L’amore sale dal piano di sotto

**Il vicino di sotto – l’amore di sopra**

Alzai gli occhi con fastidio all’orologio: la mattina era appena iniziata, eppure la giornata era già rovinata. Invece di valigie, biglietti e della tanto attesa partenza al mare con Elisa, mi ritrovavo nel solito, umido androne della vecchia palazzina di cinque piani. Stessa storia di sempre. Mia sorella Valeria, lacrime, termometro e la solita frase: “Resta con i bambini, non ho nessun altro a cui chiedere…”

Non volevo. Davvero. Volevo essere un uomo in vacanza, con una donna, un cocktail in mano. E invece: due nipotini urlanti, uno zaino pieno di giochi e l’alito pesante della vicina che, aprendo la porta, esclamò:

— Vito, ma questi chi sono? Ti sei sposato?

Caterina – la vicina del piano di sotto. Rossa, vivace, con occhi furbi come una volpe. Le avevo allagato l’appartamento due volte prima che i proprietari cambiassero il rubinetto. Sua madre, una donna buona, non aveva chiesto un soldo, e da allora Caterina mi faceva l’occhiolino. Mi sembrava ancora una ragazzina.

— Non hai lezione? Lo dico a tua madre! — sbuffai, osservandola arrossire.

— Ho già finito il liceo! Ora cerco lavoro! — rispose, slanciandosi con lo zaino in spalla.

— Sembri proprio una che marinava la scuola. Guardati allo specchio!

Ridemmo, e Caterina sparì dentro casa, mentre io andavo a prendere la macchina – vecchia, ma mia, comprata a rate. Elisa, ovviamente, aveva storto il naso: “Potevi prendere qualcosa di meglio.” Ma ne ero orgoglioso lo stesso. Sono testardo. Avrei avuto tutto: casa, macchina, successo, Elisa.

Ma non oggi.

Oggi c’erano il traffico, i sedili appiccicaticci, i bambini che strillavano sul sedile posteriore e mia sorella in lacrime:

— Scusa, Vito, davvero, non ho nessun altro…

Valeria era in ospedale, e nostra madre si era ammalata per lo stress. E nostro padre… Beh, Roberto era nostro padre solo sulla carta. Bere, far festa, sparire: quello sapeva fare.

I bambini mi si aggrapparono al collo: “Zio Vito!” Li abbracciai, promisi loro un gelato e li portai nel mio monolocale in affitto.

Caterina mi capitò di nuovo davanti nell’androne.

— Tutto tuo? — chiese, sgranando gli occhi.

— Sì, li ho raccolti alla fermata — dissi ridendo. — Mi sono distratto un attimo, e questi si sono attaccati.

I bambini risero, mentre Caterina sembrò imbarazzata. Mi affrettai a precisare:

— Scherzo, sono i miei nipoti. Mia sorella è in ospedale, li tengo io.

In casa, i bambini scatenarono subito il caos. Preparai loro la frittata, li portai al parco, comprai patatine e palloncini. Erano felici. Ma al terzo giorno iniziarono i capricci: Mariella si lamentò per il colpo di freddo, Nicola per il mal di pancia. Piagnucolii, lacrime, “vogliamo la mamma”…

Bussarono alla porta. Aprii: era Caterina.

— Li ho sentiti piangere… Posso aiutare? Ho frequentato l’istituto medico.

Entrò, tirò fuori dei vecchi giochi, mise a letto i bambini piano piano, avvolse la sciarpa al collo di Mariella e accarezzò la pancia di Nicola. Lui si addormentò tra le sue braccia prima che potessi dirle “grazie”.

— Vieni in cucina, ti preparo almeno un panino — mormorai, chiudendo la porta della camera.

Ci sedemmo in cucina. Caterina, sorseggiando il tè, chiese:

— E la tua… quando li riprende?

— La mia? Ma no! È mia sorella. Io non ne ho, di figli. E per ora non è in programma.

Sorrise, e capii che era autentica. Accogliente. Calda. Non come Elisa, non come nessuna prima di lei.

Caterina rimase un altro giorno. Poi due. Poi per sempre. Insieme portavamo i bambini al parco, cucinavamo, ridevamo. E quando la venditrice di palloncini disse: “Che bella famiglia!”, sentii un groppo al petto. Guardai Caterina, i bambini, e non volevo che finisse.

Elisa chiamò dopo una settimana. La sua voce era gelida:

— Dove sei? Nessuna notizia. Tanto mi è già tutto chiaro.

E quello che provai fu: niente.

Quando dimisero Valeria, i nipoti chiesero:

— Zio Vito, possiamo tenere Caterina? E tu la ami?

Mariella, senza aspettare la risposta, sbottò:

— Lo so che la ami. E anche lei ama te. Porteremo il velo al vostro matrimonio.

Caterina arrossì, accarezzò i bambini imbarazzata, mentre io guardai lo specchio e pensai: “Grazie, Signore, per questa ragazza rossa del piano di sotto.”

E quando arrivammo a casa, Valeria uscì con nostra madre, vide Caterina e alzò le braccia al cielo:

— Finalmente hai trovato qualcuno! Che brava ragazza! Caterina? Benvenuta in famiglia!

Io sorrisi soltanto.

Tornammo in silenzio. Poi Caterina mi disse:

— Hai una macchina così accogliente. E poi… con te mi sento al sicuro.

E io risposi semplicemente:

— Domani andiamo al parco insieme? E pranzo da me, resta ancora la tua minestra – senza di te non ha nemmeno sapore.

Tre mesi dopo ci sposammo.

A volte il destino regala la felicità dove meno te l’aspetti. A volte vive un piano più sotto. Rossa, con uno zaino, con mani gentili che asciugano anche le lacrime dei bambini.

E io sapevo: questa era la mia famiglia. Per sempre.

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