**Diario di un uomo, 15 ottobre**
La vita è fatta di momenti in cui il calore, la compassione e quei secondi preziosi di umanità trovano spazio.
Miava piano, quasi in un sussurro di speranza, come se chiedesse aiuto. Ma i passanti fingevano di non sentire o, forse, non la udivano davvero. Il cucciolo, raggomitolato dalla paura, sobbalzava ogni volta che qualcuno gli passava accanto, e nei suoi occhi si leggeva solo terrore.
Ogni mattina, Camilla percorreva cinque palazzi per raggiungere il parcheggio dove un taxi laspettava per portarla in ufficio. Lavorava come analista finanziario a Milano, un ruolo che le richiedeva di consigliare aziende, individuare inefficienze e ottimizzare processi.
Con una vita così frenetica, il tempo per sé svaniva. Mattina: davanti al computer. Sera: appena la forza di raggiungere il letto. E così, giorno dopo giorno.
Ma questa è solo la cornice. La storia è unaltra.
Per arrivare in ufficio alle otto, doveva essere alla fermata alle sette e mezzo. Quella mattina, però, il taxi non cera, e dovette aspettare. Stava lì, stringendosi nel cappotto contro il vento, quando qualcosa la fece voltare. Forse il fruscio delle foglie, o forse uno sguardo che aveva percepito.
Nello spazio stretto tra due edifici, li vide: una gatta grigia, elegante, e un cucciolo tremante che si stringeva a lei. La gatta ogni tanto lo leccava, poi osservava la gente con occhi guardinghi.
Miava piano, ma nessuno rispondeva. Il cucciolo si ritraeva a ogni passo e si nascondeva sotto il ventre della sua protettrice, che lo avvolgeva con la coda e gli posava il muso vicino, come per rassicurarlo.
Camilla frugò nella borsa, tirò fuori un panino al prosciutto e al formaggio. Il prosciutto lo mise accanto alla gatta, il resto davanti al cucciolo. Lui si rannicchiò sullasfalto, incerto.
La gatta fissò Camilla, miagolò dolcemente, poi le sfiorò la mano con la testa. Infine, si sistemò sopra il cucciolo e continuò a leccarlo mentre lui, tremante, mangiava.
Non si accorse di essere rimasta a guardarli finché non sentì la voce irritata del tassista:
“Ehi! Mi avete sentito o no? Salite, andiamo!”
Il giorno dopo, portò loro del cibo. Nel cuore, sperava di trovarli ancora lì. E cerano. La gatta miagolò felice, il cucciolo scodinzolò. Da allora, ogni mattina lasciò qualcosa per loro, e anche la sera, prima di tornare a casa.
Quel mattino pioveva. Camilla si affrettavala giornata sarebbe stata lunga. Depose il cibo nel loro rifugio, accarezzò la gatta e il cucciolo. Mentre si rialzava, incrociò lo sguardo del portinaio.
“Ecco, altri randagi!” borbottò lui, irritato. “Poi tocca a me pulire questo schifo. Sparite!” Alzò la scopa e fece per colpirli.
Il cucciolo guaì, rifugiandosi dietro la gatta, che si inarcò come una molla, pronta a proteggerlo, chiudendo gli occhi in attesa del colpo.
Camilla non ricordò come finì davanti a loro. Un impulso la spinse a mettersi in mezzo.
La scopa le colpì la gamba e il fianco con un tonfo sordo. Il dolore fu lancinante. Gridò, coprendosi il viso.
Il portinaio impallidì. “Ma io non volevo! Scusi, non lho vista!”
Lei lo ignorò. Guardò solo la gatta e il cucciolo. La gatta la osservava stupita, il cucciolo sbirciava da dietro di lei, scodinzolando timidamente. Camilla si accovacciò, soffocando un gemito, e li accarezzò entrambi.
In ufficio, la capa, vedendola con la gamba graffiata e le calze strappate, esclamò:
“Che ti è successo? Chi ti ha fatto questo?”
Quando seppe tutto, afferrò il telefono:
“Chiamo la polizia ora! Colpire una donna con una scopa? Ma è pazzo!”
“No, per favore,” disse Camilla piano. “Non lo faccia.”
“Ma sei fuori? Non si può perdonare una cosa del genere!”
“Non lo perdono. Solo non voglio che li cacci. Lasciamoli stare.”
“Allora farò così,” disse la capa, decisa. “Domani li porti da me. Li sistemeremo in un rifugio. Uno buono, conosco la direttrice. Staranno insieme. Daccordo?”
Camilla annuì, anche se dentro qualcosa si ribellava.
Passò la notte insonne. Sognò quella parolarifugio. Si svegliava di soprassalto, il cuore in gola. Al mattino, ancora assonnata, preparò il cibo e uscì sotto una pioggia fredda.
Cinque palazzi. Sotto la pioggia. Non molti, ma oggi sembravano infiniti.
Depose il cibo, stava per andarsene
Il tassista suonava il clacson, impaziente. Lei fece un cenno”arrivo”quando un colpo di vento le strappò lombrello. E poi, un miagolio disperato.
Camilla lasciò cadere lombrello, si girò. La gatta le corse incontro, strofinandosi alle sue gambe.
“Che cè, piccola?” sussurrò, accarezzandole il pelo bagnato. “Dicono che il rifugio sia buono starete insieme vi daranno da mangiare”
A chi lo stava dicendo? Alla gatta? Al cucciolo?
A se stessa. Certo, a se stessa.
Il tassista sbatté sul clacson e partì. Un attimo dopo, un tonfo. Un camion uscì da una curva e si schiantò contro il taxi, schiacciandolo contro un muro.
Silenzio. Troppo silenzio, rotto solo dalla pioggia che batteva sulle pozzanghere.
Poi urla, sirene. Tutti corsero verso lincidente. Lei no.
Guardò la gatta.
Seduta sullasfalto bagnato, tranquilla. Il cucciolo le si strinse accanto. Entrambi la fissarono.
Camilla raccolse lombrello, rovesciato, guardò il cielo. La pioggia le scivolava sul viso, non più fredda, ma quasi carezzevole.
Lasciò cadere lombrello. Si tolse il cappotto, lo stese accanto alla gatta.
“Salite. Andiamo a casa.”
La gatta annuì. Prese delicatamente il cucciolo per la collottola. Camilla camminò verso casa, stringendo al petto il cappotto con due piccoli cuori dentro.
E la pioggia continuava a cadere e le goccesalate o noscendevano sulle sue guance.
Il dolore alla gamba era sparito. E per la prima volta da tanto, sorrise.
In lontananza, il portinaio osservava, brontolando:
“Avrà chiamato la polizia Che ti venga” e sputò per terra.
Cinque palazzi. Le restavano solo cinque palazzi da attraversare.
Cinque passi verso una vita nuova.
Una vita dove cè spazio per il calore, la compassione, e quei secondi preziosi di vera umanità.
E la pioggia continuava a scendere. Come se gli angeli piangessero. Per noi. Per la nostra fretta. Per la nostra indifferenza






