La Villino dell’Intrigo

Ricordo ancora quel pomeriggio destate, quando la luce del sole di Firenze cadeva pesante sui campi di grano. Che cosa vuoi? mi chiese la madre, Maria Serafina, con la voce un po rigida. Io, Livia, rimasi sorpresa: Che cosa vuoi? mi dissi, quasi a me stessa. Cosaltro si poteva desiderare nella nostra casa di campagna? Solo sistemare le aiuole, decidere cosa piantare, come sempre. Stai bene, mamma? Non ti sono venuti i piedi di? le chiesi, temendo che la sua testa fosse già troppo pesata.

Mia madre era stata ricoverata in ospedale quasi subito dopo il funerale di suo marito, Giovanni, per unaggiunta di angina coronarica: la crisi si era manifestata nel quarantesimo giorno di lutto. Si era pensato fosse normale: il marito era morto, la moglie rimaneva sola, e nessuno lavrebbe più voluta. Lui era andato via tranquillamente, senza tormenti: si era seduto a guardare la sua serie preferita e si era addormentato sul bracciolo. Stavamo per celebrare il cinquanta e lanno di matrimonio, ma al posto delle feste ci fu solo la sepoltura.

Da quel padre rimase, oltre al ricordo, una piccola baracca e un bel terreno che stavano terminando di costruire quando io ero ancora una bambina. Un sabato, mentre la semina era ormai alle porte, decisi di andare alla casa di campagna e mi trovai lì con un uomo che mi sembrava vagamente familiare. Era il medico di famiglia, il dottor Vincenzo Rinaldi, che seguiva mia madre in ospedale, eppure lo vedevo girovagare per il campo in completo di biancheria intima.

Le spiegazioni non mancarono: È il medico, è venuto per un controllo di routine, è passato più di sei mesi dalla dimissione, è il momento della visita medica preventiva. Ma perché allora indossava solo la mutanda? Dove era il suo stetoscopio? Non era forse la sua divisa completa?

Il sole batteva forte, ma passeggiare nudi sul terreno di qualcun altro richiedeva una certa dose di coraggio. Mia madre mi guardò con unespressione di disappunto.

Che cosa vuoi? ripeté.

Io, ancora più confusa, le dissi: Che cosa vuoi? in voce quasi ironica. Che cosa può servire qui? Solo lavorare la terra, piantare, come al solito! E le chiesi se fosse tutto a posto, se non avesse la testa che bruciava. La testa non brucia, rispose con calma, ma perché chiedi, allora?

Il dottor Rinaldi, ormai vicino ai sessanta anni, si avvicinò e mi salutò. Nessuno sembrava infastidito dal fatto che stesse in mutande davanti a una donna di trentacinque anni, così ben vestita. Il suo autocontrollo doveva essere notevole. Annuii, ma mi sentii a disagio e, con un velo di vergogna, mi ritirai verso la casa, incerta su cosa fare.

Non volevo andarmene subito; avrei sentito di aver abbandonato il campo senza combattere. Ma restare lì? Non mi pareva certo una buona idea. Così, bevvi un bicchiere dacqua e decisi di capire perché luomo si comportava come se fosse a casa sua e quali fossero i piani di mia madre con lui.

È proprio così, è a casa sua spiegò la madre. E i piani sono grandi: ci sposeremo!

Davvero? balbettai, sconvolta. E il ricordo di papà? Lamore eterno? Non è forse una follia? chiesi, chiedendomi se avesse cantato Aznavour sul suo amore perduto. Possiamo sposarci alla veneziana! scherzò Maria Serafina, ridendo del suo stesso commento. E tu non dovresti stare qui, Livia: vedi, luomo arrossisce!

Pensai: Che imbarazzo, arrossisce! E mi chiesi come sarebbe stato se non lo facesse. Poi, ad alta voce, dissi: Può arrossire altrove? Perché è in mutande?

In nessun altro posto rispose la madre, seriamente e senza biancheria sarebbe scomodo!

Ci amiamo, e ora tutto sarà nostro: la casa è sua, la casa è mia! aggiunse. Tu, invece, dovresti andartene!

Perché? rimasi perplessa. Ho il diritto di pretendere la proprietà ereditaria! Ho il diritto di stare nella mia parte!

Scoprimmo che la casa di campagna era intestata esclusivamente a mia madre; era lunica proprietaria del casale e del terreno. Il nome di Giovanni non compariva sui registri, quindi non era eredità da dividere. Perciò, la madre mi consigliò di andarmene: Qui sei nessuno, io ho la vita personale da sistemare.

Sedetti su una panchina e mi sentii davvero nessuno, se la mamma non mentiva. Ma perché mentirebbe? La proprietà era stata data anche a mia nonna, che laveva ricevuta dal progetto edilizio del suo ufficio di architetti: allepoca tutti ricevevano terreni.

Il padre aveva iniziato la costruzione prima della nascita di mia nipote, e la finiva ancora quando lei era piccola. Perché sei registrata lunica proprietaria? chiese la giovane donna. Perché tuo padre non dava importanza ai beni materiali! Viveva nei suoi sogni! spiegò Maria Serafina, con un sorriso.

Durante la conversazione, il dottor Rinaldi smise quasi per caso di scavare le aiuole, ma con una pala in mano iniziò a puntare il capo verso il basso, quasi per dire: Sono daccordo, cara. Nei suoi occhi cera una soddisfazione morale profonda, non solo professionale.

