L’Anima dagli Occhi Azzurri

Il sole destate brillava con rabbia sul campetto di pietra. Il caldo avvolgeva il villaggio di San Gervasio, e io, Sergio, camminavo dalla fermata dellautobus con una grossa borsa sportiva piena di modeste cianfrusaglie di uno studente al secondo anno. Indossavo un completo sportivo di poco valore, guadagnato con qualche giorno di scarico dei vagoni del treno; così potevo comprare qualche novità per me e per la famiglia.

Aggiravo il vecchio club rurale e mi avviai verso la strada che conduceva alla casa di famiglia. Allingresso del piccolo casolare mi trovò la vicina, Antonietta Bianchi, i capelli argentei sventolati dal vento. Lo sguardo suo, fisso su di me, sembrava attraversare lanima. Mi sembra di spiare dentro il cuore, pensai, rabbrividendo.

Buongiorno, Antonietta! esclamai.

Buongiorno, Sergio, rispose lei dolcemente, come il fruscio di una brezza autunnale. Il suo sguardo mi accompagnò fino al tornante dove gli alti pioppi del nonno, ancorati al nostro orto, salutavano la porta.

Figliolo! mi avvolse forte la madre, mentre la sorellina più piccola saltellava attorno a noi e la nonna, con un sorriso, mi accarezzò la testa. Come sei cresciuto!

Mamma, ci siamo visti solo un mese fa, prima della sessione! raccontai, sollevando sulla spalla la piccola Ginevra, di dieci anni, che strillava di gioia.

Quando è stato? rise la madre. Hai finito tutto?

Sì, ora sono al terzo anno! proclamai fiero. E la borsa di studio è aumentata!

Che bel ragazzo! lodò la nonna, accarezzandomi di nuovo. Hai davvero cambiato aspetto!

Nonna, ma io non sono più un bambino! arrossii. Dovè papà? chiesi, tirando fuori dalla borsa dei regali per la famiglia.

Al lavoro, dove altro! rispose la madre, osservando il delicato ciondolo che le avevo offerto. Grazie, caro!

Mamma, guarda che bel capo! esclamò Ginevra davanti allo specchio, provando la nuova giacca. Tutte le ragazze della classe ci invidieranno. Che peccato fosse già vacanza!

Hai conquistato tutti! sorrise la nonna, avvolta in un nuovo scialle di piuma.

La madre mise la tavola, e la famiglia si sedette a pranzo. Le chiacchiere animate non si placarono; tutti ridevano e si scambiavano novità finché un pensiero mi colpì.

Mamma, dissi a Elena, la nonna, perché la vicina, la signora Tonina, mi fissa così? Dovunque vada, mi segue fino al cancello, senza mai distogliere lo sguardo. Oggi è stato lo stesso. Non sapeva che sarei venuto, ma sembrava aspettarmi.

È la nonna a spiegartelo meglio di me mormorò la madre. Sembri tanto tuo padre, e lui somigliava a tuo nonno. Antonietta amava molto il nonno.

Allora costruimmo quella casa insieme a tutto il villaggio, e qui conoscemmo i vicini: la giovane coppia Tonina e Vito. Si aiutavano, si volevano bene.

Tonina si sposò presto, a diciotto anni, dopo aver vissuto con la zia, che laveva cresciuta fatta da serva fin dal decimo compleanno. La zia era severa, non risparmiava la bambina: la puniva per ogni piccolo errore. Un giorno, mentre Tolomeo, il capraio, rimproverava Tonina, vidi sulle sue mani cicatrici antiche.

Che cosa è questa? chiesi.

È il segno di quando ho cercato di scacciare una mucca dal campo di erbacce rispose, piangendo. Lì la zia mi ha picchiata così tanto che non ho potuto alzarmi per due giorni.

La zia aveva sposato Vito per convenienza, e il marito morì in circostanze oscure; la madre di Tonina, rimasta sola, si spense di dolore. Così Tonina rimase orfana. La zia vendette la casa di famiglia, rimase senza dote, e legò Tonina a Vito, un uomo più anziano di dieci anni, con qualche risparmio. Antonietta, ancora vedova, rimase nella stessa dimora, con terreni e bestiame, ma senza più desideri per la giovane.

Tonina, senza nessuno a cui rivolgersi, accettò il matrimonio. Antonietta era una brava padrona di casa, ma non amava Vito; lui, a sua volta, ladulava solo perché giovane e bella. Io, Sergio, non potevo credere che Antonietta fosse ora ridotta a una vecchia fragile, con i capelli grigi e lo sguardo spento, quando una volta era una fanciulla slanciata, occhi azzurri come il mare, capelli castani intrecciati in una treccia che raggiungeva la vita.

Spesso vedevo i lividi sul suo viso e chiedei:

È Vito? domandai.

Sì mormorò, senza risposta. Nelle sue occhiaie cè tutta la sofferenza di una vita non vissuta.

La madre di Vito, Petronilla, non riusciva a concepire figli, e Vito si infuriava, a volte colpiva la moglie per un’ora. Lo sentevo lamentare in tutto il villaggio, ma Antonietta non piangeva; era cresciuta credendo che nessuno la salvasse. A volte venivano a casa nostra la sera, cantavamo insieme; la voce di Tonina, dolce e vibrante, faceva fremere il cuore. Il nonno, Kolya, cantava nei cori della chiesa.

