L’amore che divide: una storia di cuori intrecciati

Oggi è uno di quei giorni in cui il cuore pesa più del solito. Sono seduto alla finestra del mio modesto appartamento in campagna, a San Gimignano, e vedo i bambini giocare nella piazzetta. Incontrova a me, come un foglio piegato sento il peso di un telegramma cheggiato dall’ufficio postale. “Mio caro Enzo, torna presto, Anna è in grave pericolo. Maria.”

Cinquanta anni di amicizia. Cinquanta anni in cui abbiamo condiviso gioie e dolori, segreti e sogni. Ma c’è sempre stato un’unica verità che non sono mai riuscito a confessarle: l’ombra di un sentimento che mi ustionava il petto da venticinque anni.

Era il 1989. Anna aveva ventidue anni, io ventidue. Lavoravamo entrambi in un negozio di libri a Firenze, abitavamo nel medesimo palazzo, separati da una sottile parete. Ogni sera scendevamo al bar, ordinavamo un cappuccino, parlavamo fino a notte fonda. Poi è arrivato Luca, alto, snello, con i capelli neri e gli occhi marroni che sembravano guardarci dentro. Lui e Anna si sono innamorati in un batter d’occhi, io… sono rimasto invisibile.

“Enzo,” mi sussurrava lei tra un riso e l’altro, “credimi, mai provato qualcosa così. È pazzesco.”
Io tacevo, fissando il muro, mentre dentro urlavo: “Anch’io, Anna. Anch’io sono pazzo per lui.”

Luca era galante, toccava con delicatezza la vita di Anna: regali, passeggiate, poesie buttate giù in fretta. Io dovevo giocare a essere il suo migliore amico, sorridergli con aria complice e soffocare il dolore dentro di me. Perché Luca era l’uomo che avrei scelto da altri, se solo le regole non fossero state così dure.

“Enzo,” mi baciava su una guancia dopo ogni incontro, “è felice. Ha detto che non vive senza di me.”
“E io?” bisbigliavo, ma non osavo nemmeno formulare la domanda.

Il matrimonio fu uno splendore. Io ero suo testimonial, bevendo l’aretino migliore e fingendo allegria mentre l’anima mi gridava. Quando partirono per la luna di miele, mi attaccai al telefono per giorni, scappai in montagna per un mese. Non sapevo più che razza di uomo fossi, schiavo di un sentimento proibito.

Anna aveva un bambino, Matteo. Fu battezzando lui che capii di dover sparire per sempre da quella vita. “Non può crescere con un padre che vede un uomo dietro una finestra,” mi dissi. Da quel momento andai a lavorare a Roma, studiai legge per diventare avvocato, sposai una donna “normale” che non avrebbe mai capito, ma che mi diede pace.

Non mi parlavano più. Tranne le lettere. “Luca è troppo occupato, non si sente bene,” mi diceva Maria. “Non so che dirti, Enzo,” confessava. Un giorno, vent’anni dopo, tornai a Siena. Incontrova a me, come un fantasma, vidi Anna abbracciare un uomo. Non era Luca. Era invecchiato, pallido, con una barba non rasata. Ma gli occhi… gli stessi occhi che anni prima mi rifiutavano l’amore.

“Enzo,” disse senza sorpresa. “Ti stavamo aspettando.”
“Perché?” balbettai.
“Per Matteo. È malato.”

Lo guardai per un’ora senza parlare. Lui si mise a sedere, aprì un pacchetto di cicchetti, mi ne offrì uno. “Non hai mai provato ad amare un uomo che non è tuo fratello, né tuo cugino, ma chi si siede a tavola con te ogni sera.”
“Ho amato te,” dissi. “Ogni volta.”
“Lo sai che anch’io. Ma era impossibile.”

Mi guardò come se volesse dire di più, ma non ci fu tempo. Anna morì tre mesi dopo, con Matteo al letto. Luca rimase, solo. Non si sposò mai, non “si sistemò”. Abitò sempre sola un cottage vicino San Gimignano, con il nostro uccellino e le sue cartelle di vecchie lettere.
“Perché hai aspettato tanto?” gli chiesi, mentre la sua mano tremava sulla mia.
“Non sapevo come salvare la felicità di qualcun altro senza perdermi me stesso.”

Oggi, mentre scrivo questa pagina, sediamo insieme in un bar a Siena. Portiamo anelli identici, non ceriamo mai in televisione, ma ogni sera ci baciamo, ascoltiamo musica, e lui mi dice: “Non ho mai smesso di amarti, Enzo. Solo che non sapevo che il cuore può aspettare cinquant’anni per svegliarsi.”

Ho imparato che talvolta l’amore non corre, non urla, non cattura i cuori con squilli di trombe. L’amore, a volte, si nasconde per decenni, come un vino invecchiato, e quando senti il bisogno di lui, ti svela che è l’unica cosa che non ti ha mai abbandonato.

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