Le piantine incoltivate si stagliavano al sole, e io rimasi lì, pensierosa, capendo che forse avrei dovuto andarmene. Per i documenti, non avevo alcun legame con la casa di campagna; ero ancora una bambina quando erano stati iscritti i titolari. Allora, senza salutare, presi la macchina e tornai a casa.

Nella mia testa ruotava una sola domanda: perché la madre agiva così, e soprattutto, perché provava una tale ostilità verso la figlia? Forse il dottore, vestito in modo così strano, era la causa. Parallelamente, la casa sembrava impazzita, come diceva la nonna, accadendo ciò che non doveva.

Pensai anche che forse non era lunico tranello nascosto. Forse la casa di città, in cui avevo una quota, avrebbe potuto riservarmi ulteriori problemi: la mamma, improvvisamente, si mostrava intraprendente e astuta.

Marco, mio marito, si spaventò al pensiero della moglie; di solito non tornava prima della sera di domenica, ma adesso era già mezzogiorno di sabato. Che succede con Maria Serafina? chiese, preoccupato per linfarto ischemico che avevano diagnosticato a sua madre.

Io e Marco eravamo sposati da dieci anni, con una figlia di otto anni, Valentina, che passava le vacanze estive al casale con il nonno e la nonna. Quel fine settimana la prese unaltra nonna, la mamma di Marco. Raccontai a Marco la triste notizia: la casa di campagna non ci era più utile e nemmeno lappartamento in città era chiaro.

Ah, la suocera! rispose Marco, sorridendo amaramente. Linfarto non ha impedito nemmeno di farla incazzare! E tu, Livia, non ti ricordi il cognome del suo medico? Quello che gira per il terreno in biancheria!

Si chiama Rinaldi, come un generale! risposi, ricordando unoccasione in cui gli avevo parlato della mamma. Ma senza camice e senza stetoscopio non lo riconobbi più, era un uomo diverso.

Marco cercò su internet e scoprì che il dottor Vincenzo Rinaldi era sposato. Allora come può sposarsi con tua mamma? chiesi. Forse si è separato, il bigamo non è più permesso! ipotizzò Marco. Dobbiamo parlarne con Maria Serafina.

Andammo a trovare lavvocato di Marco, Valerio Venturi, noto per non perdere mai una causa, soprannominato lavvocato del diavolo. Valerio ci spiegò che avremmo potuto tentare una riconciliazione, ma se non fosse bastata, avremmo dovuto andare in tribunale. Perché, in base alla legge, i beni acquistati durante il matrimonio sono comuni, indipendentemente da chi è intestato il titolo; la mamma non aveva costruito la casa solo con i suoi soldi.

Dopo la consulenza, tornammo al casale, sperando di risolvere tutto amichevolmente. Non ci riuscimmo: la mamma non ci lasciò nemmeno entrare. Non voglio trattare con una donna anziana con lischemia! gridò il dottor Rinaldi, trasformato in proprietario ostinato. Allora, Marco e io intentammo causa.

La decisione di andare in giudizio infiammò la madre: Portare in tribunale contro di me? Il padre si girerebbe nella tomba per questa figlia! Hai tradito il nostro lutto, hai portato un uomo sposato nella nostra casa! sbottò Livia, incapace di trattenere le lacrime. Maria Serafina rispose: Non otterrai nulla! La casa è mia, la parte dellappartamento te la darò, ma non ti permetterò di mettere piede sulla nostra terra!

Il tribunale, infine, mi riconobbe un quarto della casa di campagna e un quarto dellappartamento, il resto andò alla madre. Non era la fine del mondo, ma una piccola vittoria.

La madre urlò come una ferita, rifiutando di far entrare la figlia nella sua proprietà. Il giudice ordinò la vendita dei beni, con divisione del ricavato secondo le quote ereditarie, oppure la possibilità di comprarsi a vicenda le quote. Propusi allora di comprare la casa di campagna dalla mamma; lei, nonostante il dolore, accettò, forse per un consiglio di qualcuno.

Fu redatto un atto notarile: se avessi acquistato la casa, rinunciavo alla mia quota nellappartamento di mamma. Così la mamma rimase lunica proprietaria dellappartamento e ricevette una buona somma per la quota ceduta; io ottusi la casa di campagna.

Il signor Rinaldi sparì, lasciando lospedale; forse la pensione era finita o era deluso che la casa non fosse sua. I soldi non risolsero tutto: poi si poteva divorare e rifare un matrimonio con una festa sontuosa, ma a chi serviva?

Maria Serafina, con la sua malattia ischemica, rimase senza controllo medico, ma alla fine fece pace con me. Dopo la sparizione del dottore, tornò ad essere la mamma affettuosa, la nonna e la suocera che avevo sempre conosciuto. Il tutto fu attribuito a una temporanea offuscamento della mente, al Mercurio retrogrado e alla vicinanza di un asteroide sconosciuto alla Terra.

Forse è tutto colpa delle brillanti esplosioni solari, o forse la Terra cambierà inclinazione e sfuggirà allasteroide. Quella è una storia che, anche se sembra impossibile, rimane impressa nel mio ricordo, come un eco lontano di unestate dimenticata.

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