L’Appartamento, ovvero La Storia di una Famiglia
Ginevra camminava lentamente da scuola, chiedendosi come fare perché sua madre non scoprisse quel due sul registro. Magari non fosse nemmeno a casa! Allora avrebbe nascosto il diario e detto di averlo dimenticato in classe. Ma domani? Non poteva fingere di perderlo ogni giorno. Prima o poi sua madre l’avrebbe scoperto.
«Oggi lo nascondo, domani cercherò di rimediare. Così non mi sgriderà troppo», decise Ginevra, accelerando il passo.
Sua madre le ripeteva ogni giorno che doveva studiare sodo. Primo, per non disonorare il cognome di suo padre, un professore universitario. Secondo, per tenere la mente attiva. C’erano predisposizioni genetiche a certe malattie, e sua nonna aveva avuto l’Alzheimer. Era morta quando Ginevra aveva due anni.
Entrò in casa con cautela, cercando di non sbattere la porta. Il cappotto di sua madre era appeso all’attaccapanni: era lì. A passi felpati, raggiunse la sua stanza, nascose il diario sotto il cuscino e solo allora tirò un sospiro di sollievo. Si cambiò e si mise subito a studiare. Rileggé persino due volte il capitolo di storia, eppure sua madre non fece capolino. Strano, non era da lei.
Aprì la porta e tendé l’orecchio. Silenzio totale. Forse si era sentita male e dormiva? L’appartamento era grande, con soffitti alti e finestre ampie, nel cuore di Roma. I mobili erano massicci, antichi e scuri. L’ingresso, pieno di armadi, sembrava un corridoio buio e interminabile.
Poi, nel salotto, rintoccò l’orologio a pendolo. Ginevra trattenne un grido. Si ricordò che era solo quello del nonno e si calmò. Attraversò il corridoio e sbirciò in cucina. Sua madre era seduta al tavolo, la testa appoggiata sulle braccia incrociate.
«Mamma», chiamò Ginevra, toccandole una spalla.
Sua madre alzò lo sguardo, gli occhi gonfi di pianto.
«Papà è morto. Durante una lezione…», disse con una voce spenta.
La strinse a sé e scoppiò in singhiozzi, affondando il viso nella sua spalla. Ginevra resisté un attimo, poi anche lei scoppiò a piangere.
Il giorno dopo non andò a scuola. Non era il momento di pensare ai voti. Andarono all’ospedale, poi all’obitorio, dove sua madre portò il vestito migliore di suo padre e le scarpe quasi nuove, poi altrove.
Ai funerali c’era molta gente, soprattutto colleghi dell’università dove insegnava e dirigeva la cattedra. Ginevra non lo riconobbe. Nella bara c’era un vecchio sconosciuto. Ma sua madre piangeva su di lui, mormorando: «Come faremo senza di te? Perché ci hai lasciate…»
Dopo i funerali, sua madre passava le giornate a letto, in lacrime, senza mangiare. Ginevra si cucinava pasta o i tortellini. Quando finirono, chiese i soldi a sua madre.
«Prendi», le disse, senza neanche chiederle perché.
Ginevra comprò salsicce, pane e due pacchi di pasta.
Un giorno tornò da scuola e trovò sua madre ai fornelli, intenta a preparare la minestra. Ginevra fu felice.
«Come va a scuola? Cosa hai mangiato tutti questi giorni?», chiese sua madre. Ginevra le raccontò. «Perdonami. Mi sono dimenticata di te. Ma andrà meglio. Domani andrò al dipartimento di papà a chiedere un lavoro. Non mi diranno di no, vero? Dobbiamo andare avanti.»
Sua madre era dimagrita e pallida, diversa da come era stata quando suo padre era vivo. Ma almeno non piangeva più, e questo era già qualcosa.
