La Signora
Alessandra entrò nella carrozza della metropolitana e si lasciò cadere sul sedile. E perché mai aveva messo quegli stivali col tacco? Ah, sì, perché a qualunque età una donna deve sembrare una donna.
Guardò il suo riflesso nella finestra scura di fronte a lei. Non male, davvero. «Soprattutto quando hai dormito bene, ti sei messa un quintale di trucco e non ti guardi allo specchio ma in un vetro buio», le sussurrò quella vocina interiore.
«Sì, gli occhi sono tristi. Forse per la stanchezza». Distolse lo sguardo. «Dovrei vestirmi in modo più adatto alla mia età, almeno evitare i tacchi», decise. «Oh, arrivare presto a casa, togliermi questi maledetti stivali, liberarmi di quel pesante cappotto. E perché mi sono conciata così?»
Da tempo nessuno la riconosceva per strada, ma l’abitudine di uscire sempre presentabile era rimasta. Non che Alessandra fosse mai stata famosa. Ma dopo alcune apparizioni cinematografiche, la gente aveva cominciato a notarla. E che uomini le avevano fatto la corte! Non passava giorno senza che qualcuno, dopo lo spettacolo, l’aspettasse all’uscita del teatro con un mazzo di fiori.
Allora non si chiamava Alessandra Rossi, ma Allegra Fortini. Che nome elegante! Si gonfiava d’orgoglio quando vedeva il suo nome nei titoli di coda, anche se solo in due film.
Che afa. Alessandra slacciò il primo bottone del cappotto. Si tolse la sciarpa dal collo, scrollò le spalle per scacciare la stanchezza. I capelli si erano diradati, ma il taglio giusto e la tinta davano l’illusione di volume. Alzò di nuovo lo sguardo e, invece del suo riflesso, vide un uomo giovane che la fissava, sorridendo.
Allegra reagì come sempre faceva con gli ammiratori: sollevò leggermente il mento, ricambiò il sorriso e distolse subito lo sguardo. Come a dire: «Ti ho notato, apprezzo l’attenzione, ma non esagerare».
«Avrei dovuto prendere un taxi. Sì, costava di più, ma almeno sarei arrivata prima. E non sarei così stanca», borbottò tra sé. Il terzo marito le aveva proposto di prendere la patente, ma non ci aveva mai provato. Aveva paura.
Edoardo, il terzo marito di Allegra, era stato il migliore dei suoi mariti “ufficiali”. Che peccato che se ne fosse andato così presto. Dopo di lui, aveva deciso di non risposarsi. Del resto, nessuno glielo aveva più chiesto.
Com’era bella da giovana, santo cielo! Quel nasino perfetto, le labbra rosse, le ciglia folte. E gli occhi! Vivaci, pieni di gioia. E ancora adesso il fisico era invidiabile. Non tutte alla sua età potevano dire lo stesso. «Hai avuto cura di te, non hai avuto figli. E ora eccoti qui, sola, dimenticata da tutti», commentò acidamente la vocina interiore.
«Lascia stare», rispose svogliatamente Alessandra, ma subito si guardò intorno. Ultimamente parlava spesso da sola.
Nessuno la notava. La carrozza era quasi vuota. Qualcuno sonnecchiava, altri avevano lo sguardo assente. Solo l’uomo di fronte continuava a fissarla. Alessandra distolse gli occhi e tornò ai suoi ricordi.
Peccato essere nata troppo tardi. Era così brava che avrebbe potuto recitare in «Notte di Carnevale» al posto della Loren. La voce era acuta, stridula, ma poco importava: qualcun altro avrebbe potuto cantare per lei, la stessa Loren, per esempio. E ballare, quello sapeva farlo.
Durante le riprese del suo primo film, proprio quello in cui danzava, aveva conosciuto il primo marito, un attore affascinante. Era stato un turbinio di passione. Lo aveva sposato senza pensarci due volte. Ma erano rimasti insieme poco più di un anno.
Lui recitava non solo sul palco. Lo aveva scoperto quando in casa erano spariti soldi e gioielli. Giocava, i debiti crescevano. Né le lacrime né le scenate servivano a qualcosa. Quando l’aveva schiaffeggiata, aveva fatto le valigie e se n’era andata.
Poco dopo il divorzio, aveva sposato Vincenzo. Era più vecchio di lei di dieci anni. Allegra non lo amava, ma aveva denaro, una buona posizione. «Basta con le passioni», si era detta. Vincenzo l’aveva lasciata per lei, abbandonando anche un figlio. L’ex moglie chiamava spesso, pregandolo di tornare, «il bambino ti cerca». Lui rientrava da Allegra pensieroso e silenzioso.
Poi, un infarto, e fu la fine. Al funerale, Allegra non si era disperata come la prima moglie. Quella si era aggrappata alla bara, urlando: «Perché ci hai lasciati? Seppellitemi accanto a lui! Quest’attricetta ti ha portato alla tomba…». Allegra se n’era andata.
Ci furono altre storie, ma non si risposò più. Poi, dopo cinque anni, arrivò Edoardo, un colonnello in pensione. Come la corteggiava! Fiori, pellicce, diamanti. Come resistere?
Vissero insieme per dodici anni. Lui voleva un figlio, ma non era mai successo, e Allegra non ne aveva molta voglia. Morì d’ictus. Sulla sua tomba, pianse davvero. Lo aveva amato come un padre, un amico sicuro. I parenti di lui la guardavano con sospetto. Una parola sola: attricetta.
Per una settimana non uscì di casa. Arrivò l’amica fedele, Caterina, e si spaventò nel vederla. La fece bere un bicchierino di grappa, la mise a letto. Mentre dormiva, le preparò un brodo caldo. Quando si svegliò, riposata, trovò il brodo e un parrucchiere che le sistemò i capelli e il trucco. Allegra si guardò allo specchio e ritrovò la voglia di vivere.
Tornò a teatro. Ma qualcosa in lei si era spento, e l’età non era più quella di un tempo. Gli ammiratori diminuirono. I ruoli diventarono da donna matura. Nuove attrici entravano nella compagnia, e Allegra non reggeva il confronto. Nemmeno il cinema la chiamava più. Offesa, lasciò il teatro.
Ma bisognava pur vivere. Alessandra trovò lavoro in un centro culturale, dirigendo un gruppo amatoriale. Lo stipendio era misero, ma il terzo marito le aveva assicurato una vecchiaia comoda. Vendette pellicce, gioielli. Poi andò in pensione. Stancha di insegnare a recitare a incapaci.
Alessandra si perse così nei ricordi che non si accorse quando il giovane uomo le si sedette accanto.
«L’ho riconosciuta subito. Lei è Allegra Fortini. Mia madre la adorava. Rivedeva sempre i suoi film, andava a tutti i suoi spettacoli».
Alessandra alzò un sopracciglio sorpresa.