Alla fine, Vito divenne sbirro, girovagava per le strade e arrestava gente; Tonina usciva quasi mai di casa, come se volesse svanire. Il suo unico conforto erano le lettere che aspettavo, ma il tempo passava senza notizie. Quando finalmente arrivò la prima missiva di Kolya, Tonina correva alla posta, la vecchia Valeria, che portava la borsa di posta su tutti i tetti del villaggio.

Per favore, dammi la lettera di Kolya! implorò Tonina, le lacrime scivolavano.

Non ho una lettera per te rispose Valeria, seccando la faccia. È per la tua moglie, Galia. Non posso darla a te.

Non farò nulla con essa! protestò Tonina, gli occhi rossi. Voglio solo sentire la sua calligrafia.

Alla fine Valeria cedette, ma la avvertì di non bagnare il foglio. Tonina strinse la missiva al petto, come se fosse un tesoro.

Io, Sergio, mi chiesi da dove sapesse tutto. Valeria rispose:

Non lho sentito, ma lo sentivo quando doveva arrivare. E tonnellò al lavoro, lo vidi.

La guerra scoppiò, e Kolya partì al fronte; aveva solo un anno, e il villaggio lo salutò con tutti i cuori in mano. Ricordo ancora la stazione, il treno pronto a partire, e il suo sguardo pieno di dolore e amore che non riusciva a esprimere. I suoi occhi castani, i capelli scuri, era bello come un sogno.

Quando il treno partì, le donne corsero dietro a lui, io compreso, e la sua figura scomparve tra la folla. Prima di partire, Kolya piantò due pioppi davanti alla nostra casa, dicendo: Albero piantato, casa costruita, figlio nato.

Tornerò, promise, con la moglie e il bambino, proprio come te, Galia!

Aspettammo. I giorni divennero mesi, la speranza si affievolì, ma non morì. Tonina, con gli occhi azzurri come il mare, si avvicinò al cancello e piangeva, dicendo di amare Vito ma di non poter vivere senza di lui.

E Vito? le chiesi. Sei diversa da me.

È mio marito rispose, e non posso fuggire da questo amore, per quanto doloroso.

Le lacrime cadevano, ma il dolore era condiviso. Anche Galia piangeva, tenendosi la mano al cuore, mentre la nonna Valeria portava una lettera di lutto: Il vostro marito è caduto in battaglia. Galia, incinta, rimase svenuta; fu salvata appena in tempo.

Il villaggio si riprese, la vita continuò con i campi, le mietiture, le vendemmie. Ma le parole di Kolya, in una vecchia scatola di legno, arrivarono solo dopo la sua morte. Valeria la consegnò a noi due, con voce rotta:

È lultima sua lettera.

Allora aprimmo il triangolo di carta ingiallita e leggiamo, parola per parola, il messaggio del nonno:

«Cara Galia, mia dolce sposa,
so che ti ho scritto solo ieri, ma il cuore mi spinge a scriverti ancora. Vorrei tornare a casa, abbracciarti, stringere nostro figlio, mangiare una mela dal nostro albero. Nessun giorno passa senza che io pensi a te, al tuo lavoro in giardino, al canto della ninna nanna al nostro gattino grigio. Come sta la nostra famiglia? Quanto mi mancate!
Oggi mi sono guardato allo specchio, e vedo un uomo un po trasandato, barba nera, quasi un zingaro. Non ho tempo per la rasatura, ma il pensiero di te mi fa sorridere.
Sogno spesso la casa, te con il bambino, i pioppi che ho piantato, il fiume allorizzonte E mi sveglio felice, ma è solo un sogno.
Ancora sogno la tua anima, Tonia, che cammina accanto a me, piange e chiede di non soffrire più. Ti prego, Galia, porta la tua anima al nostro figlio, non farci più male con il tuo amore.
Ti amo, oggi, domani, per sempre. Sarò con te nel soffio del vento, nel sorriso del nostro figlio, nel primo raggio di sole.
Ti amo, mia cara Galia, e il nostro glorioso figlio»

Il silenzio cadde sulla stanza; Galia guardò fuori dalla finestra con occhi bagnati, mentre Elena e la piccola Ginevra si sedevano in silenzio. Quando lessi la data, il cuore mi si strinse: era il giorno in cui Kolya cadde sotto i fuochi nemici. Tonina pianse per lungo tempo, perché avevamo letto insieme quella missiva.

Galia diede alla luce un bambino, lo chiamò Nicola. «Ho lasciato andare lanima di Kolya», disse, «e finalmente è libero».

Da quel giorno non arrivarono più lettere; né Tonina né io trovammo altro marito. Eppure, quando guardo il cielo, sento la presenza di Kolya, il suo sguardo vigile tra le fronde dei pioppi. Il vento caldo mi accarezza, è il suo abbraccio.

Sergio, ormai anziano, esce dal cortile e sente la voce di Antonietta, la vecchia vicina, chiamarlo dal cancello.

Vieni qui, ragazzo! sussurra.

Antonietta, con la sua anima dagli occhi azzurri, mi accoglie, accarezzando i miei capelli con una mano rugosa.

Sei proprio come tuo padre dice, sorridendo. Grazie, cara, e buona fortuna.

Resto a guardare la strada, ascoltando il fruscio delle foglie dei vecchi pioppi del nonno, e per un attimo sento passi leggeri nel giardino: è la anima di Tonia, la dolce anima dagli occhi blu, che ancora cerca lamato.

Lamore non invecchia, non muore; vive in ogni ricordo, in ogni albero piantato, in ogni soffio di vento. E così continuo a credere che, nonostante tutto, la vita continui a intrecciare le nostre storie, come le radici dei pioppi che hanno visto passare generazioni.

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