«Lascia che vivano con te! Li hai cresciuti così tu!» — urlava al telefono il mio ex marito.

«Tieniteli pure a casa tua! Sei stata tu a crescerlo così!» — urlava al telefono il mio ex marito, Marco. La sua voce tremava di rabbia, mentre io, con il cellulare stretto all’orecchio, sentivo tutto stringersi dentro di me. Si parlava di nostro figlio, Matteo, e della sua ragazza, che avevano deciso di vivere insieme. Ma quella discussione con Marco mi fece riflettere non solo su di lui, ma anche su come i nostri errori del passato avessero segnato la famiglia.

Divorziammo dieci anni fa. Matteo aveva quindici anni, e la separazione fu dura per lui. A volte dava la colpa a me, altre a suo padre, altre ancora si chiudeva in se stesso. Io cercai di essergli sia madre che amica: lo aiutavo con i compiti, ascoltavo i suoi racconti sugli amici, lo accompagnavo agli allenamenti. Marco, invece, dopo il divorzio si allontanò. Pagava gli alimenti, a volte lo prendeva per il weekend, ma tra loro non c’era più intimità. Vedevo quanto Matteo soffrisse la sua assenza, ma Marco era sempre occupato: nuovo lavoro, nuova famiglia. Non lo giudicavo, ma il dolore per nostro figlio mi spezzava il cuore.

Adesso Matteo ha venticinque anni. È cresciuto, si è laureato e lavora in un’azienda informatica. Sei mesi fa mi presentò la sua fidanzata, Giulia. È una ragazza dolce, fa la designer, sempre educata e sorridente. Decisero di andare a vivere insieme, e io ne fui felice. Ma non avendo ancora un appartamento, mi chiesero di ospitarli. Il mio bilocale non è un palazzo, ma lo spazio bastava. Lasciai a loro la camera da letto, mentre io mi sistemai sul divano in salotto. Pensavo fosse temporaneo, almeno fino a quando non avessero messo da parte i soldi per l’affitto.

Tutto andava bene. Giulia aiutava in casa, Matteo faceva la spesa, a volte mi invitavano a cena con loro. Ma dopo un paio di mesi notai che Matteo era diventato irritabile. A volte rispondeva male a Giulia per sciocchezze, e una volta li sentii litigare per questioni di soldi. Cercavo di non intromettermi — erano grandi, potevano cavarsela da soli. Poi, però, mi chiamò Marco. Era furioso: «Sai che tuo figlio si è rifiutato di aiutarmi con la ristrutturazione? Ha detto che ha già i suoi impegni! E quella Giulia non mi rispetta nemmeno!»

Rimasi sorpresa. Matteo non mi aveva mai detto che suo padre gli avesse chiesto aiuto. Scoprii che Marco voleva che andasse alla sua casa al mare per sistemare il tetto. Matteo si era scusato, dicendo di essere troppo occupato. E Giulia, secondo Marco, «si crede chissà chi». Provai a calmarlo: «Marco, sono giovani, hanno la loro vita. Forse stai esagerando?» Ma lui esplose: «L’hai viziato! Hai cresciuto un mammone, ecco perché non rispetta suo padre! Tieniteli pure, visto che sei così generosa!»

Le sue parole mi ferirono. Io l’ho cresciuto? E dov’era lui quando Matteo aveva bisogno di un padre? Sono stata io a tirarlo su nell’adolescenza, tra litigi e lacrime. Ma forse Marco aveva ragione? Forse l’ho protetto troppo, ed è diventato egoista? Iniziai a ripensare a come lo avevo vizMi resi conto che, in fondo, sia io che Marco avevamo sbagliato, ma ora toccava a Matteo e Giulia trovare la loro strada.

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