Il nuovo direttore del dipartimento, un ex allievo di suo padre, la assunse come assistente di laboratorio. Con la sua laurea incompleta, non poteva insegnare. Lo stipendio era misero, e le proposero di fare anche le pulizie al dipartimento. Accettò, ma lavorava di sera, quando i professori se ne erano andati.
«Che vergogna. La moglie di un professore che lava i pavimenti», sospirava.
Ginevra spesso andava ad aiutarla.
Ma i soldi non bastavano mai. Sua madre vendette tutti i suoi gioielli d’oro alle colleghe del dipartimento, accettando qualsiasi offerta. Presto non ne rimase più neanche uno.
Una vicina si presentò e le propose di comprare qualche mobile. Ma sua madre rifiutò.
«L’appartamento senza mobili non sarebbe più lo stesso», disse.
«Se cambi idea, fammelo sapere. Ma non offrirò più lo stesso prezzo», replicò la vicina, risentita, prima di andarsene.
Ginevra chiese perché tenesse tanto ai mobili, mentre aveva venduto tutto l’oro.
«Sei ancora ingenua. Questi mobili sono antichi. Si trovano solo nei musei. Non li vendettero neanche durante la guerra.»
E le raccontò come erano finiti in quell’appartamento.
Era arrivata dall’università da un paesino, viveva in un dormitorio. Suo padre era docente, ancora assistente. Se ne innamorò, benché fosse molto più grande. Tennero nascosta la relazione. Quando rimase incinta, lui la portò a casa sua.
Si sposarono, anche se la madre di lui disapprovava la scelta del figlio. La tormentava, la considerava indegna del loro nobile cognome.
«Volevo andarmene, ma tuo padre mi difese. Litigò con sua madre. Poi sei nata tu. La nonna si calmò, si rassegnò. Un giorno uscì a fare la spesa e non tornò. Tuo padre la cercò in tutta la città. Fu una vicina a riportarla a casa. La vide alla stazione, voleva andare alla casa in campagna, ma non ricordava dove fosse. Aveva dimenticato che l’avevano venduta dopo la morte di suo marito, il padre di tuo padre.»
«Dimenticava di chiudere il gas e l’acqua. Dovevamo controllarla ogni minuto, e tu eri piccolissima. Fu durissimo. Per due anni mi presi cura di lei. Alla fine non riconosceva più nessuno…»
Quando morì, trasformai la sua stanza nello studio di tuo padre. Lavorava tanto, scriveva, pubblicava su riviste accademiche. Ti ricordi quanto era buono? Io lo amavo. Anche se negli ultimi anni fu difficile. Ottenne la cattedra da professore, ma gli costò ogni energia. E io ero ancora giovane…»
«Anche lui iniziò a dimenticare, come sua madre. A volte si bloccava durante le lezioni, non ricordava i termini. Aveva paura di essere mandato in pensione. Il cuore non resse.»
Ginevra era all’ultimo anno del liceo quando sua madre portò a casa Vittorio.
«Lui vivrà con noi?», chiese, contrariata.
«Non beve, guadagna bene. Sarà più facile. Non dovrò più pulire il dipartimento.»
Vittorio non le piaceva. Lo evitava, mangiava persino da sola. Sua madre disse che aveva divorziato, lasciando casa e figlia all’ex moglie.
Un giorno, Ginevra lo vide accarezzare i mobili con avidità. Provò a insinuare che si fosse sposato con sua madre per l’appartamento e i mobili. Ma sua madre non voleva sentire, parlava d’amore, di quanto fosse dura essere sola… Vittorio era più giovane di suo padre, persino di sua madre.
Per mesi andò tutto bene. Sua madre tornò a sorridere, a vestirsi con cura. Poi si ammalPoi un giorno Ginevra scoprì che Vittorio aveva versato del veleno nel suo tè, ma prima che potesse bere, Niccolò, il giovane poliziotto che aveva incontrato mesi prima, irruppe in casa con una squadra e lo arrestò, salvandole la vita e chiudendo per sempre il capitolo più oscuro della sua storia.