L’arroganza dei mediatori rischia di rovinare la mia vita: la tentazione di chiudere la porta in faccia è forte.

A volte mi viene voglia di sbattere la porta in faccia ai suoceri – la loro sfacciataggine sta distruggendo la mia vita.

In un paesino vicino a Siena, dove le vecchie recinzioni custodiscono i segreti delle chiacchiere di paese, la mia vita a 33 anni si è trasformata in uno spettacolo senza fine per i miei suoceri. Mi chiamo Giulia, e sono sposata con Marco, i cui genori, Rosa e Luigi, hanno fatto della mia casa la loro tavola calda. Le loro visite settimanali, la loro arroganza e indifferenza mi spingono alla disperazione, e non so come fermarle senza rovinare la mia famiglia.

La famiglia che volevo accontentare

Quando ho sposato Marco, sognavo serate in famiglia, bambini, armonia. Marco è buono, lavoratore, e lo amavo con tutto il cuore. I suoi genitori, Rosa e Luigi, sembravano persone normali: schietti, di campagna, con una risata fragorosa e l’abitudine di dire tutto senza filtri. Pensavo di poterci andare d’accordo. Ma dopo il matrimonio, la loro “schiettezza” è diventata sfacciataggine, e le loro visite una tortura.

Viviamo in un piccolo appartamento comprato con un prestito. Nostro figlio, Luca, di tre anni, è il centro del nostro universo. Io lavoro come impiegata in un’azienda locale, Marco è meccanico. La vita non è facile, ma ce la caviamo. Però ogni domenica, puntuali come un orologio, i suoceri si presentano e la mia casa diventa la loro proprietà. Non chiamano, non avvisano – arrivano e io, come una sciocca, mi affanno a preparare da mangiare.

Sfacciataggine senza limiti

Arrivano a mani vuote, ma se ne vanno più che sazi. Rosa si siede e ordina: “Giulia, versami la pasta, ma fate in modo che sia al dente!” Luigi chiede carne e vino, e io, come una cameriera, corro tra i fornelli. Quando se ne vanno, restano montagne di piatti, briciole sul pavimento e il frigo vuoto. Una volta ho calcolato: in una sola visita hanno divorato mezzo chilo di carne, una dozzina di uova e un litro e mezzo di vino. E non dicono neppure “grazie” – per loro è scontato.

Ma la cosa peggiore è il loro atteggiamento. Rosa critica tutto: come cucino, come cresco Luca, come pulisco. “Giulia, questa pasta è scotta, e il bambino è pallido, non lo nutri abbastanza,” dice, divorando il mio cibo. Luigi annuisce, mentre Marco tace, come se fosse normale. Ho provato a far capire che è troppo per me, ma mia suocera mi liquida: “Sei giovane, devi darti da fare”. La loro arroganza è come veleno che lentamente mi avvelena la vita.

Il silenzio di mio marito

Ho provato a parlare con Marco. Dopo l’ultima visita, mentre lavavo i piatti fino a mezzanotte, gli ho detto: “Marco, loro vengono qui come al ristorante, e io non ce la faccio più”. Lui ha scrollato le spalle: “Mamma è così, sono abituati. Non farne una tragedia”. Le sue parole mi hanno trafitto. Davvero non vede che sono allo stremo? Lo amo, ma il suo silenzio mi fa sentire sola nella mia stessa famiglia. Sento di combattere non solo contro i suoceri, ma anche contro di lui.

Luca, il mio piccolo, sente la mia tensione. Mi chiede: “Mamma, perché sei triste?” Sorrido, ma dentro tutto urla. Voglio che mio figlio cresca in una casa piena d’amore, non di rabbia. Ma ogni visita è uno stress che non posso nascondere. A volte sogno di sbattergli la porta in faccia, ma ho paura: cosa dirà Marco? Cosa penseranno i vicini? E come farò a convivere con il senso di colpa?

L’ultima goccia

Ieri sono tornati. Ho cucinato per ore: pasta al ragù, scaloppine, insalata, tiramisù. Hanno mangiato, hanno detto che era buono, ma nessun grazie. Quando ho chiesto a Rosa di aiutarmi coi piatti, ha sbuffato: “Cosa sono, la tua domestica? Sei la padrona di casa, arrangiati”. Marco è rimasto zitto, e qualcosa dentro di me si è rotto. Non voglio più essere la loro cuoca, la loro sguattera, la loro ombra. La mia casa non è la loro trattoria, e io non sono la loro serva.

Ho deciso. Porrò un ultimatum. Dirò a Marco: o parla con loro, o smetto di riceverli. Che vengano con del cibo, che aiutino, o che non vengano affatto. So che scatenerà un putiferio. Rosa mi chiamerà ingrata, Luigi brontolerà, e Marco forse si offenderà. Ma non posso più vivere in questa schiavitù.

Il mio grido di libertà

Questa è la mia rivendicazione del diritto a essere padrona della mia vita. I suoceri forse non capiscono quanto la loro arroganza mi distrugge. Marco forse mi ama, ma il suo silenzio mi lascia sola. Voglio che la mia casa sia mia, che Luca veda una madre felice, che io possa respirare. A 33 anni, merito rispetto, anche se dovessi sbattergli la porta in faccia.

Non so come andrà la discussione con Marco, ma so che non tornerò indietro. Sarà una battaglia, e sono pronta. La mia famiglia sono io, Marco e Luca, e non permetterò a nessuno di trasformare la mia casa nella loro mensa. Che le loro mani vuote restino a loro, mentre io mi riprendo la mia dignità.

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L’arroganza dei mediatori rischia di rovinare la mia vita: la tentazione di chiudere la porta in faccia è forte.