel reparto latte del supermercato. La donna studiava l’etichetta di un kefir. “Scusi”, Marianna si avvicinò, “lei abita nel nostro palazzo? Io sono Marianna Lombardi, del quarto piano”. La vicina alzò gli occhi. Da vicino era ancora più bella – lineamenti fini, grandi occhi castani, pelle curata. Ma in quegli occhi Marianna lesse una tale stanchezza e tristez
Le parole “Il mio ragazzo mi ha lasciata ieri” uscirono a fatica dalle labbra tremanti di Beatrice, e Marianna comprese finalmente che quei presunti visitatori erano solo fantasmi tessuti dalla solitudine disperata e dai pregiudizi del palazzo, una lezione amara sul guardarsi dentro prima di giudicare gli altri.