La vita è piena di sorprese
“Mamma, esco.” Nella cucina fece capolino Chiara.
Livia si girò dai fornelli e osservò attentamente la figlia.
“Cosa?” Chiara sospirò esageratamente e alzò gli occhi al cielo.
“Niente. Perché così elegante a quest’ora? Ti sei truccata. Hai un appuntamento? Non fare tardi, ok?”
“Ok,” rispose Chiara a malincuore e se ne andò in fretta.
«È cresciuta così in fretta», pensò Livia tra sé. Coprì la padella con il coperchio e si avvicinò allo specchio grande nell’ingresso. «Dove sono finiti i miei diciassette anni? Com’è volato il tempo. Pensavo che davanti a me ci fosse tutta la vita, e invece ne è già passata più della metà. Il liceo sembrava non finire mai, poi la vita è precipitata come una palla giù da una collina. L’università, il matrimonio… La felicità è sbucata come il sole tra le nuvole, per poi scomparire di nuovo.» Si sistemò i capelli. «Va bene. Mia figlia è intelligente e bella… Oh, le patate!»
Livia sussultò e corse in cucina. Afferrò il coperchio della padella, quasi facendolo cadere. Sibilò dal dolore e soffiò sulle dita bruciate. «Mi sono persa a guardarmi allo specchio e ho quasi bruciato tutto…» si rimproverò.
Mangiò senza appetito, poi si sedette a guardare una serie in tv. Fuori stava già diventando buio. Non si accorse di essersi addormentata. A svegliarla fu lo squillo del telefono. Senza guardare lo schermo, pensò fosse Chiara. Chi altro avrebbe potuto chiamarla a quell’ora? Non aveva molte amiche, solo alcune conoscenti dal lavoro, unite dalla solitudine.
Rimase sorpresa sentendo una voce maschile.
“È la mamma di Chiara Rossi?”
“Chi parla?” chiese Livia con prudenza.
“Sono il dottor Mancini dell’ospedale Santa Maria. Deve venire subito, sua figlia ha avuto un incidente e ha bisogno di un intervento urgente. È minorenne, serve il suo consenso…”
“Che intervento?” Livia stentava a riprendersi, ma dall’altra parte già risuonava il segnale di occupato.
Cercò di elaborare quello che aveva sentito. Doveva essere un errore, Chiara era solo uscita a fare una passeggiata. Ma il dottore aveva detto il suo nome. La testa, ancora intorpidita dal sonno, faticava a ragionare. Livia cercò di calmarsi, ripeté mentalmente che doveva andare all’ospedale Santa Maria e chiamò un taxi. Si cambiò in fretta, afferrò la borsa e uscì dall’appartamento. Non aspettò l’ascensore, sarebbe stata più veloce a piedi. Aprì il portone e il taxi era già lì, i fari che abbagliavano.
“Per favore, sbrighiamoci… Mia figlia è in ospedale…” disse ansimando dopo la corsa.
Durante il tragitto, Livia oscillava tra l’impazienza di arrivare per scoprire che era tutto un errore e il terrore che il taxi andasse troppo veloce, avvicinandola a quella disgrazia che le stringeva il cuore.
Entrò di corsa nel pronto soccorso e vide subito un ragazzo con una giacca sporca sulla brandina. Il viso era graffiato, un cerotto sopra il sopracciglio, lo sguardo perso.
“Dov’è mia figlia? Cosa le hai fatto?!” gli si avventò contro, afferrandolo per la giacca e scuotendolo.
“Non è colpa mia! Un’auto ci ha tamponato dalla curva… Ho sterzato, ma ci ha comunque preso… Non è colpa mia!”
“Chi vi ha tamponato? Perché?” gridava Livia, confusa.
“Chi sta urlando?” entrò un dottore anziano. I suoi folti baffi biondi attirarono l’attenzione di Livia. “È la mamma della Rossi? Firmi qui per l’intervento.”
“Che intervento? Perché? Dov’è mia figlia?” continuò a gridare per l’agitazione.
“È incosciente. Ha un’emorragia cerebrale, la pressione aumenta. Se non fermiamo il sanguinamento, lei… Firma qui.” Le porse un foglio.
Le parole le giravano in testa, le righe le sfocavano davanti agli occhi. Livia firmò con mano tremante e cadde sulla brandina accanto al ragazzo. Il dottore se ne andò subito.
“Non capisco… Era solo uscita…” sussurrava Livia, dondolandosi.
“Prima siamo usciti, poi ho proposto di fare un giro in moto…”
Livia si girò di scatto verso di lui.
“È tutta colpa tua! Tu…”
Il ragazzo indietreggiò davanti al suo sguardo carico di odio.
“Non è colpa mia… Non si è nemmeno fermato a vedere se stavamo bene…”
“Matteo! Come stai?” Un uomo alto entrò nel pronto soccorso. Il ragazzo si alzò e gli corse incontro.
“Non è colpa mia, papà. Non andavo veloce… Lui ci ha tamponato… Se non avessi sterzato, ci avrebbe travolti… Un passante ci ha portato in ospedale. Il dottore ha detto che se avessimo aspettato altri dieci minuti, Chiara sarebbe…” Si strinse al padre e scoppiò in lacrime.
L’uomo lo abbracciò e gli accarezzò la schiena.
“Ti credo. Hai visto la macchina? Colore, modello? Dove è successo? Ti prometto che lo troverò.”
“Lo troverete, certo. Vostro figlio non è ferito, ma la mia bambina… Per colpa vostra…” Livia si interruppe e singhiozzò.
“Chi è?” chiese l’uomo al figlio.
“La mamma di Chiara.”
“Dimmi tutto quello che ricordi,” chiese il padre.
“Sì, racconta a papà come hai quasi ucciso mia figlia,” disse Livia tra i singhiozzi.
“Signora, capisco il suo dolore, ma dobbiamo fare chiarezza. Se mio figlio è colpevole, pagherà. Matteo, sai l’indirizzo della ragazza?” Il ragazzo annuì, ancora in lacrime.
“Non è colpa mia…” ripeteva.
“Ecco il mio biglietto da visita. Se ha bisogno, non esiti a chiamare.” Glielo porse, ma lei si girò. L’uomo lo infilò nella borsa aperta. “Andiamo a casa?” disse al figlio.
“E Chiara?” Matteo non si mosse.
“Qui c’è sua madre. Tanto non ti farebbero entrare.” Gettò un’occhiata a Livia. “Posso accompagnarla?”
Lei non rispose, continuando a dondolarsi con le braccia incrociate.
Livia guardò la stanza vuota. Notò una piccola immaginetta sacra incastrata dietro lo specchio sopra il lavandino. Si alzò e vi si avvicinò, le gambe rigide.
“Salva mia figlia! Ha solo diciassette anni. Non posso vivere senza di lei… Ti prego, prendi la mia vita, fa’ tutto quello che vuoi, ma salvala.”
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Continuava a ripetere quelle parole come una preghiera. Qualcuno entrò, le chiese qualcosa, ma lei non osava distogliere lo sguardo dall’immaginetta.
“È ancora qui? L’operazione è andata bene, abbiamo fermato l’emorragia e rimosso il coagulo…” Livia si girò di scatto. Davanti a lei c’era il dottore, stanco e invecchiato, persino i baffi sembravano afflosciati.
“È viva…” La paura si sciE mentre il sole sorse su Roma, Livia capì che la vita, nonostante tutto, aveva ancora il potere di sorprenderla con nuove speranze.