“Lacrime di un uomo orgoglioso”
«Dove vai così elegante?» chiese il vicino, vedendo Enrico in un completo impeccabile e cravatta.
«Al diploma di mio figlio» rispose quello.
«Mamma mia! Come volano gli anni…»
«Anche i nostri» sorrise Enrico.
«Già… Allora, presto sarai libero dagli alimenti?»
Lo sguardo di Enrico si fece così gelido che il vicino si sentì a disagio:
«Che c’entra?»
«Come, che c’entra? Non ti sei mai stancato di dare soldi all’ex?»
«No, non mi sono stancato» sbottò Enrico, lasciando il vicino perplesso e allontanandosi.
Poco a poco, il buonumore tornò. I ricordi affiorarono…
***
Quel giorno, quando la sua vita cambiò per sempre, Enrico era in preda a una totale apatia.
Libero, guadagnava bene, viveva in un bell’appartamento, le donne lo cercavano, il lavoro andava alla grande. Allora perché si sentiva così vuoto? Niente lo emozionava. Non gli importava più nulla.
Uscito dall’ufficio, si accorse che stava per piovere. Il cielo era coperto, il vento soffiava forte.
Chiamò un taxi: l’ultima cosa che voleva era bagnarsi.
La macchina era dal meccanico, e in vita sua Enrico non aveva mai avuto un ombrello.
Si sedette sul retro e sprofondò nel vuoto che lo divorava.
L’autista parlava, cercando di impressionare il cliente ben vestito, mentre alla radio una canzone malinconica suonava…
Enrico odiava quella musica…
Poi, all’improvviso, le parole lo riportarono alla realtà.
*Vivevo senza pensieri, leggero,*
*il sangue ardente come vino.*
*Il suo amore mi sembrava eterno,*
*e non pensavo a altro destino.*
*Ma giorno dopo giorno l’ho ferita,*
*sempre più forte, sempre più.*
*E ho perso il suo amore, la mia vita,*
*i giorni in cui era mia, ormai non ci son più…*
Un dolore viscerale lo trafisse. E capì.
**Ginevra…**
**Ginettina…**
La chiamava così, nei vari momenti della loro vita.
La loro storia d’amore del liceo era finita in matrimonio. Nessuno credeva che Ginevra Castellani, la ragazza più bella della scuola, avrebbe sposato Enrico Romano, il bulletto di cui tutti avevano paura.
Ma lui ci aveva sempre creduto. Senza di lei, non poteva vivere.
Per lei aveva studiato, per lei si era fatto strada nella vita, per lei era diventato l’uomo che era.
E lei…
Lei era sempre stata al suo fianco. Lo amava. Lo coccolava. Lo ispirava.
Gli aveva dato due figli.
Sempre calma, attenta, bellissima.
Mai un rimprovero, mai un lamento.
Era felice così.
E a un certo punto, Enrico aveva pensato che sarebbe stato per sempre. Che lei non se ne sarebbe mai andata. Che avrebbe capito, perdonato.
Poi erano arrivati i soldi, e con loro gli amici, le donne, le serate fino all’alba…
Ginevra taceva. Non chiedeva nulla. Cresceva i figli.
Lui non si giustificava, non chiedeva scusa, non aiutava.
Provvedeva.
Pensava che bastasse.
Si sbagliava.
Un giorno, tutto finì con una frase:
«Enrico, non ti amo più».
«Ma dai!» si confuse lui, «sei stanca. Andiamo a cena…»
Lei mise i piatti in tavola. E disse con fermezza:
«Non hai capito. Dobbiamo divorziare. Non ce la faccio più».
«E i figli?» esclamò Enrico, e rabbrividì dentro per la banalità di quelle parole.
«Certo. Devono vivere nell’amore… non in un matrimonio».
«E allora vattene!» urlò lui, afferrò la giacca e uscì di casa.
Passarono tre giorni. Sperava che lei lo cercasse, lo chiamasse.
Ginevra tacque.
Tornò a casa e trovò le valigie. Le sue. E dei bambini.
«Cosa stai facendo?» chiese.
«Faccio le valigie» rispose lei, calma.
«Perché?»
Lei lo guardò, stupita.
«Basta» fece una smorfia Enrico, «non serve… Me ne vado io…»
E se ne andò.
Le lasciò tutto. La casa, i soldi, i figli.
Non poteva essere altrimenti.
Dopo il divorzio, Ginevra rimase sola per anni. Lui lo sapeva. E capitava quando voleva, portava regali ai bambini, pretendeva rispetto.
Poi Ginevra si risposò.
Enrico impazzì di rabbia. Come osava? Lei! La madre dei suoi figli! Doveva baciargli i piedi per quello che le aveva lasciato, per gli alimenti che pagava!
E iniziò a tormentarla.
Soprattutto quando beveva.
E ultimamente beveva spesso.
Chiamava, mandava messaggi pieni di insulti…
Minacce…
Ginevra ignorava. Finché non lo bloccò ovunque.
Allora cominciò ad aspettarla per strada…
Da sobrio, si odiava. Ma non chiese mai scusa.
La sua vita divenne odio. Verso se stesso, verso di lei, verso il mondo.
Non provava più nulla.
Tutto gli faceva schifo…
***
E ora quella canzone…
«Chi canta?» chiese rauco Enrico.
«Ma come, compare? È Lucio Dalla! Non l’hai mai sentito?»
Enrico non rispose. Dopo un minuto ordinò:
«Gira! Subito!»
Vicino al supermercato, vide una vecchietta con un secchio di margherite. I fiori preferiti di Ginevra.
Fermò il taxi, comprò tutto, lasciò i soldi alla donna sbigottita…
Poi si trovò davanti alla porta.
Il cuore gli martellava.
Finalmente si sentiva vivo…
Suonò il campanello.
Ginevra aprì. Prima si paralizzò. Poi ebbe paura. Poi, vedendo il bulletto che amava da ragazza, ridacchiò. Capì che non era lì per litigare.
«Entra» fece un passo indietro.
Enrico entrò. Le porse i fiori:
«Sono per te. So che ti piacciono».
«Grazie» Ginevra nascose il viso tra i petali.
«Ginettina, chi c’è?» dalla cucina uscì il marito, con un grembiule buffo.
Vedendo Enrico, l’uomo si irrigidì. Le volte precedenti erano sempre finite male.
«Ginevra» sussurrò Enrico, guardandola negli occhi, «ho capito. Ho sbagliato. Ho rovinato tutto. La mia vita non ha senso senza di te e dei ragazzi».
Lei lo fissò, senza parole. Il marito le strinse la mano.
«E tu, Dario, grazie» continuò Enrico, «per essere stato con loro. Al mio posto».
Tese la mano.
Dario esitò, poi gliela strinse.
«Dove sono i ragazzi? Posso vederli?»
«Certo» sorrise Ginevra, «ti aspettano».
Poi cenarono insieme, parlarono a lungo. E decisero:
**Avrebbero mantenuto i rapporti.**
***
Passarono gli anni.
Enrico viveva solo, lavorava tanto. Ma trovava sempre tempo per i figli.
Era un ospite fisso in casa di Ginevra e Dario.
Vacanze, feste…
Con Dario nacque un’amicizia, grazie alla pesca.
Anche i ragazzi siE ora, mentre vedeva suo figlio sorridere in quel giorno così importante, Enrico capì che la felicità non è possedere, ma amare senza pretendere nulla in cambio.